La storia dei Caraibi prima dell’arrivo degli europei è scritta nel DNA antico (VIDEO)

Studi genetici suggeriscono che ci fu un’invasione dei Caraibi prima dell’arrivo di Colombo e del genocidio umano e culturale degli indiosi

[28 Dicembre 2020]

Circa 6.000 anni fa, all’inizio dell’era arcaica, gli esseri umani si stabilirono per la prima volta nelle isole dei Caraibi. Questi uomini e donne vivevano in quelle che ora sono le Bahamas, Cuba, Repubblica Dominicana, Haiti, Puerto Rico, Guadalupa, Santa Lucia, Curaçao e Venezuela. Tra i 3 e i 4000 anni dopo, gli strumenti di pietra lasciarono il posto alla ceramica di argilla e iniziò l’età della ceramica. Passarono altri due millenni prima che gli europei attraversassero l’Atlantico e stabilissero il primo contatto con gli indios caraibici che per loro si rivelò un vero e proprio genocidio umano e culturale.
Da dove provenivano  queste popolazioni che utilizzavano gli utensili in pietra e poi gli artigiani dell’argilla? Erano imparentate? Quante persone vivevano nei Caraibi quando arrivarono per la prima volta gli spagnoli guidati da Cristoforo Colombo? Qual è l’a discendenza, se c’è, delle odierne popolazioni caraibiche con quelle popolazioni indigene pre-contattato?

Lo studio “A genetic history of the pre-contact Caribbean”, pubblicato su Nature da un team internazionale di scienziati guidato dal Department für Evolutionäre Anthropologie dell’Universität Wien e dall’Harvard Medical School, risponde a molte di queste domande che si fanno gli archeologhi e gli antropologhi, facendo luce sugli antenati delle attuali popolazioni caraibiche e arrivando a conclusioni sorprendenti sulle dimensioni della popolazione indigena quando le culture caraibiche furono devastate dal colonialismo europeo a partire dal 1492.

Si tratta del più grande studio condotto fino a oggi sul Dna antico: ha analizzato il patrimonio genetico di 174 individui oltre ad altri 89 genomi sequenziati precedentemente, e hanno partecipato anche gli italiani Fabio Marzaioli e Filippo Terrasi dell’università Luigi Vanvitelli di Caserta  e Francesco Genchi, Francesco La Pastina, Alfredo Coppa e Michaela Lucci dell’università La Sapienza di Roma, che spiegano: «Questa mole di dati fa sì che oltre la metà delle informazioni da Dna antico oggi disponibili per le Americhe provenga dai Caraibi, con un livello di risoluzione fino a ora possibile solo in Eurasia occidentale. Di questi 174 genomi, l’80% sono stati studiati e messi a disposizione da ricercatori di Sapienza. I risultati del lavoro indicano che ci sono differenze importanti tra le popolazioni arcaiche preceramiche che lavoravano la pietra e quelle che lavoravano l’argilla, che la popolazione autoctona di queste aree era meno numerosa di quanto ritenuto fino a ora al momento dell’arrivo degli europei e infine, che l’attuale popolazione di molte isole caraibiche discende da popoli che le abitavano prima dell’arrivo dei colonizzatori».

I ricercatori sottolineano che «Inoltre, i dati ottenuti hanno permesso escludere che le popolazioni caraibiche dell’Età arcaica abbiano avuto connessioni con quelle dell’America del Nord, come ritenuto fino a oggi, e di attribuire la loro discendenza da una singola popolazione originaria o dell’America Centrale o di quella Meridionale. Le popolazioni dell’Età della ceramica presentavano un profilo genetico differente, più simile ai gruppi del nordest dell’America meridionale (di lingua Arawak), un dato congruente con le evidenze ottenute su basi archeologiche e linguistiche. Da quanto osservato sembrerebbe, infatti, che questi popoli abbiano migrato dal Sud America verso i Caraibi almeno 1700 anni fa, soppiantando le popolazioni che lavoravano la pietra, quasi completamente scomparse all’arrivo degli europei (restava una piccola percentuale nell’isola di Cuba). Ciò conferma che gli incroci tra queste due popolazioni erano estremamente rari».

Riguardo alla lavorazione dell’argilla per la produzione di manufatti di ceramica, lo studio ha evidenziato che Uno dei principali autori dello studio, Daniel Fernandes dell’Universidade de Coimbra e dell’ dell’Universität Wien

Aggiunge che «Le scoperte genetiche e archeologiche del team indicano che la genetica dei vasai è rimasta sostanzialmente la stessa nei Caraibi, secolo dopo secolo, e che l’innovazione dell’età della ceramica è nata da reti di persone che condividono idee da un’isola all’altra, piuttosto che dall’influenza di ondate di nuove persone che migrano. dalla terraferma. I nostri risultati supportano le reti di connettività tra i gruppi che utilizzano la ceramica, che potrebbero aver funzionato come catalizzatori per la diffusione delle transizioni in stile ceramico in tutta la regione».

Coppa, del Dipartimento di biologia ambientale della Sapienza e  collaboratore scientifico del Reich lab, che per anni ha studiato la morfologia dentale delle antiche popolazioni dei Caraibi, spiega a sua volta che «I risultati genetici si allineano con il riscontro fatto nelle popolazioni dell’epoca arcaica che si differenziavano significativamente da quelle dell’epoca della ceramica. Tuttavia, rimangono ancora da spiegare queste differenze e occorreranno ulteriori studi per determinare se siano dovute a forze micro-evolutive che in qualche modo risultano essere rilevabili mediante la morfologia dentale, ma non alle analisi genetiche, o se invece queste possono essere conseguenza di abitudini diverse».

