Greenpeace: elevate concentrazione di microplastiche nel Capraia Gyre, nel porto di Olbia e alla foce del Tevere

Parte la nuova ricerca nel Mar Tirreno con CNR-IAS e università politecnica delle Marche

[16 Luglio 2020]

Parte oggi da Porto Santo Stefano (Grosseto) la spedizione di Greenpeace “Difendiamo il Mare”  in barca a vela e l’organizzazione ha diffuso  i risultati della ricerca condotta insieme all’Istituto per lo studio degli impatti antropici e sostenibilità in ambiente marino del Consiglio nazionale delle ricerche (CNR-IAS) di Genova e all’università politecnica delle Marche durante il tour “May  Day SOS Plastica” della primavera 2019.

Greenpeace sottolinea che «Nelle acque marine superficiali del Mar Tirreno centrale si riscontra una diffusa presenza di microplastiche, con concentrazioni elevate sia in aree fortemente impattate, come la foce del Tevere e il porto di Olbia, che in zone lontane da fonti inquinanti come l’isola di Capraia.  I risultati mostrano che nel tratto di mare investigato, come già evidenziato in varie zone del Mediterraneo (un bacino semi-chiuso con un limitato riciclo d’acqua che ne consente l’accumulo) la presenza di microplastiche è ubiquitaria e non risparmia aree potenzialmente poco impattate come Capraia, in cui è stata registrata la concentrazione più alta, oltre 300 mila particelle per chilometro quadrato. Questo dato è coerente con quanto evidenziato da altre ricerche scientifiche condotte nell’area dove, a causa di una circolazione anticiclonica nota come “Capraia Gyre”, può crearsi una zona di accumulo transitoria di microplastiche. Valori di concentrazione elevati sono stati registrati anche nel porto di Olbia e alla foce del Tevere, con oltre 250 mila particelle per chilometro quadrato, confermando come sia le aree portuali con limitata circolazione che le foci dei fiumi costituiscano zone con elevati livelli di contaminazione da microplastiche».

Campionamenti effettuati a Ventotene e alla foce del Sarno a diverse profondità e con strumentazioni differenti «mostrano variazioni fino a due ordini di grandezza del contenuto di microplastiche, con concentrazioni molto più elevate a 5 metri di profondità rispetto alla superficie. La tipologia più frequente di microplastiche riscontrata è rappresentata da frammenti, tra 1 e 3 millimetri e inferiori al millimetro, costituiti soprattutto dai polimeri in polietilene e polipropilene, ovvero le tipologie di plastica più usate».

Secondo Francesca Garaventa, referente per CNR-IAS della ricerca. «I risultati indicano che i frammenti si accumulano anche in zone teoricamente lontane da sorgenti di inquinamento. Indagini preliminari a differenti profondità nella colonna d’acqua confermano che sono necessarie ulteriori ricerche per comprendere appieno il comportamento delle microplastiche in mare che proveremo a realizzare già nella spedizione di quest’anno».

Infatti, nelle prossime settimane la spedizione “Difendiamo il mare” eseguirà indagini approfondite in varie aree del Mar Tirreno centro settentrionale, con la partecipazione ancora una volta di ricercatori del CNR-IAS e dell’università politecnica delle Marche.

Giuseppe Ungherese, responsabile campagna inquinamento di Greenpeace, conclude: «I dati raccolti confermano ancora una volta che il nostro mare è malato a causa dell’inquinamento da plastica. La pandemia che viviamo ci insegna che non c’è più tempo da perdere: dobbiamo vincere la battaglia della plastica monouso e quella invisibile della microplastica. È inaccettabile che ancora oggi siano presenti sul mercato prodotti di uso comune con microplastiche aggiunte il cui destino è contaminare il mare. L’uso di microplastiche aggiunte intenzionalmente deve essere vietato al più presto».