Nuove ricerche pubblicate su riviste internazionali fanno chiarezza sul fenomeno

Il rapporto tra geotermia e CO2 in Toscana finalmente spiegato

Sbrana (Università di Pisa): «È necessario dare fiducia alla scienza e comunicare alla popolazione i risultati ottenuti, che rispondono alle informazioni errate che hanno purtroppo rallentato lo sviluppo di questa risorsa energetica così preziosa»

[1 Ottobre 2021]

Tre nuovi studi, pubblicati da ricercatori italiani – con un ruolo preminente dell’Università di Pisa – su prestigiose riviste internazionali contribuiscono a fare finalmente chiarezza su un tema controverso da troppo tempo: quale rapporto c’è tra la coltivazione industriale della geotermia e le emissioni di CO2 in atmosfera? Questa fonte rinnovabile è da sempre naturalmente presente in Toscana, il primo territorio al mondo che è riuscita a domarla oltre un secolo fa, fino a raggiungere risultati straordinari.

Oggi oltre il 70% dell’elettricità che consumiamo proveniente da fonti rinnovabili è garantita, in Toscana, proprio dalla geotermia: in altre parole, il calore della terra copre un terzo di tutto il nostro fabbisogno elettrico oltre a fornire in modo diretto importanti quantità di calore.

Eppure sulle emissioni climalteranti legate alle centrali geotermiche sono sempre rimasti dubbi. Le emissioni di inquinanti vengono regolarmente monitorate dalle autorità competenti (in primis l’Arpat) certificando il costante rispetto delle normative vigenti. Ma per quanto riguarda la CO2? Quella rilasciata dalle centrali è sostitutiva rispetto alle emissioni naturali dal suolo, oppure aggiuntiva?

I nuovi studi pubblicati dopo anni di intensa ricerca direttamente sul campo delineano finalmente un quadro preciso, sia per l’area di Larderello sia per quella dell’Amiata. Ne abbiamo parlato direttamente con Alessandro Sbrana, docente al dipartimento di Scienze della terra dell’Università di Pisa e co-autore delle ricerche in esame.

L’impiego della geotermia a fini industriali è iniziato per la prima volta in Toscana: un primato di livello globale che rende però difficile valutare le ricadute della produzione geotermoelettrica su parametri come le emissioni di CO2, dato che mancano dati affidabili sul degassamento del suolo relativi a oltre due secoli fa. Un nuovo studio usa come proxy di partenza i dati storici sulla produzione di acido borico: in che modo è possibile stimare le passate emissioni di CO2?

«Gli autori del lavoro pubblicato sulla rivista Energies hanno consentito di stimare l’emissione di CO2 precedente alla produzione geotermoelettrica a Larderello, a partire dalla produzione di acido borico estratto nel 1800 e agli inizi del novecento nei cosiddetti “lagoni”, gradualmente scomparsi nei primi anni del ‘900, dove avveniva la condensazione dei vapori geotermici.

Nei lagoni la condensazione del vapore ricco in boro, un elemento affine alla fase vapore, provocava la precipitazione di una fase solida l’acido borico (H3BO3) nelle acque di condensazione dei lagoni che veniva quindi estratto; le quantità di minerale estratte venivano annotate nell’archivio dell’industria estrattiva dell’epoca. I dati sulla quantità di boro estratto hanno fornito la stima della quantità di vapore che sfuggiva dai serbatoi geotermici nel periodo considerato.

Questo è il punto di partenza che è stato utilizzato per la stima delle emissioni di CO2 precedenti lo sviluppo industriale della geotermia. La misurazione del rapporto tra CO2 e vapore d’acqua, misurato da Payen a Larderello nel 1841, e la conoscenza della concentrazione del boro nel vapore hanno consentito di calcolare la quantità di gas incondensabile, CO2 emessa nel periodo di estrazione del boro nei Lagoni boraciferi di Larderello tra il 1818 e il 1867 a partire dalle tonnellate di acido borico.

Questa stima è la sola e preziosa indicazione della quantità di vapore e gas che veniva rilasciato in atmosfera prima della coltivazione dei campi geotermici attuali. È ovviamente limitata all’area delle grandi manifestazioni naturali della Valle del diavolo, che oggi sono quasi scomparse sostituite da emissioni gassose e falde termali mineralizzate in varie località della Valle.