Grazie al metodo, sviluppato da uno degli autori dello studio, David Reich del Department of genetics dell’Harvard Medical School e dell’Harvard University, che usa campioni presi in modo casuale e valuta quanto siano imparentati tra loro ed estrapola dati sulla dimensione della popolazione di origine, è stato possibile esaminare un elevato numero di campioni che alla fine ha permesso una stima della dimensione della popolazione caraibica prima dell’arrivo degli europei. Con sorpresa dei ricercatori, i numeri hanno suggerito che, nei secoli prima dell’arrivo degli europei, a Hispaniola (Haiti e Repubblica Dominicana) e Puerto Rico vivevano tra i 10.000 e 50.000 indios del Caribe. Una cifra molto inferiore alle stime precedenti e ai resoconti storici che parlano di centinaia di migliaia o anche di milioni di persone.

I ricercatori avvertono che «La stima della popolazione drasticamente inferiore non dovrebbe essere utilizzata in modo improprio per ridurre al minimo l’impatto che il contatto con gli europei, incluse  la schiavitù, la trasmissione di malattie e l’appropriazione della terra, ha avuto su molte società indigene dei Caraibi». Per Reich, «Che ci fossero 1 milione di indigeni in Hispaniola nel 1492 o poche decine di migliaia come ora sappiamo essere vero, resta il fatto che ciò che è accaduto dopo l’arrivo degli europei nei Caraibi costituisce uno dei primi genocidi al mondo: la distruzione sistematica di un intero popolo e cultura».

Secondo un altro autore dello studio, Ron Pinhasi, dell’Universität Wien, «Abbiamo stabilito un importante precedente per la stima delle dimensioni della popolazione con DNA antico e abbiamo mostrato come la genetica e l’archeologia possono lavorare insieme per indagare vecchie domande».

L’autore senior dello studio William Keegan, un archeologo del Florida Museum of Natural History è d’accordo: «Lo studio affronta una delle questioni più significative nello studio dell’evoluzione culturale e della storia. Questo lavoro è una straordinaria combinazione di archeologia e genetica che fa avanzare la nostra comprensione dei Caraibi in modo eccezionale in un colpo solo. I metodi sviluppati dal team di David hanno aiutato a rispondere a domande che non sapevo di poter affrontare» e Reich  aggiunge: «Il fatto che ora possiamo determinare le dimensioni della popolazione con i dati del DNA antico significa che abbiamo un nuovo strumento straordinario che, se applicato a luoghi diversi in tutto il mondo, farà luce su molte domande su cui gli studiosi si sono interrogati per generazioni. E’ fondamentale che le persone in più campi continuino a lavorare insieme per interpretare e contestualizzare le intuizioni che il DNA antico può offrire».

I ricercatori ricordano che «Tanto più i campioni risultano essere imparentati, tanto più piccola sarà, plausibilmente, la popolazione di origine; meno risultano essere imparentati, tanto più grande dovrebbe essere stata la popolazione. Essere in grado di determinare le dimensioni delle popolazioni antiche utilizzando il Dna significa avere uno strumento straordinario che, applicato nei diversi contesti mondiali, permetterà di fare luce su moltissime domande, ma indipendentemente dal fatto che ci siano state, nel 1492, un milione di persone autoctone o qualche decina di migliaia, non cambia ciò che è accaduto in seguito all’arrivo degli europei nei Caraibi: la distruzione di un intero popolo e della sua cultura».

Infine, una delle grandi domande alla quale hanno cercato di rispondere i ricercatori riguarda il patrimonio genetico delle persone che oggi vivono nei Caraibi e la riconducibilità a quello delle popolazioni autoctone precolombiane: «I risultati dello studio hanno dimostrato che ci sono ancora tracce di Dna delle popolazioni autoctone pre-colonizzazione nelle popolazioni moderne e in particolare che gli attuali abitanti dei Caraibi conservano Dna proveniente da tre fonti (in proporzioni diverse nelle diverse isole): quello degli abitanti autoctoni precolombiani, quello degli Europei immigrati e quello degli Africani portati nell’isola durante la tratta degli schiavi».

Tra il  4 e il 14% degli antenati degli attuali abitanti dei Caraibi derivano dalle popolazioni antiche analizzate. Una delle principali autrici dello studio, Kendra Sirak dell’Harvard Medical School, evidenzia che «Ora abbiamo un quadro molto più chiaro delle interazioni biologiche che hanno avuto luogo, o non hanno avuto luogo, tra gruppi di persone geneticamente distinte negli antichi Caraibi». Pinhasi fa notare che «Prima nel Pacifico e ora nei Caraibi, il DNA antico ha rivelato come le società umane marinare preistoriche esplorarono e colonizzarono nuove regioni».

Coppa conclude: «Per me, una direzione importante per la ricerca futura sarà determinare se queste differenze sono dovute a forze microevolutive che in qualche modo sono rilevabili nei tratti dentali ma sono invisibili alle analisi genetiche, o invece sono dovute a differenze nello stile di vita».

Videogallery

  • Migrations of the pre-contact Caribbean (email Rick for link to new version)