Greenpeace: l’insostenibile peso di 7 miliardi di bottiglie di plastica in Italia

Greenpeace UK: le multinazionali petrolchimiche non vogliono regole contro le microplastiche

[2 Luglio 2021]

Secondo il rapporto “L’insostenibile peso delle bottiglie di plastica” pubblicato da Greenpeace, «In Italia più del 60% delle bottiglie immesse sul mercato ogni anno non viene riciclato. Un business in mano a poche aziende leader che porta dritto all’inquinamento massiccio dei nostri mari».  Greenpeace Italia evidenzia che dal suo rapporto si deduce che «Circa 7 miliardi di contenitori in PET (Polietilene Tereftalato, il tipo di plastica utilizzato per produrli) da 1,5 litri, usati per confezionare le acque minerali e le bevande, rischiano di essere dispersi nell’ambiente e nei mari. A ciò si aggiungono le emissioni di gas serra generate dalla produzione delle bottiglie non riciclate, pari a 850 mila tonnellate di CO2 equivalenti, che aggravano la crisi climatica».

L’organizzazione ambientalista ricorda che «Siamo i primi consumatori di acqua in bottiglia al mondo, con Messico e Thailandia, ma nonostante i numeri impietosi del riciclo, le grandi aziende continuano a immetterne sempre di più sul mercato, facendo enormi profitti e non assumendosi alcuna responsabilità sul corretto riciclo e sul recupero a fine vita. Se vogliamo ridurre l’inquinamento da plastica nei nostri mari, le multinazionali devono fare la loro parte e promuovere soluzioni a basso impatto ambientale come l’impiego di contenitori lavabili e riutilizzabili».

Ma, a leggere i documenti ottenuti da Unearthed, la piattaforma investigativa di Greenpeace Regno Unito, le multinazionali spingono nella direzione opposta:  «I gruppi commerciali che rappresentano le più grandi compagnie petrolifere e chimiche del mondo si sono opposti a una nuova proposta innovativa per regolamentare le sostanze chimiche tossiche e persistenti nelle microplastiche».

Nina Schrank, a capo della campagna sulla plastica di Greenpeace UK, denuncia: «Sappiamo che la microplastica è ovunque, dal ghiaccio marino artico all’acqua del rubinetto, e che è collegata alla diffusione di sostanze chimiche dannose. Molte di queste sostanze finora sono sfuggite alla rete delle normative globali, ma questa proposta potrebbe cambiare le cose ed è per questo che l’industria è decisa a fermarla. Laddove vediamo un punto di svolta nella protezione della vita marina dall’inquinamento tossico, la lobby petrolifera e chimica vede solo una minaccia ai suoi profitti».

Nel 2020 il governo svizzero ha presentato una proposta per elencare nella Convenzione di Stoccolma, il trattato globale dell’Onu sugli inquinanti organici persistenti un additivo plastico ampiamente utilizzato. E’ la prima proposta a sostenere che una sostanza chimica sia elencata in parte sulla base del fatto che percorre lunghe distanze attraverso microplastiche e detriti di plastica. Sono state fatte relativamente poche ricerche sulla sostanza chimica, chiamata UV-328, che viene spesso utilizzata in prodotti in plastica, gomma, vernici, rivestimenti e cosmetici per proteggerli dai danni dei raggi UV. Ma gli scienziati temono che non si decomponga facilmente nell’ambiente, si accumuli negli organismi e possa causare danni alla fauna selvatica o alla salute umana.

La  nuova indagine di Unearthed rivela che «Potenti gruppi di lobby che rappresentano multinazionali come BASF, ExxonMobil, Dow Chemical, DuPont, Ineos, BP e Shell, si oppongono alla proposta sostenendo che non ci sono prove sufficienti per considerare l’additivo un inquinante organico persistente. E-mail e documenti ottenuti in base alle leggi sulla trasparenza dell’Environmental Protection Agency Usa dimostrano l’American Chemistry Council e l’European Chemical Industry Council sollevano preoccupazioni sul precedente che la proposta potrebbe creare».

L’inserimento di questa sostanza chimica nella Convenzione di Stoccolma porterebbe a divieti di produzione o utilizzo e potrebbe essere un punto di riferimento per la regolamentazione delle sostanze chimiche nelle microplastiche. L’UV-328 è solo una delle tante sostanze chimiche aggiunte nel processo di produzione della plastica che, secondo alcuni scienziati, potrebbero diffondersi in lungo e in largo attraverso le microplastiche, ponendo potenziali rischi per la fauna selvatica, la salute umana o l’ambiente. In una riunione tenutasi a gennaio, il comitato scientifico della Convenzione ha convenuto che esistono prove sufficienti sull’UV-328 per soddisfare i criteri iniziali della Convenzione per essere considerato un inquinante organico persistente. A settembre la proposta passerà alla fase successiva del processo, in cui il comitato produrrà un profilo di rischio per decidere se l’additivo rappresenta un rischio sufficiente per giustificare un’azione globale.

La Schrank sottolinea che «Ridurre la quantità di plastica monouso in circolazione deve essere parte della soluzione, ma è esattamente ciò che l’industria non vuole fare. Il loro intero modello di business è ancora basato sulla generazione di più rifiuti e inquinamento, per non parlare delle conseguenze. Ecco perché abbiamo bisogno di un fermo intervento governativo  per reprimere le sostanze chimiche dannose, fissare obiettivi di riduzione della plastica e costringere l’industria ad assumersi la responsabilità dell’inquinamento che stanno causando».

E un deciso intervento del governo Draghi è quel che chiede anche Greenpoeace Italia: «Poche aziende leader del mercato si spartiscono il mercato delle acqueminerali (San Benedetto, Nestlé-San Pellegrino e Sant’Anna), mentre Coca Cola, San Benedetto e Nestlé-San Pellegrino dominano “la piazza” delle bibite. Non è accettabile che questi grandi marchi continuino a pubblicizzare il riciclo come soluzione quando appena il 5% del PET riciclato in Italiaviene usato per produrre nuove bottiglie! Si tratta di una situazione inaccettabile, resa possibile dall’inazione della politica che non ha definito quote obbligatorie di impiego per i contenitori riutilizzabili, né incentivato sistemi di deposito su cauzione come avviene ormai da decenni in numerosi Paesi europei. Il recepimento della direttiva europea sulle plastiche monouso, che dovrebbe avvenire entro il 3 luglio, sarebbe un’ottima occasione per ridurne subito l‘impiego e promuovere il riutilizzo seguendo l’esempio tedesco e francese. Eppure, alla viglia dell’entrata in vigore della direttiva, non abbiamo ancora alcuna indicazione dal ministro della Transizione Ecologica Roberto Cingolani sul decreto di recepimento».