Terre e rocce da scavo: le novità spiegate da Arpat

[27 Settembre 2013]

Dal 21 agosto 2013 è nuovamente cambiata la norma di riferimento per utilizzare come sottoprodotti i materiali da scavo di tutti i cantieri (piccoli compresi). Fanno eccezione solo quelli sottoposti a Valutazione integrata ambientale (di seguito VIA) o Autorizzazione integrata ambientale (di seguito AIA) che per quantitativi superiori ai 6000 mc rimangono sottoposti al regolamento di cui al DM 161/2012 che prevede la presentazione del Piano di Utilizzo.

Le nuove disposizioni sono contenute nell’articolo 41-bis  (Ulteriori disposizioni in materia di terre e rocce da scavo) del “Decreto del fare”, convertito nella legge 98/2013, in vigore dal 21 agosto 2013.

L’articolo citato detta nuove disposizioni in materia di terre e rocce da scavo, indicando come gestire i materiali da scavo a cui non si applichi il DM 161. In base all’articolo 41 bis i materiali da scavo sono sottoposti al regime di cui all’articolo 184-bis del Dlgs 152/2006 (quindi al regime dei sottoprodotti e non a quello dei rifiuti) per qualunque quantitativo, proveniente da cantieri, le cui opere non sono soggette ad AIA o VIA, per quantità inferiori o uguali ai 6000 mc anche per opere soggette a VIA ed AIA. Tutto ciò a condizione che il produttore attesti, attraverso una dichiarazione (dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà ai sensi del DPR 445/2000) alle sedi ARPAT territorialmente competenti, alcune condizioni fondamentali, quali, ad esempio, che:

  1. la destinazione di riutilizzo delle rocce e terre da scavo sia certa e determinata, anche presso più siti;
  2. siano rispettate le concentrazioni soglia di contaminazione compatibili con il sito di destinazione e non vi sia pericolo di contaminazione per le acque di falda;
  3. l’utilizzo non comporti rischi per la salute o variazioni negative delle emissioni rispetto alle normali materie prime;
  4. i materiali da scavo non siano sottoposti a preventivi trattamenti fatta eccezione per la normale pratica industriale.

Nell’autocertificazione il proponente dovrà altresì indicare, oltre alla qualità, la quantità di materiali destinati al riutilizzo, il sito di deposito e i tempi previsti per il riutilizzo (indicativamente un anno). Il completo riutilizzo dei materiali da scavo deve essere poi comunicato dal produttore alle sedi ARPA competenti sul territorio.

Le attività di scavo devono essere autorizzate dagli enti competenti in quanto attività edilizie e quindi il processo di autocertificazione dovrà comunque essere coordinato, a cura del proponente, con l’iter edilizio. Il trasporto (comma 4) avviene come bene/prodotto.

ARPAT ha predisposto la modulistica da utilizzare per la gestione delle terre e rocce da scavo. Il modulo fac simile, con le relative FAQ (Frequently Asked Questions), presente sul sito Web di ARPAT, vuole rappresentare un contributo finalizzato ad informare sulle dichiarazioni relative ai materiali da scavo con riferimento all’art. 41bis del Dl 69/2013 convertito con L. 98/2013.

L’utilizzo di uno specifico modulo non è un obbligo per i proponenti, ma l’adozione omogenea di modalità uniformi rappresenta un riferimento utile per le imprese e consente ad ARPAT una più efficace gestione dei contenuti delle dichiarazioni.

Le FAQ sono state formulate sulla base delle conoscenze e valutazioni ad oggi disponibili, non è da escludere che con la progressiva applicazione sorga la necessità di revisionarle ed integrarle; così come potrà essere modificato ed integrato il modulo sulla scorta della prima esperienza applicativa.

Il controllo da parte di ARPAT sarà organizzato in due fasi:

  • controllo a campione ai fini della verifica di veridicità delle dichiarazioni;
  • approfondimento documentale ed eventualmente anche ispettivo in campo sulle dichiarazioni che presentino elementi di rischio per l’ambiente più rilevanti.

Approfondimenti 

di Arpat