Lo studio Ars presentato oggi in Regione

InVetta, dopo 14 anni di studi definito il rapporto tra salute e geotermia sull’Amiata

«Non vi sono impatti significativi sulla salute derivanti dall’attività geotermoelettrica». Ma serve indagare altrove: sull’esposizione ai metalli e sugli effetti di arsenico e tallio presenti nell’acqua potabile

[1 Febbraio 2022]

L’Agenzia regionale di sanità (Ars) ha presentato stamani a Firenze i risultati dell’indagine InVetta – commissionata dalla Regione stessa –, che dopo 14 anni di indagini epidemiologiche mette un punto fermo sull’Amiata: «Non vi sono impatti significativi sulla salute derivanti dall’attività geotermoelettrica. Si tratta di un risultato importante che deve certamente rassicurare la popolazione e che consente di sviluppare programmi di valorizzazione della risorsa geotermica», come riassume l’assessora all’Ambiente Monia Monni, dopo che l’ultima centrale geotermica è entrata in funzione in Toscana nel 2014 (Bagnore 4).

Tutto nasce dallo studio pubblicato nel 2010 proprio da Ars in tandem con il Cnr, che mostrava preoccupanti eccessi di mortalità nei Comuni amiatini negli anni 2000-06, poi ridotti nel periodo 2009-15: c’era qualche relazione con le centrali geotermoelettriche presenti sull’Amiata? Un ipotesi che ha mandato in fibrillazione parte della popolazione locale, cui erano dovute risposte più precise.

Risposte che sono arrivate oggi, a conclusione dell’indagine InVetta (Indagine di biomonitoraggio e valutazioni epidemiologiche a tutela della salute nei territori dell’Amiata) cui hanno partecipato direttamente 2.060 cittadini locali; i dati raccolti e studiati con il coordinamento scientifico di Ars hanno visto collaborare a InVetta i medici, infermieri e personale della Ausl Toscana Sud Est, il Laboratorio di sanità pubblica dell’Area vasta Sud Est, il Laboratorio di analisi Stabilimento ospedaliero di Nottola, i medici di medicina generale delle Aft Amiata Grossetana e Amiata Senese e Val d’Orcia, ed i sindaci dell’area amiatina.

«Con InVetta, indagine condotta su più di 2000 persone che non ha eguali a livello europeo – sottolinea Fabio Voller, coordinatore osservatorio di epidemiologia di Ars – siamo andati a verificare molte cose e scoperto, in effetti, che in quell’area della regione sono stati riscontrati dati di mortalità e ospedalizzazione maggiori rispetto alla media regionale. Dati che nel corso del tempo si sono appiattiti sulla media stessa. Se rispetto alle emissioni geotermiche non abbiamo trovato correlazioni con aspetti sanitari se non con l’ipertensione, elemento abbastanza anomalo e che approfondiremo, più problematici sono i dati legati alla natura entropica del territorio. Ovvero la presenza di taluni metalli che sappiamo essere una caratteristica di quei luoghi, come arsenico e tallio, e che ci spingeranno ad ulteriori studi».

Più nel dettaglio, per quanto riguarda il principale quesito cui era chiamata a rispondere InVetta, ovvero la relazione tra l’esposizione alle emissioni geotermiche e la salute respiratoria, i risultati «non hanno evidenziato alcuna associazione tra l’aumento delle concentrazioni di acido solfidrico e l’occorrenza di Broncopneumopatia cronica ostruttiva (Bpco), sia per lo stadio più lieve che per quello più grave, né di altri indicatori di anormalità della funzionalità respiratoria, né di asma, bronchite e altre malattie/sintomatologie respiratorie. È emersa, al contrario, una tendenza ad una diminuzione del rischio di patologie respiratorie al crescere dell’esposizione ad acido solfidrico».

Al contempo, aggiunge l’Ars, l’esposizione alle emissioni delle centrali geotermiche «non è risultata associata a malattie cardiovascolari, tumori, esiti riproduttivi avversi e alcune malattie croniche analizzate nello studio. Fa eccezione l’aumento di rischio osservato per l’ipertensione, la cui interpretazione è però resa particolarmente difficile dalla notevole quantità di studi recenti che evidenziano proprio per l’acido solfidrico endogeno vari effetti cardioprotettivi, inclusi riduzione della frequenza cardiaca e della pressione sanguigna, vasodilatazione». Da qui l’utilità di ulteriori indagine.