I risultati di questa ricerca pubblicata su un volume speciale di Energies, prestigiosa rivista internazionale multidisciplinare dedicata alla energia, forniscono la prima indicazione quantitativa sulla quantità di gas serra (CO2) e di vapore che veniva rilasciata naturalmente in atmosfera.

Si stima che nella Valle del diavolo avvenisse l’emissione naturale di vapore per circa 236 t/h con associate 17 t/h di CO2, che in termini di centrale geotermica corrisponde a una centrale da 130-140 MW. Oggi il flusso di vapore e gas nella Valle del diavolo è estremamente ridotto per l’effetto di più di un secolo di produzione geotermoelettrica, che comunque viene coltivata mantenendo in equilibrio i serbatoi».

Per l’area di Larderello, l’esperienza empirica – testimoniata anche da ampia documentazione fotografica – mostra appunto come in quella che un tempo è stata battezzata la Valle del diavolo per la sua inospitale conformazione si siano progressivamente esauriti lagoni e fumarole, lasciando spazio a emissioni naturali meno invasive oggi d’interesse turistico. Anche le emissioni naturali di CO2 sono state compensate da quelle rilasciate dalle centrali, e in che misura?

«Come accennato la stima proposta basata sulla produzione di acido borico nell’800 è di 17 t/ora di CO2. Gli autori stessi affermano che tale valore è ampiamente sottostimato, sia per non avere incluso il contributo delle emissioni non utilizzate per l’acido borico sia perché lo studio è in progress con ulteriori ricerche di archivio che consentiranno di ricostruire le emissioni fino ai primi del ‘900.

Ciò nonostante, questi primi dati indicano emissioni di CO2 equivalenti a centrali di grossa taglia, ad esempio una centrale come Valle Secolo da 120 MW e, considerando che i dati sono comunque una stima, essi mostrano in modo tangibile e misurato il cosiddetto fenomeno della sostituzione, in gergo detto ‘emissioni sostitutive’: la riduzione delle emissioni naturali che segue l’entrata in esercizio di una centrale geotermoelettrica è del tutto equivalente alle emissioni della centrale stessa, quindi l’impatto netto è nullo. Per tale ragione si deve parlare in termini di emissioni sostitutive ed evidenziare che bisogna includere l’intero campo geotermico e parlare in termini di contributo netto in atmosfera del sistema integrale, costituito dalle centrali ed il territorio circostante. Tale sistema non produce alcun contributo aggiuntivo di CO2 in atmosfera rispetto alla condizione naturale».

Oltre a gas climalteranti generati naturalmente nel sottosuolo, come la CO2, le emissioni geotermiche naturali portano in superficie anche inquinanti come l’H2S. Concentrando queste emissioni all’interno delle centrali, tramite i filtri Amis è possibile ridurre il carico inquinante totale riversato in atmosfera?

«Il trattamento con la tecnologia AMIS del vapore geotermico ha abbattuto le emissioni di H2S e mercurio del 98,5% portandole al di sotto delle soglie di concentrazione consentite per legge nel nostro Paese. Oggi la geotermia così come viene coltivata nei Comuni geotermici della provincia pisana, senese e grossetana è la più pulita e amichevole per l’ambiente del mondo.

Rimane l’emissione in atmosfera di CO2 che però non viene prodotta durante il ciclo produttivo di elettricità ma si genera per l’effetto termico che i corpi magmatici (che sono il motore energetico della geotermia) a 800 -1000 ° C di temperatura iniettati nella crosta terrestre hanno sui minerali delle rocce della crosta terrestre, in particolare carbonati e rocce ricche in grafite. Questi minerali vengono distrutti per effetto termico generando altri minerali e anidride carbonica. Questa risale, raggiunge la superficie e viene emessa in maniera diffusa dal suolo o in aree fumaroliche o in emissioni di gas concentrate.

