La microplastica “mancante” è in fondo all’oceano ed è molto piccola (VIDEO)

Le piccole microplastiche sono inquinanti e bisogna valutare la contaminazione da plastica nella biomassa

[3 Febbraio 2022]

Sulla superficie degli oceani di tutto il mondo galleggiano circa 51 trilioni di frammenti di microplastiche che provengono dalla degradazione di diversi tipi di plastica. Questi minuscoli frammenti lunghi meno di 5 millimetri inquinano gli ecosistemi marini e costieri. Centinaia di studi hanno esaminato i rifiuti di  plastica sulla superficie o vicino alla superficie degli oceani, ma “graffiano solo la superficie” e non forniscono un inventario completo di ciò che si nasconde sotto.   A falrlo è invece il nuovo studio “Large quantities of small microplastics permeate the surface ocean to abyssal depths in the South Atlantic Gyre”, pubblicato su Global Change Biology da un team di ricercatori statunitensi, giapponesi e olandesi guidato da Shiye Zhao della Florida Atlantic University (FAU) e della  Japan Agency for Marine-Earth Science and Technology, che è il primo a svelare la prevalenza della plastica nell’intera colonna d’acqua di una zona di accumulo di plastica offshore nell’Oceano Atlantico meridionale e che dimostra come l’oceano nel suo complesso sua il luogo dove si nasconde la plastica “mancante”.

Secondo la FAU, i risultati dello studio dimostrano che «Le piccole microplastiche sono fondamentali, poco esplorate e sono parte integrante dell’inventario della plastica oceanica. Inoltre, i risultati mostrano che i deboli sistemi di correnti oceaniche contribuiscono alla formazione di piccoli hotspot di microplastica in profondità», suggerendo che ci sia una probabilità più elevata che organismi come lo zooplancton si possano cibare di microplastiche.

L’autore senior dello studio, il biologo dell’ Harbour Branch Oceanographic Institute e dell’ Harriet L. Wilkes Honors College della FAU Tracy Mincer,  spiega che «Il nostro studio evidenzia l’urgenza di una maggiore quantificazione delle microplastiche delle profondità oceaniche, in particolare della frazione di dimensioni più piccole, per comprendere meglio l’esposizione dell’ecosistema e prevedere il destino e gli impatti di queste microplastiche».

Per avere una migliore comprensione meccanicistica di come la plastica affonda dalla superficie dell’oceano oltre lo strato intermedio e, infine, fino alle profondità abissali, i ricercatori hanno campionato le particelle di plastica nel South Atlantic Subtropical Gyre utilizzando la filtrazione in situ ad alto volume, la rete Manta e Campionamento MultiNet, combinato con la tecnica micro-Fourier-transform-infrared imaging, scoprendo che «Le abbondanze e i modelli di distribuzione delle piccole microplastiche variavano geograficamente e verticalmente a causa dei diversi e complessi processi di ridistribuzione che interagiscono con le diverse particelle di plastica». Hanno anche osservato grandi variazioni orizzontali e verticali nell’abbondanza delle microplastiche, che in alcuni casi mostrano tendenze verticali inverse. L’abbondanza di piccole microplastiche nei campioni delle pompe era superiore di oltre due ordini di grandezza rispetto alle grandi microplastiche raccolte contemporaneamente nei campioni MultiNet.

Zhao ricorda che «Le piccole microplastiche sono diverse dalle grandi microplastiche per quanto riguarda la loro elevata abbondanza, natura chimica, comportamento di trasporto, fasi degli agenti atmosferici, interazioni con gli ambienti naturali, biodisponibilità ed efficienza di rilascio degli additivi plastici. Queste caratteristiche distinte hanno un impatto sul loro destino ambientale e sui potenziali impatti sugli ecosistemi marini».

I polimeri a densità più elevata come le resine alchidiche, utilizzati nella maggior parte dei rivestimenti commerciali a base di olio come le vernici per gli scafi delle navi, e la poliammide, comunemente usata nei tessuti come abbigliamento, corde e reti da pesca, costituivano oltre il 65% dei campioni della pompa e i ricercatori fanno notare che «Questa scoperta evidenzia una discrepanza tra le composizioni polimeriche delle precedenti indagini sulla superficie oceanica, che sono tipicamente dominate da polimeri galleggianti come il polietilene utilizzato per il confezionamento di film e sacchetti della spesa e il polipropilene utilizzato per contenitori di plastica e bottiglie d’acqua riutilizzabili».

Lo studio evidenzia che «Rispetto alle grandi microplastiche raccolte con la rete, le piccole particelle di microplastica sono maggiormente più altamente ossidate e sembrano avere una vita più lunga nella colonna d’acqua, suggerendo maggiori rischi per la salute dell’ecosistema marino attraverso il possibile bioassorbimento di particelle di plastica e sostanze chimiche associate e potenziali impatti sui cicli biogeochimici globali».

Mincer spiega ancora: «Man mano che le particelle di plastica si disintegrano in frazioni di dimensioni più piccole, possono diventare dannose in modi diversi e imprevedibili che solo ora iniziano a essere compresi. Queste microplastiche di dimensioni micron possono spostarsi attraverso l’epitelio intestinale, rimanere intrappolate nella biomassa e hanno il potenziale per potersi trasferire attraverso le reti alimentari marine, ponendo un rischio ecologico sconosciuto e di impatti biogeochimici».

Dato che in tutto il mondo lo sforzo di pesca e il consumo di pesce sono in aumento, i ricercatori concludono: «Sono urgentemente necessari studi incentrati sull’ingestione di microplastiche più piccole per valutare l’entità della contaminazione da plastica nella biomassa».

Videogallery

  • Research footage of missing microplastics deep in the ocean