I risultati di una nuova ricerca condotta da Stanford University e Santa Fe Institute

Le decisioni irrazionali che ci salvano oggi, potrebbero precluderci il domani

A fronte di situazioni complesse che mettono a rischio la nostra sopravvivenza, scegliamo spesso “l’uovo oggi” piuttosto che “la gallina domani”: un nodo da sciogliere per lo sviluppo sostenibile

[13 Agosto 2020]

È un fatto che ben poco sia chiaro come funzioni il cervello umano e come esso ci conduca a compiere le scelte. Quante di queste, a partire dalle nostre, appaiono incomprensibili a noi e agli altri. Anche quelle che apparirebbero ovvie. Leggi alla voce c’è un virus molto contagioso quindi uso per precauzione la mascherina: per quanti è ovvio e per quanti assolutamente non lo è. Così il razionale diventa irrazionale e viceversa.

Appare chiaro come, alla ricerca della sostenibilità, questa dicotomia della razionalità contribuisca alla confusione e non certo alla risoluzione delle tante criticità. Buon esempio è la pedagogia delle catastrofi, ovvero il convincimento quasi immediato da parte delle persone di un determinato fenomeno di fronte all’avvenuta conseguente tragedia. Secondo questa teoria, ad esempio il toccare con mano lo scioglimento dei ghiacciai al ritmo attuale, dovrebbe generare una domanda immediata da parte dell’opinione pubblica di una svolta sulle politiche ambientali che i governi non possano ignorare. Ma alla luce di ciò che abbiamo ampiamente visto, non è accaduto.

Uno studio appena pubblicato sulla rivista Evolutionary Human Sciences, condotto da ricercatori della Stanford University e del Santa Fe Institute, può aiutarci a riflettere ancora di più sula questione.

La tesi è, basandosi sull’analisi del comportamento umano anche in epoche passate, che individui di fronte a situazioni complesse che ne mettono a rischio la sopravvivenza, scelgono “l’uovo oggi”, piuttosto che “la gallina domani”. Nel senso che prima di tutto cercano di sopravvivere, anche se magari con una scelta più “razionale” non solo sarebbero rimasti in vita, ma avrebbero anche potuto migliorarne la qualità. Una sorta di “prima non prenderle” di calcistica memoria, quando magari un gioco d’attacco avrebbe portato a un successo.

Una ‘razionalità’, secondo questa tesi, che è dettata dalla sopravvivenza, e che dunque nella sostanza non è “razionale” affatto. Sintetizzata così: “Il problema è che non puoi superare qualcosa se sei morto”. Una logica comprensibile, ma col fiato assai corto che però spiegherebbe, secondo gli studiosi, il motivo per cui le strategie “progettate per migliorare il tenore di vita tra le popolazioni di sussistenza non prendono piede, come l’apparentemente lenta adozione di nuove tecnologie agricole tra i poveri, i piccoli agricoltori, e più recentemente, la riluttanza dei più poveri ad adottare la microfinanza e altri programmi di sviluppo”.

Secondo James Holland Jones, antropologo presso la Stanford’s School of Earth “c’è un’inclinazione a pensare che le persone più povere siano ‘imprenditori naturali’ perché non hanno nulla da perdere economicamente. Tuttavia, la logica evolutiva che impieghiamo suggerisce che i più poveri hanno tutto da perdere e, di fatto, sono più vicini a perderlo rispetto alle persone più agiate”. Quindi secondo lo studio le persone molto povere sarebbero particolarmente avverse al rischio, contraddicendo la logica che per anni è stata seguita.

Ma che significa in soldoni? In sostanza i decision maker, ma anche il mercato, si aspettano scelte sempre razionali di fronte a eventi che hanno un alto rischio. E per razionali intendiamo qui con una visione lunga. Nella realtà, l’evoluzione ci ha spinto e ancora ci spinge a scelte irrazionali, ovvero, per restare nella precedente metafora, quella dell’uovo oggi, “perché magari domani non ci sono più”.

Se le cose stanno veramente così, si capisce anche perché pure la politica tende a non fare alcuna scelta razionale, ovvero con una visione lunga che sul momento non segue la logica della sopravvivenza, per inseguire proprio quest’ultima, che in politica significa “elezioni”. Per una manciata di voti si rinuncia a opere ‘razionali’ che potrebbero a lungo andare portare grandi benefici alle comunità, ma che magari sono avverse da una parte degli “elettori”, preferendo mettersi ‘irrazionalmente’ magari in una posizione attendista per poter essere rieletti.

Per i ricercatori, quindi, ha senso sottovalutare il lungo termine che potrebbero essere redditizio e sopravvalutare la probabilità che ci sia un evento negativo raro.

Un vero e proprio atteggiamento pessimista che gli autori sintetizzano con un esempio: i cacciatori che prendono di mira selvaggina rara e di grandi dimensioni potrebbero portare a casa più calorie quando riescono nell’impresa, ma la loro famiglia potrebbe soffrire la fame se falliscono. Quindi compiranno la scelta di catturare piccole prede. “Ogni volta che devi evitare lo zero, il pessimismo pagherà, perché preferiresti lasciare i soldi sul tavolo piuttosto che correre il rischio di perderli”, conclude Jones. Una logica come abbiamo detto conservativa e comprensibile, ma pessima se guardata alla luce della necessaria visione a lunga gittata che sposta l’asse dalla sopravvivenza propria verso quella del genere umano nel suo complesso.