G7: sì allo scarico nell’oceano dell’acqua contaminata di Fukushima Daiichi

Greenpeace: ignorano la scienza, la tutela dell'ambiente e il diritto internazionale

[17 Aprile 2023]

Il G7 che si è concluso a Sappooro, in Giappone, ha appoggiato la decisione di Tokyo – osteggiata fortemente da Cina e Corea del Sud – di scaricare nell’Oceano Pacifico l’acqua contaminata della centrale nucleare di Fukushima Daiichi.  Secondo Greenpeace International, con questa decisione «Le nazioni del G7 hanno preferito la politica alla scienza e alla protezione dell’ambiente marino».

Gli ambientalisti ricordano che «Gli 1,3 milioni di metri cubi/tonnellate di acque reflue radioattive dell’impianto di Fukushima Daiichi, attualmente in serbatoi, dovrebbero essere scaricati nell’Oceano Pacifico quest’anno». Le nazioni della regione Asia-Pacifico, guidate dal Pacific Island Forum, hanno espresso con forza la loro opposizione a questi piani. In una nota pubblicata il 12 dicembre 2022, ben 100 istituzioni statunitensi riunite nei National Association of Marine Laboratories (NAML) che comprendono Scripps e Woods Hole Oceanographic Institute,  hanno evidenziato che «Molti dei radionuclidi contenuti nell’acqua di raffreddamento dei rifiuti accumulati hanno un’emivita che va da decenni a secoli, e i loro effetti deleteri vanno dal danno al DNA e dallo stress cellulare all’elevato rischio di cancro nelle persone che mangiano organismi marini colpiti, come vongole, ostriche , granchi, aragoste, gamberetti e pesce. Esortiamo il governo del Giappone a smettere di perseguire il loro rilascio pianificato e precedente dell’acqua contaminata radioattivamente nell’Oceano Pacifico e a lavorare con la più ampia comunità scientifica per perseguire altri approcci che proteggano la vita oceanica; salute umana; e quelle comunità che dipendono da risorse marine ecologicamente, economicamente e culturalmente preziose».

Shaun Burnie, senior nuclear specialist di Greenpeace East Asia, denuncia: «Il governo giapponese è alla disperata ricerca dell’approvazione internazionale per i suoi piani di scarico dell’acqua radioattiva nell’Oceano Pacifico. Non è riuscito a proteggere i propri cittadini, comprese le vulnerabili comunità di pescatori di Fukushima, così come le Nazioni in tutta la più ampia regione dell’Asia del Pacifico. Le conseguenze del disastro nucleare di Fukushima sono ancora molto sentite e il governo giapponese non è riuscito a indagare a fondo sugli effetti dello scarico di diversi radionuclidi sulla vita marina. Il governo è obbligato ai sensi del diritto internazionale a condurre una valutazione completa dell’impatto ambientale, compreso l’impatto dell’inquinamento marino transfrontaliero, ma non l’ha fatto. I suoi piani violano l’United Natios Convention Law of the Sea. L’ambiente marino è sottoposto a un’estrema pressione a causa dei cambiamenti climatici, della pesca eccessiva e dell’estrazione di risorse. Tuttavia, il G7 ritiene accettabile approvare piani per scaricare deliberatamente scorie nucleari nell’oceano. All’interno del G7 a Sapporo, la politica  ha appena prevalso su scienza, protezione ambientale e diritto internazionale».

In un editoriale del 14 aprile, il Quotidiano del Popolo, organo ufficiale del Partito Comunista cinese, scrive che «Le acque reflue hanno avuto pieno contatto con i nuclei fusi durante l’incidente nucleare di Fukushima. Contengono  oltre 60 radionuclidi, tra cui carbonio-14, iodio-129 e altri radionuclidi con tempi di dimezzamento estremamente lunghi. La parte giapponese ha affermato che l’acqua trattata da scaricare è diluita, ma non prevede di controllare il volume totale dei radionuclidi. Ha affermato che l’acqua trattata è innocua, ma non è disposta a scaricarla nei propri fiumi o a riutilizzarla in Giappone per scopi alternativi, ad esempio nella produzione e nell’agricoltura, come richiesto dai Paesi insulari del Pacifico. La mossa del Giappone è un totale autoinganno. Il piano giapponese di scaricare le acque reflue nucleari in mare pone gli interessi del Giappone al di sopra degli interessi pubblici del mondo. Nessun piano del genere è stato attuato nella storia umana. Il Giappone avrebbe dovuto condurre consultazioni complete con le parti interessate e le agenzie internazionali per determinare un piano di smaltimento sicuro. Tuttavia, ha annunciato unilateralmente il piano per rilasciare le acque reflue in mare e ha conferito un’autorità limitata alla task force dell’International energy agency (Iaea). Ha solo permesso al team di valutare il suo piano deciso, e poi ha affermato che l’Iaea ha “riconosciuto” il piano del Giappone. Molti Paesi hanno chiesto al Giappone di prendere in considerazione altre opzioni, come lo stoccaggio a lungo termine delle acque reflue, ma è stato totalmente ignorato dalla parte giapponese a causa di considerazioni economiche. La pratica arrogante e irresponsabile del Giappone ha un impatto negativo a lungo termine sulla reputazione del Paese».