Tenendo conto dell’effetto di riduzione delle emissioni naturali possiamo considerare che tale effetto si manifesti anche sulle sostanze quali H2S e Hg. Inoltre, le stesse emissioni ora avvengono nelle centrali dove per effetto dell’AMIS vengono abbattute producendo quindi un effetto netto secondario anche sull’ambiente e dal suolo».

Un altro studio che la vede come primo autore, appena pubblicato sulla rivista scientifica Energies, si concentra invece sul caso dell’Amiata. In quest’area – dove non ci sono lagoni a testimoniare l’andamento nel tempo – qual è il rapporto rilevato tra degassamento naturale del suolo ed emissioni di CO2 rilasciate dalle centrali geotermiche?

«Negli ultimi anni sono state eseguite in Toscana prospezioni esplorative di flusso di gas (CO2) dal suolo per l’individuazione di risorse idrotermali geotermiche estese a decine di Km2 di superficie; questa metodologia impiega la cosiddetta camera di accumulo (inventata nel nostro Paese) che, posizionata al suolo attraverso un sensore di misura ad infrarossi, consente la analisi della CO2 nella camera ed infine la misura del flusso di gas che fuoriesce dal suolo stesso grazie al progressivo aumento della concentrazione del gas nel tempo nella camera di accumulo.

L’analisi dei dati di flusso di gas dal suolo consente di delimitare le zone dove nel sottosuolo sono presenti serbatoi geotermici. I risultati ottenuti hanno evidenziato che il processo di degassamento diffuso dal suolo è molto intenso con emissioni di decine di tonnellate al giorno di gas emessi dal suolo e hanno stimolato a cambiare la tipologia di misura dei flussi di gas naturali, da aree di piccolissima dimensione ad aree di grande dimensione, per quantificare in maniera più possibile accurata il degassamento superficiale complessivo dell’area vulcanica geotermica del Monte Amiata.

Questo studio, in un arco temporale di due-tre anni, ha consentito di produrre il primo lavoro scientifico pubblicato su una rivista internazionale prestigiosa dedicata a vulcani e geotermia, Journal of Volcanology and Geothermal Research. Questa pubblicazione del 2020 riporta i dati di misura eseguiti su un’area di 225 Km2 con una densità di punti di misura di 12 punti per Km2 e una spaziatura di 250 m tra un punto e l’altro per un totale di 2482 punti di misura.

Il risultato della ricerca è che nell’area vulcanica geotermica del Monte Amiata avviene l’emissione di 13.275 tonnellate/giorno di CO2 dal suolo per emissione diffusa; aggiungendo le numerose emissioni concentrate di gas esistenti sul territorio e l’emissione da tunnel e discenderie di miniere di mercurio e da sorgenti termali ricche in CO2 si raggiunge una emissione totale di 13.350 tonnellate/giorno per l’intera zona di prospezione di 225 Km2 .

L’origine della CO2 è in parte organica biologica e deriva dalla produzione di questo gas legata a batteri, microorganismi, radici di piante presenti nel suolo, quindi molto superficiale: in Amiata la CO2 bio è stata quantificata in circa 4746 tonnellate/giorno.

In buona parte questo gas è invece di origine profonda, legata al degassamento della camera magmatica del Monte Amiata ed ai corpi magmatici intrusivi e alle aureole termometamorfiche ed in parte è di origine mantellica. Questa CO2 profonda non ha nulla a che vedere con la geotermia ma si forma naturalmente nella crosta terrestre per le reazioni che modificano le rocce, carbonati e rocce ricche in carbonio (grafite) sottoposte a temperature magmatiche (800-1000 °C) che generano a profondità superiori a 3-5 Km CO2. Questo gas risale naturalmente in superficie perché la permeabilità delle rocce superficiali non consente il confinamento del gas in profondità, mentre la forte anomalia termica legata al sistema di alimentazione del vulcano posizionato a circa 5 Km di profondità, riscaldando le acque, consente lo sviluppo di celle convettive che trasportano gas e calore verso la superficie.

