Coronavirus, cosa ci aspetta dopo il picco? Gli scenari per la vita che riprende con cautela

L’epidemia dovrà essere gestita nella sua fase di mantenimento, riaprendo alla possibilità di ritornare a una vita normale senza far riesplodere il contagio

[26 Marzo 2020]

L’epidemia da coronavirus Sars-Cov-2 è un’invasione di un agente esterno che avviene passando da un individuo all’altro, dalla quale la popolazione mira a difendersi con l’isolamento. Di naturale il fenomeno ha due aspetti: il fatto che il virus da una persona può passare ad altri, con la nota moltiplicazione dei casi, e la difficoltà ad avanzare nella popolazione poiché il numero dei contagiabili si restringe. Difatti, almeno per un certo tempo, quelli che hanno avuto la malattia in forma più o meno lieve, in genere, non la riprendono. Questo deterrente si vede ancora poco, dato il basso numero dei contagiati in rapporto alla popolazione totale, ma a questo proposito c’è una discussione sul loro reale numero che grosso modo sembra essere 10 volte tanto quello rilevato ufficialmente.

A parte questi due aspetti che sono oggettivi e facilmente prevedibili, lo sviluppo dell’epidemia dipende dalla risposta della popolazione la quale, in assenza di un vaccino, ha una sola arma: limitare i contatti impedendo quindi al virus di diffondersi. Il comportamento della popolazione dipende dalla percezione del pericolo, dato che il danno che si subisce da un contagio si manifesta dopo qualche giorno. La reazione è diversa da quella che si ha se il danno è immediato, come quando toccando un oggetto molto caldo uno si scotta e quindi ritrae subito la mano. Nel caso del virus occorre prevenire la risposta, modificando coscientemente e volontariamente (anche per via normativa come avviene coi decreti governativi) i modelli culturali di convivenza civile ai quali siamo abituati, e che sono basati sull’incontro e lo scambio.

Da qui la difficoltà a creare scenari in base a delle leggi di comportamento umane che, data la novità della situazione, non sono ben definite a priori e quindi vanno rilevate dai dati disponibili. Cosicché le “previsioni” sono costrette a rincorrere le ultime tendenze dell’epidemia, che sposta sempre in avanti e in alto l’asticella. Ma l’utilità degli scenari consiste soprattutto nel creare dei punti di riferimento per noi tutti che ci troviamo a vivere un’esperienza totalmente nuova, senza sapere cosa attenderci tra un mese o un anno. Sapendo che proprio il nostro comportamento può smentire, in meglio o in peggio, questi scenari.

Il nocciolo del problema è il tasso di crescita dei nuovi contagiati (calcolato dividendo i nuovi contagiati per quelli di 5 giorni prima, dato il periodo medio di incubazione), che è in calo (vedi la curva nella figura allegata), con alterne vicende, dall’inizio dell’epidemia in Italia. Ma il calo generale non basta per frenare in tempi brevi l’epidemia. Occorrono le misure di contenimento che stanno producendo un’accelerazione nel calo del tasso di crescita (vedi la parte finale della curva). Per costruire nuovi scenari possibili occorre considerare le ultime tendenze, sperando che si mantengano nei giorni a venire. Potrebbero peggiorare, e il tasso di crescita aumentare o, al contrario, come si spera, migliorare.

Attualmente, sempre con il modello già mostrato (lievi modifiche consistono nel calcolo del tasso di crescita dei nuovi contagiati come indicato sopra, e nel calcolo dei deceduti) e utilizzando le ultime tendenze, il picco dei contagiati sarebbe il 2-3 aprile con 68mila contagiati totali (vedi la figura allegata). I contagiati mettono sotto pressione il sistema sanitario dato che una parte viene ospedalizzata e alcuni di questi, attualmente dal 6 al 10% dei contagiati, devono andare in terapia intensiva per la quale i posti letto erano, all’inizio della epidemia, circa 5mila in tutta Italia (oggi sono oltre 8mila, il 64% in più) e siamo già alla saturazione in Lombardia dove si concentra il 43% dell’epidemia ma solo il 17% della popolazione italiana. Come dire che in Lombardia c’è due volte e mezzo l’intensità del fenomeno che mediamente si rileva al livello nazionale.

L’epidemia, toccato il picco, dovrà essere gestita nella sua fase di mantenimento, riaprendo alla possibilità di ritornare a una vita normale, senza far riesplodere il contagio. È necessario dunque cercare di capire quale sarà lo scenario successivo alla fase acuta dell’emergenza, e in particolare quale tasso di crescita del contagio ci possiamo permettere senza che questo divenga esplosivo. Il tema è estremamente delicato, ma discuterlo è lecito.

Non si potrà pensare di cambiare le misure di contenimento fintanto che la domanda di posti letto in terapia intensiva sia sotto la soglia della disponibilità. Per avere un certo margine di sicurezza abbiamo stabilito in 60mila i contagiati sostenibili, che al massimo richiedono 6mila posti letto. Scesi di nuovo a 60mila contagiati (al 25 marzo eravamo a 57mila), il che dovrebbe avvenire il 12 aprile, si potrebbe pensare a riaprire, soprattutto in considerazione delle conseguenze economiche cui la forzata chiusura delle attività può portare.

Ma da ogni allentamento delle misure di distanziamento sociale ci si può attendere un aumento del tasso di crescita dei contagiati. Con il modello si può vedere quale potrebbe essere un tasso di crescita sostenibile che, mantenuto costante dopo il 12 aprile, non porti alla crescita esponenziale. Questo tasso, nella configurazione attuale del modello, sembrerebbe essere intorno al 3% (esattamente il 2,8%). Tassi superiori, come il 4%, farebbero aumentare di nuovo il numero dei contagiati (vedi figure allegate). Per capire di cosa si tratta basti pensare che nelle prime settimane dell’epidemia, quando la vita si svolgeva normalmente, eravamo con il 30-40% circa di tasso di crescita dei contagiati. Quindi si tratterebbe di riaprire 1/10 delle normali attività di interazione sociale.

Probabilmente una strategia sarà quella di prendere provvedimenti che riguardino territori limitati in modo da poter contenere i possibili errori. Sicuramente giocherà molto la densità abitativa: dove è maggiore più caute le aperture, e viceversa. Anche il sesso potrebbe contare, visto che dai dati disponibili emerge che il virus è più aggressivo negli uomini e meno nelle donne; lo stesso si può dire riguardo all’età, dato che i soggetti sotto i 50 (e soprattutto i 30) anni sono meno esposti alle conseguenze drammatiche cui può portare Covid-19. E poi una maggiore attenzione ai contagi silenziosi, cioè dagli asintomatici, dovrebbe prevenire lo sviluppo del contagio da focolai.

Insomma dagli errori della prima fase ci dovrebbe essere il modo di trarre insegnamenti per la gestione della fase di mantenimento, in attesa o che tutta la popolazione sia contagiata o che giunga il vaccino. Questa è la situazione di fronte alla quale si troverà il Governo nei prossimi mesi. Sarebbe bene fare un piano (forse c’è già? Temo di no) nel quale siano stabilite delle priorità nella riapertura delle attività, per riportare il sistema sociale alla sua normalità.