L’empatia dei ratti: preferiscono aiutare chi gli è familiare (VIDEO)

E gli esseri umani potrebbero essere “cablati” in modo simile. Ma l'integrazione sociale può aumentare la cooperazione

[9 Agosto 2021]

Un decennio dopo che gli scienziati hanno scoperto che i ratti  da laboratorio cercano di salvare un altro ratto in difficoltà, ma non un ratto che considerano un estraneo, il nuovo studio “Neural correlates of ingroup bias for prosociality in rats”, pubblicato recentemente su e-Life da un team di ricercatori israeliani, statunitensi e canadesi guidati da Inbal Ben-Ami Bartal della Tel-Aviv University  ha individuato le regioni del cervello che spingono i topi a dare la priorità a ch è loro “familiare” in tempi di crisi e suggerisce che «Anche gli esseri umani possano condividere lo stesso pregiudizio neurale» e che «L’altruismo, sia nei roditori che negli umani, è motivato dal legame sociale e dalla familiarità piuttosto che dalla simpatia o dal senso di colpa».

Bartal ha iniziato questo studio nel 2014, quando era borsista post-dottorato nel laboratorio di Daniela Kaufer all’UC – Berkeley. Bartal, Kaufer e Dacher Keltner, professore di psicologia dell’UC Berkeley, hanno guidato il team di ricerca che ha cercato di identificare le reti cerebrali attivate nei ratti in risposta all’empatia e se si rispecchiano negli esseri umani. I risultati suggeriscono che è proprio così.

La Kaufer, autrice senior dello studio e che insegna neuroscienze e biologia integrativa all’unità della California – Berkeley, spiega: «Abbiamo scoperto che l’identità di gruppo del ratto in difficoltà influenza drammaticamente la risposta neurale e la decisione di aiutare, rivelando il meccanismo biologico del bias ingroup».

In un mondo dove aumentano xenofobia, razzismo, nativismo e conflitti tra gruppi religiosi ed etnici, dal nuovo studio emerge però che «L’integrazione sociale, invece che la segregazione, può aumentare la cooperazione tra gli esseri umani». Bartal, che insegna psicobiologia all’università di Tel-Aviv, concorda: «L’attivazione di un’appartenenza comune a un gruppo può essere un fattore molto potente per indurre la motivazione pro-sociale rispetto all’aumento dell’empatia. La scoperta di una rete neurale simile coinvolta nell’aiuto empatico, nei ratti come negli esseri umani, fornisce nuove prove che prendersi cura degli altri si basa su un meccanismo neurobiologico condiviso tra i mammiferi».

Oltre a Kaufer, Bartal e Keltner, i coautori dello studio sono Jocelyn Breton, Huanjie Sheng, Kimberly Long, Stella Chen e Aline Halliday dell’UC Berkeley; Justin Kenney, Anne Wheeler e Paul Frankland dell’università di Toronto; e Carrie Shilyansky e Karl Deisseroth della Stanford University e tutto il team, utilizzando la fotometria a fibra, l’immunoistochimica, l’imaging di calcio e altri strumenti diagnostici, ha scoperto che tutti i ratti che hanno studiato «Hanno sperimentato empatia in risposta ai segni di sofferenza di un altro ratto. Tuttavia, per agire su quell’empatia, doveva essere attivato il circuito di ricompensa neurale del ratto aiutante e questo si verificava solo se il ratto intrappolato era dello stesso tipo del ratto aiutante, o membro del suo ingroup».

La Kaufer spiega ancora: «Sorprendentemente, abbiamo scoperto che la rete associata all’empatia si attiva quando vedi un tuo simile in difficoltà, che sia o meno nell’ingroup. Al contrario, la rete associata alla segnalazione di ricompensa era attiva solo per i membri dell’ingroup e correlata al comportamento di aiuto.

In particolare, l’empatia dei ratti era correlata con le regioni sensoriali e orbitofrontali del cervello, nonché con l’insula anteriore. Invece, la decisione dei roditori di aiutare era collegata all’attività nel nucleo accumbens, un centro di ricompensa con neurotrasmettitori che includono dopamina e serotonina».

Per lo studio sono state monitorate per 2 settimane più di 60 coppie di ratti in gabbia. Alcune delle coppie erano dello stesso ceppo o tribù genetica, mentre altre no. In ogni test, un ratto veniva intrappolato all’interno di un cilindro trasparente mentre l’altro vagava libero in un recinto più grande che circondava il cilindro.

Mentre i ratti non intrappolati segnalavano costantemente empatia in risposta alla difficile situazione dei ratti  intrappolati, però si davano da fare solo per liberare quelli che facevano parte del loro ingroup, e in questo caso premevano contro la porta della gabbia o la prendevano a testate per liberare l’altro ratto.

Esaminando i risultati di più test per comprendere le radici neurali di questo pregiudizio, il team di ricerca ha scoperto che «Mentre tutti i roditori nei test percepivano l’angoscia del loro compagno di gabbia, il circuito di ricompensa del loro cervello si è attivato solo quando sono venuti in soccorso di un membro del loro ingroup».

Bartal conclude: «Inoltre, gli esseri umani e gli altri mammiferi condividono praticamente la stessa empatia e le stesse regioni di ricompensa nel cervello, il che implica che, quando si tratta di aiutare gli altri, potremmo avere pregiudizi simili verso il nostro ingroup. Nel complesso, i risultati suggeriscono che l’empatia da sola non predice il comportamento di aiuto, e questo è davvero un punto cruciale. Quindi, se si vuole motivare le persone ad aiutare gli altri che stanno soffrendo, potrebbe essere necessario aumentare il loro sentimento di appartenenza e di appartenenza al gruppo e lavorare per un’identità comune. In modo incoraggiante, abbiamo scoperto che questo meccanismo è molto flessibile e determinato principalmente dall’esperienza sociale. Ora cercheremo di capire come cambia la motivazione pro-sociale quando i ratti diventano amici e come questo si riflette nella loro attività cerebrale».

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