Lo studio ha permesso di quantificare questa CO2 profonda in 8.529 tonnellate al giorno. La emissione di CO2 delle centrali geotermiche è di 1.849 tonnellate al giorno (misure ambientali di sorveglianza di ARPAT degli impianti produttivi relative al 2018). La semplice comparazione del flusso emesso dal sistema integrato delle centrali di Piancastagnaio e Bagnore – comprendente impianti di superficie, pozzi perforati nel serbatoio geotermico profondo e serbatoio geotermico convettivo ad alta temperatura – evidenzia quindi che il flusso naturale di CO2 su tutta l’area vulcanica geotermica è enormemente superiore all’emissione delle centrali.

Dobbiamo anche rimarcare che negli impianti di superficie (turbine, generatori elettrici, sistema di condensazione del vapore ed impianto AMIS di abbattimento dei composti dannosi per l’ambiente) non viene prodotta CO2 perché non avviene nessuna combustione; la CO2 è semplicemente veicolata come detto dalla zona di produzione profonda alla superficie; il gas arriva al serbatoio/i geotermico/i risalendo dalle zone ancora più profonde >4 Km dove si genera per effetto delle altissime temperature del magma sulle rocce incassanti e dai sistemi magmatici ancora più profondi incluso il mantello terrestre.

Descritta l’importante novità relativa al flusso di gas naturale, passiamo a rispondere al quesito cruciale posto relativo alle relazioni individuate tra flusso naturale di gas dal suolo e produzione di energia geotermoelettrica. Questo aspetto è stato affrontato nella pubblicazione “Analysis of natural and power plant CO2 emissions in the Mount Amiata volcanic geothermal area reveals sustainable electricity production at zero emissions” pubblicato il 2 agosto 2021 sulla rivista internazionale “open access” Energies.

Il nuovo lavoro si basa sui dati del paper 2020 e su una nuova campagna di misure, che amplia lo studio ad un’area di 280 Km2 con 3208 misure di flusso che è stata progettata per circoscrivere le aree di anomalia di flusso elevata di CO2 dal suolo. Sono state delimitate 4 aree di degassamento molto elevato: Bagni San Filippo e Campiglia d’Orcia, Fiume Paglia, Piancastagnaio e Bagnore, tutte periferiche al massiccio vulcanico del Monte Amiata.

Il valore totale del flusso naturale di gas dal suolo su 280 Km2 di area investigata è stato stimato in 17.934 t/g (tonnellate al giorno) con un flusso di CO2 profonda di 11.037 t/g; le centrali veicolano dal serbatoio geotermico alla superficie 1418 t/g. L’emissione dalle centrali rappresenta quindi soltanto il 7,9% del flusso totale in atmosfera di gas.

Quindi in sintesi il primo risultato molto importante per il dibattito in corso sulla geotermia è che, se teniamo presente lo stato naturale delle emissioni dalla crosta terrestre in quest’area, l’emissione dalle centrali appare essere quasi irrilevante. D’altra parte l’Amiata è parte integrante di una delle aree a maggiore flusso di CO2 del mondo.

Ma un risultato ancora più rilevante deriva dall’analisi dei dati sperimentali misurati. La normalizzazione per area espressa in tonnellate emesse per Km2 nelle aree a degassamento anomalo evidenzia che le emissioni più elevate di flusso naturale di CO2 dal suolo sono state individuate in Bagni San Filippo e Fiume Paglia, 115 e 103 t/gKm2, seguono con valori nettamente inferiori le aree dei campi geotermici di Piancastagnaio e Bagnore con 59 e 44 t/gKm2. Se aggiungiamo ai valori di flusso dal suolo l’emissione dalle centrali geotermiche normalizzate relativamente all’area dei serbatoi coinvolti nel sottosuolo nel drenaggio di gas da parte dei pozzi profondi, i valori si attestano praticamente sulla stessa emissione di gas. La conclusione è che nelle 4 aree a maggiore emissione individuate nello studio le emissioni sono quasi identiche.