il Quotidiano del Popolo ricorda che «Fino ad ora, l’incidente nucleare di Fukushima ha generato più di 1,3 milioni di tonnellate di acqua contaminata dal nucleare, che dovrebbe essere scaricata nell’oceano per un periodo di 30 anni. L’impatto dell’intero processo è altamente incerto. Le acque reflue contaminate dal nucleare contengono molti radionuclidi che non possono essere trattati efficacemente con le tecnologie esistenti. Alcuni radionuclidi a vita lunga possono diffondersi con le correnti oceaniche e formare un effetto di bioconcentrazione, che moltiplicherà la quantità totale di radionuclidi nell’ambiente. L’affidabilità dell’ALPS (Advanced Liquid Processing System) giapponese e dei relativi progetti, nel lungo periodo, è ancora in dubbio.

Secondo le statistiche pubblicate dal Giappone a marzo, il 70% delle acque reflue trattate non soddisfa ancora gli standard. Una volta rilasciati in mare, i materiali radioattivi delle acque reflue contaminate dal nucleare si diffonderanno nella maggior parte dell’Oceano Pacifico e, in 10 anni, nelle acque di tutto il mondo, causando danni incommensurabili all’ambiente marino e agli animali marini».

Il rapporto “Decommissioning of the Fukushima Daiichi Nuclear Power Station – From Plan-A to Plan-B Now, from Plan-B to Plan-C” di Greenpeace East Asia espone dettagliatamente i fallimenti della tecnologia di trattamento dei rifiuti liquidi presso l’impianto di Fukushima Daiichi e le minacce ambientali poste dagli scarichi di acque contaminate e Greenpeace International ribadisce che «Non vi è alcuna prospettiva di porre fine alla crisi nucleare della centrale poiché gli attuali piani di disattivazione non sono fattibili. Inoltre, il rapporto rileva che i detriti di combustibile nucleare nei reattori non possono essere completamente rimossi e continueranno a contaminare le falde acquifere per molti decenni. Le affermazioni secondo cui gli scarichi richiederanno 30 anni sono imprecise poiché in realtà continueranno nel prossimo secolo. Le valide alternative allo scarico, in particolare lo stoccaggio e la lavorazione a lungo termine, sono state ignorate dal governo giapponese».

Citando il “The World Nuclear Industry Status Report 2022”, l’organizzazione ambientalista evidenzia che «Il tentativo del governo giapponese di normalizzare il disastro nucleare di Fukushima è direttamente collegato al suo obiettivo generale di politica energetica di aumentare nuovamente il funzionamento dei reattori nucleari dopo il disastro del 2011. Nel 2011 erano disponibili 54 reattori rispetto ai soli 10 reattori nel 2022, generando il 7,9% dell’elettricità nazionale nel FY21 rispetto al 29% nel 2010. Nel frattempo, anche 5 degli altri 6 governi del G7 guidati da Francia, Stati Uniti e Regno Unito stanno promuovendo in modo aggressivo lo sviluppo dell’energia nucleare».

Shaun Burnie conclude: «L’idea che l’industria nucleare sia in grado di fornire un futuro energetico sicuro e sostenibile è delirante e una pericolosa distrazione dall’unica soluzione energetica praticabile all’emergenza climatica che è al 100% energia rinnovabile. La crescita globale dell’energia rinnovabile a basso costo è stata fenomenale, ma deve essere molto più rapida e su scala ancora maggiore se si vogliono ridurre le emissioni di carbonio entro il 2030. non hanno tempo per tali distrazioni. Siamo in una corsa per salvare il clima nel XXI secolo, e solo le energie rinnovabili possono farcela».