Gli Homo sapiens vivevano in Africa già più di 230.000 anni fa

In Etiopia scoperti resti che portano indietro di 30.000 anni l’alba dell’umanità

[14 Gennaio 2022]

L’età dei fossili umani più antichi dell’Africa orientale riconosciuti come rappresentanti della nostra specie Homo sapiens, è stata a lungo incerta, ora grazie alla datazione di una massiccia eruzione vulcanica in Etiopia, il nuovo studio “Age of the oldest known Homo sapiens from eastern Africa”, pubblicato su Nature da un team internazionale di ricercatori guidato da Céline Vidal del Department of Geography e del Fitzwilliam College dell’università di Cambridge, rivela che quei resti sono molto più antichi di quanto si pensasse.

All’università di Cambridge ricordano che «I resti – noti come Omo I – sono stati trovati in Etiopia alla fine degli anni ’60 e da allora gli scienziati hanno tentato di datarli con precisione, utilizzando le impronte chimiche degli strati di cenere vulcanica trovati sopra e sotto i sedimenti in cui sono stati trovati i fossili. Un team internazionale di scienziati, guidato dall’Università di Cambridge, ha rivalutato l’età dei resti di Omo I e l’Homo sapiens come specie. I primi tentativi di datare i fossili suggerivano che avessero meno di 200.000 anni, ma la nuova ricerca mostra che devono essere più antichi di una colossale eruzione vulcanica avvenuta 230.000 anni fa».

I resti di Omo I sono stati trovati nella Formazione Omo Kibish nel sud-ovest dell’Etiopia, all’interno della Rift Valley dell’Africa orientale, una regione a elevata attività vulcanica e una ricca fonte di primi resti umani e manufatti come strumenti di pietra. Datando gli strati di cenere vulcanica sopra e sotto dove si trovano materiali archeologici e fossili, gli scienziati hanno identificato l’Omo I come la prima prova dell’esistenza della nostra specie, l’Homo sapiens.

La Vidal spiega che «Utilizzando questi metodi, l’età generalmente accettata dei fossili di Omo è inferiore a 200.000 anni, ma c’è stata molta incertezza intorno a questa data. I fossili sono stati trovati in sequenza, sotto uno spesso strato di cenere vulcanica che nessuno era riuscito a datare con tecniche radiometriche perché la cenere è a grana troppo fine».

Nell’ambito del progetto quadriennale “Nature and impacts of Middle Pleistocene volcanism in the Ethiopian Rift” guidato da Clive Oppenheimer, la Vidal e i suoi colleghi hanno tentato di datare tutte le principali eruzioni vulcaniche nella Rift Valley etiope intorno al periodo in cui è emerso l‘Homo sapiens, il tardo Pleistocene medio. Per farlo, i ricercatori hanno raccolto campioni di pietra pomice dai depositi vulcanici e li hanno ridotti a dimensioni inferiori al millimetro.

La Vidal spiega ancora: «Ogni eruzione ha la sua impronta digitale, la sua storia evolutiva sotto la superficie, che è determinata dal percorso seguito dal magma. Una volta che hai frantumato la roccia, liberi i minerali all’interno, quindi puoi datarli e identificare la firma chimica del vetro vulcanico che tiene insieme i minerali».

I ricercatori hanno effettuato una nuova analisi geochimica per collegare questa “impronta digitale” dello spesso strato di cenere vulcanica dal sito degli ominidi di Kamoya (KHS) con un’eruzione del vulcano Shala, a più di 400 chilometri di distanza. Il team ha quindi datato i campioni di pomice dal vulcano a 230.000 anni fanno e fa notare: «Poiché i fossili di Omo I sono stati trovati più in profondità di questo particolare strato di cenere, devono avere più di 230.000 anni».ùLa Vidal aggiunge: «Prima ho scoperto che c’era una corrispondenza geochimica, ma non avevamo l’età dell’eruzione di Shala». Per questo i campioni sono stati inviati ai coautori dello studio Dan Barfod e Darren Mark allo Scottish Universities Environmental Research Centre (SUERC) di Glasgow, perchè potessero misurare l’età delle rocce e la Vidal si è trovata di fronte a qualcosa di eccezionale: «Quando ho ricevuto i risultati e ho scoperto che l’Homo sapiens più antico della regione era più vecchio di quanto si pensasse in precedenza, ero davvero entusiasta».

Il co-leader dell’indagine sul campo, l’etiope Asfawossen Asrat, che al momento della ricerca lavorava all’università di Addis Abeba e che ora è alla Botswana International University of Science & Tecnology, soittolinea che «La formazione Omo Kibish è un vasto deposito sedimentario al quale in passato ei è stato a malapena consentito l’accesso e lo studio. Il nostro sguardo più da vicino alla stratigrafia della Formazione Omo Kibish, in particolare agli strati di cenere, ci ha permesso di portare indietro l’età del più antico Homo sapiens della regione ad almeno 230.000 anni».

Un altro autore dello studio, Aurélien Mounier del  Musée de l’Homme di Parigi. Evidenzia quale sia l’importanza di questa scoperta: «A differenza di altri fossili del Pleistocene medio che si pensa appartengano alle prime fasi del lignaggio Homo sapiens, Omo I possiede caratteristiche umane moderne inequivocabili, come una volta cranica alta e globosa e un mento. La nuova data stimata, lo rende,  de facto, il più antico Homo sapiens incontrastato in Africa».

I ricercatori sono però convinti che non si tratti della scoperta “definitiva” sull’origini della nostra specie:  «Mentre questo studio mostra una nuova età minima per l’ Homo sapiens nell’Africa orientale, è possibile che nuove scoperte e nuovi studi possano estendere l’età della nostra specie ancora più indietro nel tempo». E la Vidal è d’accordo: «Possiamo datare l’umanità solo in base ai fossili che abbiamo, quindi è impossibile dire che questa sia l’età definitiva della nostra specie. Lo studio dell’evoluzione umana è sempre in movimento: i confini e le linee temporali cambiano man mano che la nostra comprensione migliora. Ma questi fossili mostrano quanto siano resilienti gli esseri umani: siamo sopravvissuti, abbiamo prosperato e migrato in un’area così soggetta a disastri naturali».

Per Oppenheimer. «Probabilmente non è una coincidenza che i nostri primi antenati vissero in una Rift Valley così geologicamente attiva: raccoglieva le precipitazioni nei laghi, fornendo acqua dolce e attirando animali, e fungeva da corridoio naturale di migrazione che si estendeva per migliaia di chilometri. I vulcani fornivano materiali fantastici per realizzare strumenti in pietra e di tanto in tanto dovevamo sviluppare le nostre capacità cognitive quando grandi eruzioni trasformavano il territorio».

La  co- autrice dello studio,  Christine Lane,  a capo del Cambridge Tephra Laboratory dove è stato svolto gran parte del lavoro di datazione, è soddisfatta ma non paga dei risultati ottenuti: «Il nostro approccio forense fornisce una nuova età minima per l’Homo sapiens nell’Africa orientale, ma la sfida rimane ancora quella di fornire un limite, un’età massima, per la loro comparsa, che si ritiene ampiamente che abbia avuto luogo in questa regione. E’ possibile che nuove scoperte e nuovi studi possano estendere l’età della nostra specie ancora più indietro nel tempo».

La Vidal conclude: «Ci sono molti altri strati di cenere che stiamo cercando di mettere in correlazione con le eruzioni dell’Ethiopian Rift e i depositi di cenere di altre formazioni sedimentarie. Col tempo, speriamo di limitare meglio l’età di altri fossili nella regione».