E’ essenziale applicare normative più severe durante la produzione e lo smaltimento/riciclaggio dei DPF per ridurre al minimo l'impatto ambientale

Nelle mascherine usa e getta presenti nanoplastiche e altri inquinanti nocivi

Scoperti inquinanti chimici potenzialmente pericolosi che vengono rilasciati quando le mascherine vengono immerse in acqua

[5 Maggio 2021]

Lo studio “An investigation into the leaching of micro and nano particles and chemical pollutants from disposable face masks – linked to the COVID-19 pandemic”, rivela alti livelli di inquinanti, tra cui piombo, antimonio e rame, all’interno delle fibre a base di silicio e di plastica delle comuni mascherine usa e getta anti-Covid-19.

Lo studio, pubblicato su Water Research da un team di ricercatori del College of Engineering della Swansea University/Prifysgol Abertawe, è stato sostenuto dall’Institute for Innovative Materials, Processing and Numerical Technologies (IMPACT) e dallo SPECIFIC Innovation & Knowledge Centre. IMPACT è parzialmente finanziato dal Fondo europeo di sviluppo regionale attraverso il governo autonomo gallese e l’Università di Swansea e il capo del progetto e autore dello studio, Sarper Sarp, sottolinea che «Tutti noi dobbiamo continuare a indossare mascherine perché sono essenziali per porre fine alla pandemia. Ma abbiamo anche urgente bisogno di più ricerca e regolamentazione sulla produzione di mascherine, in modo da ridurre i rischi per l’ambiente e la salute umana».

I test effettuati dal team di ricerca gallese hanno utilizzato una varietà di mascherine: da quelle standard per il viso a quelle nuove e “allegre” per bambini, molte delle quali sono attualmente vendute al dettaglio nel Regno Unito.

L’aumento delle mascherine monouso e dei rifiuti loro associati, dovuto alla pandemia di Covid-19, era già stato documentato come una nuova causa di inquinamento. Il nuovo studio puntava a esplorare questo collegamento diretto attraverso indagini per identificare il livello di sostanze tossiche presenti.

I ricercatori dicono che «I risultati rivelano livelli significativi di inquinanti in tutte le mascherine testate, con micro/nano particelle e metalli pesanti rilasciati nell’acqua durante tutti i test» e avvertono che «Questo avrà un impatto ambientale sostanziale e, inoltre, solleverà la questione del potenziale danno alla salute pubblica». Inoltre, «L’esposizione ripetuta potrebbe essere pericolosa poiché le sostanze trovate hanno legami noti con la morte cellulare, la genotossicità e la formazione del cancro».

Per affrontare questo problema, il team dell’università gallese – che comprende anche Trystan Watson, Javier Delgado Gallardo e Geraint Sullivan  – consiglia di «Attuare ulteriori ricerche e successive normative nel processo di produzione e verifica».

Sarp ha concluso: «In uno sforzo globale per contrastare la diffusione del nuovo virus SARS-CoV-2, nella sola Cina la produzione di mascherine facciali usa e getta in plastica (DPF) ha raggiunto circa i 200 milioni di pezzi al giorno. Tuttavia, lo smaltimento improprio e non regolamentato di questi DPF è un problema di inquinamento da plastica che stiamo già affrontando e che continuerà ad intensificarsi. Esiste una quantità preoccupante di prove che suggeriscono che i rifiuti deli DPF possono potenzialmente avere un impatto ambientale sostanziale rilasciando sostanze inquinanti semplicemente esponendole all’acqua. Molti degli inquinanti tossici trovati nella nostra ricerca hanno proprietà bioaccumulative quando vengono rilasciati nell’ambiente e i nostri risultati dimostrano che i DPF potrebbero essere una delle principali fonti di questi contaminanti ambientali durante e dopo la pandemia di Covid-19. E’ quindi essenziale applicare normative più severe durante la produzione e lo smaltimento/riciclaggio dei DPF per ridurre al minimo l’impatto ambientale. E’ inoltre necessario comprendere l’impatto sulla salute pubblica di una tale lisciviazione di particelle. Una delle principali preoccupazioni di queste particelle è che si sono facilmente staccate dalle mascherine facciali e lisciviate nell’acqua senza agitarle, il che suggerisce che queste particelle sono meccanicamente instabili e prontamente disponibili a staccarsi. Pertanto, è necessaria un’indagine completa per determinare le quantità e gli impatti potenziali di queste particelle che penetrano nell’ambiente e i livelli che vengono inalati dagli utenti durante la normale respirazione. Questa è una preoccupazione significativa, soprattutto per gli operatori sanitari, i lavoratori essenziali e i bambini ai quali è  richiesto di indossare mascherine per grandi periodi della giornata lavorativa o scolastica».