Questo ha suggerito agli autori dello studio che nel sottosuolo dell’Amiata esiste in profondità un processo che genera la stessa quantità di CO2 per unità di area con un valore medio di circa 108 t/gKm2. Nelle aree geotermiche il flusso naturale superficiale dal suolo è praticamente dimezzato; quindi dove i pozzi profondi estraggono il fluido geotermico, compresa la CO2, il flusso naturale viene drasticamente ridotto e con esso l’immissione naturale in atmosfera di gas. Questo è l’effetto dell’utilizzazione dei fluidi per produzione di elettricità: si osserva una sostituzione delle emissioni naturali superficiali da parte di quella dei pozzi che viene rilasciata dalle centrali geotermiche. Inoltre, come noto, la gestione sostenibile del serbatoio geotermico viene realizzata con la reiniezione della condensa (acqua) del vapore geotermico privo di gas che rientra in circolazione nel serbatoio. Questo progressivamente riduce il rapporto tra gas incondensabili e vapore, aspetto molto evidente nell’area tradizionale di Larderello dove la geotermia è attiva da oltre un secolo. Il risultato è che progressivamente la quantità di CO2 emessa in atmosfera nelle aree geotermiche in utilizzazione diminuisce e diminuirà ancora nel tempo.

La conclusione più rilevante di questa ricerca per il futuro della geotermia toscana è che la produzione geotermoelettrica deve essere considerata ad emissioni zero perché non produce nuova CO2 nel ciclo produttivo, ma semplicemente movimenta CO2 generata in buona parte dal magmatismo profondo al di sotto dei campi geotermici e l’emissione dalle centrali è largamente compensata dalla diminuzione nell’emissione naturale dai suoli. La produzione di energia elettrica con il ciclo produttivo attualmente utilizzato induce la diminuzione drastica delle emissioni di gas serra.

Inoltre, la CO2 profonda visto lo stato di fratturazione e termalismo dell’area sarebbe comunque emessa in superficie nella quantità che le misure di flusso nelle aree indisturbate da attività umana mostrano nel nostro studio. La ricostruzione delle emissioni presenti nell’800 nella Valle del diavolo a Larderello realizzata sulla base della quantità di acido borico estratto dai lagoni precedente all’utilizzazione geotermica dimostra lo stesso processo che questo studio ha messo in evidenza, basato su una tipologia di dati completamente diversa, le misure dal suolo di gas attuali in aree in utilizzazione geotermica e in aree vergini dello stesso sistema geotermico al Monte Amiata».

Oltre che sull’ammontare delle emissioni, nella comunità scientifica c’è dibattito sul ritmo delle stesse: alcuni ricercatori sostengono che, anche se la CO2 rilasciata dalle centrali è d’origine naturale, in assenza di produzione geotermoelettrica il degassamento del suolo sarebbe più lento – e dunque anche l’impatto sulla crisi climatica in corso sarebbe diluito. Il suo studio offre elementi per chiarire questo punto?

«I dati descritti prevedono un’osservazione semplice. In Amiata l’emissione delle centrali in “operation” bilancia la mancata emissione naturale di gas profondo dal suolo. Altre ipotesi non sono basate su dati o modelli di emissione numerici. Ritengo che l’affermazione che il degassamento dal suolo sarebbe più lento non sembra avere una valenza scientifica; i dati indicano un sostanziale bilanciamento, cosa d’altra parte logica, dato che i gas estratti dai pozzi vengono sottratti al degassamento naturale che avverrebbe comunque. Nelle aree di Bagni San Filippo e Paglia dove non ci sono pozzi geotermici e centrali, l’emissione naturale dal suolo è il doppio di quella che è presente nelle aree di Piancastagnaio e Bagnore. Questo dimostra che le centrali geotermoelettriche in Amiata hanno emissioni zero, come detto prima».

Al momento c’è una sola area vasta in Toscana (e in Europa) che è stata certificata come carbon free, ovvero la Provincia di Siena dove la geotermia arriva a coprire il 92% dell’elettricità prodotta localmente. Anche alla luce di questi due nuovi studi, crede che questa fonte rinnovabile possa rappresentare un fattore decisivo per il contenimento delle emissioni climalteranti anche per l’intera Toscana?

«Assolutamente sì. Questo studio chiarisce il ruolo della CO2 in geotermia annullando sostanzialmente le critiche rivolte alle emissioni delle centrali geotermoelettriche, critiche rivolte senza considerare il funzionamento del degassamento naturale della terra e dei sistemi geotermici in generale.

