L’aviazione sta entrando in concorrenza con l’industria del cibo per animali domestici
Volano maiali: per alimentare un volo aereo da Parigi a New York serviranno 8.800 maiali (morti)
Viene dall’Italia la metà di biocarburanti prodotti da grassi animali
[1 Maggio 2023]
Secondo il briefing “Pigs do fly! Growing demand for animal fats biofuels to power Europeʼs transport system raises concerns over climate impacts and potential fraud” pubblicato da Transport & Environmente (T&E) «Per un volo da Parigi a New York potrebbero servire in futuro fino a 8.800 maiali morti. Questa sarebbe la quantità di suini necessaria a ricavare i grassi animali con cui produrre il carburante utile per quella tratta aerea, nel caso di un volo alimentato al 100% da biodiesel. Se gli animal fats dovessero diventare la principale materia prima per produrre Sustainable Aviation Fuels (SAF), i cosiddetti “carburanti sostenibili per l’aviazione”, il crescente uso di grassi animali per alimentare il trasporto aereo e su strada, in Europa, diverrà insostenibile».
I grassi animali fusi sono un sottoprodotto della produzione industriale di carne e hanno una serie di usi più o meno sorprendenti. Finora, i grassi animali sono stati utilizzati soprattutto negli alimenti per animali domestici e nell’industria oleochimica (ad esempio nei saponi, cosmetici). Ma attualmente vengono sempre più utilizzati per produrre carburanti per auto e camion. Recentemente, diverse compagnie aeree, comprese Ryanair e Wizz Air, hanno stretto grossi accordi con i fornitori di petrolio (compresa Eni) peri Sustainable Aviation Fuel (SAF). Anche se i dettagli delle materie prime esatte utilizzate nei SAF sono per lo più vaghi, le proiezioni ottenute dalla società di consulenza Stratas Advisors rivelano che i grassi animali dovrebbero essere la materia prima “di scarto” più comunemente utilizzata in questa tipologia di carburanti, insieme all’olio da cucina esausto.
Come dimostra lo studio “The fat of the land – The impact of biofuel demand on the European market for rendered animal fats” realizzato da Cerulogy per conto di T&E, «Esiste già una notevole pressione sugli approvvigionamenti di grasso animale poiché il biodiesel a base di grassi animali è raddoppiato negli ultimi 10 anni ed è 40 volte superiore rispetto al 2006».
Secondo T&E, «Serve maggiore trasparenza affinché i consumatori sappiano cosa finisce (e cosa potrebbe finire nei prossimi anni) nei loro serbatoi, nonché cosa alimenta i loro voli.
L’Unione europea ha promosso questo sottoprodotto della zootecnia intensiva come una soluzione per ridurre il carbon footprint dei carburanti per il trasporto: «Si è partiti dalle automobili fino a estendere l’impiego di questi prodotti anche agli aerei e, in misura minore, alle navi – ricorda l’associazione ambientalista – Tuttavia, il primo limite da affrontare è la scarsità di questi residui dell’industria della carne. I grassi animali sono necessari (e difficilmente sostituibili) per l’industria del pet food, dei saponi e della cosmesi; ma quasi la metà di tutti i grassi animali europei, attualmente, è destinata alla produzione di biodiesel, e da qui al 2030 il consumo di biocarburanti prodotti con questa materia prima potrebbe triplicare, innescando una forte competizione tra diversi settori. Inoltre, va ricordato che si tratta dello scarto di un’industria, quella della zootecnia intensiva, a sua volta insostenibile in termini di emissioni di gas serra e le cui dimensioni e la cui produzione necessitano di essere radicalmente ripensati, se si vuole proteggere il clima. In prospettiva, i biocarburanti prodotti dai grassi animali si rivelano quindi una soluzione non scalabile e insostenibile per la decarbonizzazione dei trasporti».
C’è anche un altro grosso rischio: che I grassi animali di categoria 3 (di qualità superiore e impiegati solitamente nelle industrie a maggior valore aggiunto) vengano artatamente “declassati” ed etichettati come di categoria 1 e 2 per poter essere utilizzati nel settore trasporti e beneficiare di un doppio incentivo economico (riconosciuto per legge a questo tipo di addizione “rinnovabile”). Di fatto una frode industriale vera e propria».
Lo studio di Cerulogy mostra infatti una forte discrepanza tra i dati riportati dagli stati membri dell’Ue e quelli dell’industria dei grassi animali che nel 2021, ha dichiarato di poter offrire al mercato poco meno di mezzo milione di tonnellate di grassi animali di tipo 1 e 2, mentre gli Stati membri hanno invece riportato un impiego di queste materie per circa 1 milione di tonnellate. Nonostante l’incentivo ai fornitori di carburante affinché diano priorità ai grassi di categoria 1 e 2, dal 2014 l’uso di questi grassi animali di bassa qualità è cresciuto solo del 36%, contro il 160% dei grassi animali di qualità superiore (Cat 3) utilizzati in altre industrie.
Per T&E, «Questa discrepanza dovrebbe accendere un campanello d’allarme specialmente per l’Italia, che impiega circa il 50% di tutto lo stock Ue di queste materie prime “di scarto” e che, pertanto, risulta essere il principale utilizzatore di grassi animali di categoria 1 e 2 nella produzione di biodiesel: circa 440.000 tonnellate raffinate nel solo 2021».