Ma da chiarire resta soprattutto un tema che sembra esulare dall’attività geotermoelettrica, ovvero l’esposizione ai metalli e sugli effetti sulla salute riguardano principalmente l’arsenico e il tallio.

Per quanto riguarda l’arsenico, da InVetta emerge che «l’esposizione cronica a concentrazioni crescenti di arsenico nelle acque potabili è risultata associata a incrementi di rischio per le patologie respiratorie e cardiovascolari». Anche il rischio di neoplasie (ovvero tumori) mostra «un’associazione con l’esposizione a concentrazioni crescenti di arsenico nelle acque potabili».

L’esposizione all’arsenico è emersa come di tipo «prevalentemente di tipo alimentare», confermato «dall’aumento dei livelli urinari di arsenico correlati all’abitudine di utilizzare l’acqua dell’acquedotto a fini potabili, rispetto a coloro che hanno dichiarato di utilizzare l’acqua minerale in bottiglia».

Come per l’arsenico, anche per il tallio è stata evidenziata «un’esposizione di tipo alimentare, soprattutto relativa al consumo di frutta e verdura da orti locali».

Da dove vengono questi inquinanti? Il pensiero corre alla presenza di mercurio nel fiume Paglia, dove le ultime ricerche scientifiche hanno individuato le cause nell’attività mineraria e metallurgica condotta per secoli nell’area del monte Amiata, ma per rispondere in modo puntuale su tallio e arsenico servono ulteriori studi.

Per questo l’Ars suggerisce di «estendere il monitoraggio dell’arsenico e degli altri metalli, in particolare il tallio, alle acque dei pozzi privati per verificare il possibile rischio derivante sia dall’uso alimentare che dall’irrigazione degli orti. Sarebbe auspicabile anche promuovere delle campagne di monitoraggio dei metalli in matrici vegetali, raccolte proprio da orti e coltivazioni locali, utili per valutare in maniera più rigorosa il ruolo di questo tipo di esposizione alimentare».

Solo per il tallio sarebbe opportuno estendere l’indagine anche ad un possibile ruolo delle emissioni geotermiche, perché «solo ed esclusivamente per il tallio – come precisa Ars – è stato evidenziato un aumento dei livelli urinari associato all’aumento delle concentrazioni in aria di acido solfidrico e al diminuire della distanza della propria residenza dalle centrali geotermiche. Anche i lavoratori presso le centrali geotermiche, sebbene costituiscano un sottocampione poco numeroso, hanno mostrato livelli urinari di tallio e di mercurio più alti rispetto al resto dei partecipanti».

Infine, secondo l’Agenzia regionale di sanità, un altro ambito che merita attenzione è quello degli stili di vita delle popolazioni che vivono nell’area amiatina, che «in particolare per consumo di alcol e sedentarietà, mostrano indicatori peggiori rispetto alla media regionale».

Sull’utilità di portare avanti nuove indagini sulle linee di ricerca suggerite da Ars, la Regione si è mostrata responsiva: Monni ha chiuso il suo intervento spiegando che «sul fronte delle acque vi è la necessità di proseguire l’attività di indagine e controllo per comprendere più nel dettaglio la situazione, anche in relazione alla presenza di tallio. Su questo fronte ho condiviso da subito la scelta di istituire una Cabina di regia regionale per proseguire un lavoro di analisi che vedrà il coinvolgimento anche di Arpat».

Ma nel frattempo, forte dell’indagine epidemiologica condotta da Ars – che arriva a valle delle nuove evidenze scientifiche in merito alle emissioni di CO2 legate all’attività geotermoelettrica, rassicurando sotto l’aspetto climatico – la geotermia toscana si conferma un alleato prezioso per la transizione ecologica della Toscana: «Ringrazio Ars che ha sviluppato con competenza questa indagine, dalla quale emerge la mancanza di effetti sulla salute delle persone provenienti dalle emissioni geotermiche», conclude il presidente Eugenio Giani.