A cosa serve la ricerca spaziale? Samantha Cristoforetti al centro di Protonterapia trentino

La prima astronauta italiana a volare ha iniziato da qui il suo Post Flight Tour

[6 Ottobre 2015]

Samantha Cristoforetti ha iniziato il suo Post Flight Tour da Trento, città cui la legano le origini e l’intensa ricerca in ambito scientifica spaziale che è di casa in Trentino. Due giorni di incontri che si sono aperti e chiusi al Muse di Trento, e che hanno rappresentato un’ottima occasione per tornare a rispondere a critici e scettici: mentre centinaia di persone nel mondo ancora muoiono di fame, che senso ha dedicare ingenti risorse all’esplorazione spaziale?

La prima donna italiana a volare nello spazio, assieme agli altri due astronauti che hanno partecipato con lei per 200 giorni alla recente missione spaziale Futura (l’americano Terry Virts della Nasa e il russo Anton Shkaplerov della Roscosmos) ha portato testimonianze concrete, oltre all’entusiasmo. L’esperienza all’interno della Stazione spaziale internazionale è puntellata di esperimenti scientifici altrimenti impossibili da svolgersi al di qua dell’atmosfera. 200-250 quelli condotti dagli astronauti, ogni giorno, per conto delle diverse agenzie spaziali.

Esperimenti per cercare cosa? Se lo scopo di allargare i confini della conoscenza umana non fosse ancora abbastanza ambizioso, sarebbe utile tornare a spulciare lo scambio epistolare condotto 44 anni fa da Ernst Stuhlinger, allora direttore scientifico della Nasa, con una suora dubbiosa circa l’utilità della ricerca spaziale. «Lavorando al programma spaziale – rispose Stuhlinger posso dare il mio contributo per alleviare e forse risolvere gravi problemi come la povertà e la fame sulla Terra […] I progressi significativi nella soluzione di problemi tecnici non sono spesso realizzati attraverso un approccio diretto, ma tramite obiettivi più grandi e ambiziosi che portano a una maggiore motivazione per l’innovazione, che spingono l’immaginazione oltre e fanno sì che gli uomini diano il loro meglio, e che innescano catene a reazione».

Un legame che vale tuttora, e un esempio d’eccellenza arriva oggi proprio dal Trentino. Cristoforetti, Virts e Shkaplerov hanno visitato anche il centro di Protonterapia di Trento di via al Desert (inaugurato esattamente un anno fa), osservando le strutture meccaniche che permettono la movimentazione dei macchinari medici e approfondendo le attività di ricerca  svolte a Trento nel campo della radiobiologica. Una visita, quella degli astronauti al centro, non casuale: un’eccellenza della sanità italiana, il primo attivo in Italia, il quinto in Europa (ma l’unico pubblico) per curare con più efficacia i tumori radiosensibili e molte neoplasie infantili. Costato 104 milioni di euro, il centro a regime può curare circa 700 pazienti l’anno provenienti da tutte le regioni d’Italia, oltre che dal resto d’Europa.

Particolare rilevante, la protonterapia è una forma particolare di radioterapia che utilizza, al posto dei raggi-X ad alta energia (fotoni), particelle elementari dotate di massa e carica (protoni): un tipo di radiazioni analogo a quello cui sono sottoposti gli astronauti nello spazio, e qui utilizzato per curare tumori che affliggono i bambini europei. Ecco a cosa serve la ricerca spaziale.