Carlo Tritto, policy officer di T&E Italia, ha sottolineato che «Così come gli oli esausti da cucina, anche i grassi animali risultano essere potenzialmente fraudolenti. Queste materie prime sono scarse e necessarie in altre industrie a maggior valore aggiunto, come quella del pet food o della cosmesi. Impiegarle per la produzione di biocarburanti non è una soluzione scalabile né tanto meno sostenibile, in quanto spinge i settori concorrenti all’uso di feedstock alternativi e assolutamente negativi da un punto di vista ambientale e climatico, come ad esempio l’olio di palma. In tal senso la strategia italiana di puntare sui biocarburanti come soluzione per la decarbonizzazione dei trasporti appare fallace. Ci auguriamo che il Governo, specialmente nel contesto della revisione del PNIEC, non voglia avallare quelle che appaiono, a tutti gli effetti, frodi deliberate».
Il crescente uso dei grassi animali per produrre biocarburanti sta diventando un problema per le industrie del pet food e per quelle di saponi e cosmetici, che fanno largo uso di questa componente organica e hanno poche o nessuna alternativa per sostituirla.
La Direttiva europea sull’Energia Rinnovabile (RED) incoraggia la produzione di grassi animali per i carburanti da trasporto, consentendo ai fornitori di carburante di raggiungere gli obiettivi sulle rinnovabili grazie al loro utilizzo. Infatti, la RED dà priorità alle categorie 1 e 2 per i carburanti da trasporto, assegnando loro il doppio del loro contenuto energetico (e quindi un doppio incentivo economico) nel raggiungimento degli obiettivi. Il 7 aprile le organizzazioni imprenditoriali FEDIAF EuropeanPetFood, AGAP e FEFAC avevano espresso un prudente apprezzamento per l’accordo politico provvisorio concluso tra il Parlamento europeo e il Consiglio Ue sulla revisione della direttiva sulle energie rinnovabili ma avevano anche evidenziato che «Mentre il settore dei biocarburanti può prosperare grazie alle materie prime elencate nell’allegato IX della direttiva sulle energie rinnovabili, le nostre industrie non possono funzionare in modo sostenibile senza l’accesso a quantità sufficienti di grassi animali di categoria 3. Un aumento della domanda di biocarburanti potrebbe deviare i grassi animali di categoria 3 dagli alimenti per animali domestici, mangimi e usi oleochimici. In linea con L’European Green Deal, chiediamo ai legislatori di sostenere le nostre industrie proteggendo la continuità dell’accesso alle materie prime. E’ essenziale garantire parità di condizioni tra i diversi usi della biomassa. Per le nostre industrie, i grassi animali di categoria 3 sono uno degli ingredienti chiave. Pertanto, APAG, FEDIAF e FEFAC chiedono un forte principio di utilizzo a cascata e una gerarchia dei rifiuti per ridurre al minimo gli effetti distorsivi sul mercato delle materie prime della biomassa e gli impatti dannosi sulla biodiversità».
Anche le associazioni europee di produttori di cibo per animali denunciano che «La quota di grassi animali fusi di categoria 3 utilizzata per i biocarburanti è costantemente aumentata, mentre la sua quota per le nostre industrie è notevolmente diminuita negli ultimi anni. Ciò sta creando ulteriore pressione sul mercato, portando a gravi distorsioni della concorrenza. La disponibilità è limitata, non flessibile e dipendente dal consumo di carne. Pertanto, ancora una volta, chiediamo ai legislatori di mantenere la categoria 3 dei grassi animali dall’allegato IX anche nei prossimi anni. Le industrie oleochimiche, del cibo per animali e dei mangimi sono fattori abilitanti di un’economia circolare e un esempio di simbiosi industriale: trasformiamo i grassi animali fusi (categoria 3), un sottoprodotto proveniente dall’industria della trasformazione e trasformazione della carne, in una grande varietà di bio prodotti a base di mangimi che, a loro volta, sono utilizzati da altri settori. Di conseguenza, le nostre industrie mantengono le materie prime rinnovabili nell’economia circolare e contribuiscono a raggiungere gli obiettivi dell’European Green Deal».
Il briefing T&E fa notare che «Nel peggiore degli scenari possibili, quello in cui l’olio di palma vergine arrivi a sostituire i grassi animali nell’industria oleochimica (saponi, cosmetici), alle emissioni di CO2 dei biocarburanti a base di grassi animali andrebbero sommate quelle prodotte per incrementare la produzione di olio di palma: questo renderebbe la produzione di biocarburanti due volte più dannosa per il clima del diesel convenzionale».
Tritto aggiunge che «Gli usi concorrenti dei grassi animali mettono a nudo la sfida di incrementare la produzione di biocarburanti di scarto. I grassi animali non crescono sugli alberi, ma provengono dall’allevamento intensivo. I fornitori di alimenti per animali domestici, per esempio, dovranno ridurre la sostenibilità dei loro prodotti utilizzando al loro posto l’olio di palma. È semplicemente l’ennesimo greenwashing legato ai biocarburanti: i prodotti di scarto sono pochi e necessari per altre industrie e invece vengono utilizzati, probabilmente con etichettature fraudolente, per la produzione di biocaburanti che riducono le emissioni solo in teoria. Se questi vettori sono analizzati nel loro intero ciclo di vita ci si rende conto che emettono più del diesel fossile. E la cosa peggiore è che tutto questo avviene a completa insaputa di cittadini e consumatori, con lauti incentivi economici».
Per ridurre il potenziale di frode e le conseguenze negative derivanti dalla sottrazione di grassi animali utilizzati in altre industrie, T&E chiede ai policy maker di «Escludere la categoria 3 dei grassi animali dall’elenco delle materie prime ammissibili per i biocarburanti».