Come dimostrato nei lavori pubblicati, la produzione di energia elettrica non interviene sul bilancio delle emissioni naturali di gas serra in atmosfera anzi nel tempo riduce le emissioni climalteranti con la reiniezione nei serbatoi di acqua priva di gas, che progressivamente diluiscono i gas presenti nei serbatoi idrotermali producendo nuovo vapore geotermico completamente rinnovabile ma privo di gas serra e di composti nocivi se le centrali hanno unità di lavaggio del vapore come le centrali toscane.

Per rispondere meglio alla domanda se la geotermia può rappresentare un fattore decisivo per il contenimento delle emissioni climalteranti, gli studi degli ultimi due anni appena riassunti dimostrano che la geotermia è una risorsa geotermica rinnovabile carbon free, perché non incrementa le emissioni di gas serra; anzi nel tempo contribuisce alla diminuzione delle emissioni naturali dovute al degassamento complessivo del nostro pianeta.

Inoltre, le risorse geotermiche profonde presenti nel sottosuolo della nostra regione nell’area vulcanica amiatina e nell’area di Larderello sono talmente estese da consentire il raddoppio della produzione geotermoelettrica toscana al 2050, consentendo di coprire il 60% del fabbisogno stimato per quell’epoca senza sostanziali impatti ambientali. Abbiamo dimostrato che nelle nelle aree geotermiche le emissioni di gas serra non incrementano, anzi diminuiscono; i gruppi di abbattimento di elementi nocivi presenti nel vapore estremamente efficienti hanno reso la geotermia pulita, la reiniezione delle condense degassate nei serbatoi rende la geotermia sostenibile assieme all’effetto di sostituzione dei gas serra operato dalle centrali di produzione geotermica dimostrato dalle ricerche svolte.

La Toscana possiede quindi un bene estremamente prezioso, e gli studi e gli sforzi fatti dalla ricerca industriale e pubblica per la gestione ambientale dei territori e gli studi presentati dimostrano che il reale impatto è estremamente positivo.

Un’ultima considerazione importante per la popolazione della nostra regione è che attualmente circa il 33% del fabbisogno elettrico della Toscana è prodotto con impianti localizzati su meno del 5% del territorio regionale. Nella proiezione di sviluppo al 2050 il 60% di produzione elettrica potrebbe essere prodotta su poco più del 6% del territorio.

Considerate le prospettive presenti, abbiamo quindi il dovere di sviluppare questa risorsa sostenibile ed estremamente favorevole all’ambiente sul nostro territorio regionale. Anche nel caso della geotermia è necessario dare fiducia alla scienza e alla ricerca e offrire alla popolazione della regione i risultati ottenuti che rispondono alle informazioni errate che hanno purtroppo rallentato lo sviluppo di questa risorsa energetica così preziosa».

Spiegato il contesto toscano, quali pensa siano ad oggi le migliori soluzioni tecnologiche per coltivare in modo sempre più sostenibile i fluidi geotermici, per quanto riguarda sia la produzione di elettricità sia di calore?

«Le tecnologie disponibili per la produzione elettrica da fonte rinnovabile geotermica non sono interscambiabili ma dipendono dalle caratteristiche chimico-fisiche del fluido endogeno. Sono fattori discriminati ad esempio la sua temperatura e pressione, se il fluido è liquido o a vapore dominante ed il suo contenuto di gas.

Sinora in Toscana sono state applicate le tecnologie che si rendono necessarie data la natura dei fluidi sinora scoperti, a vapore dominante ed alto contenuto di gas. Questo non vuol dire che non possano svilupparsi tecnologie diverse. Nella proiezione al 2050, a cui facevo riferimento, emerge la possibilità di utilizzare un ampio spettro di fluidi, compresi quelli a minore entalpia e, quindi, con tecnologie di produzione diverse dalle attuali.

Sostanzialmente la tecnologia a cui pensare non è da imporre ma è da scegliere via via che si sviluppa l’utilizzo della risorsa geotermica, includendo oltre alle cosiddette alte entalpie anche risorse a minore contento energetico ma comunque essenziali per un pieno e completo sviluppo geotermico della Toscana».