Parte dalla Toscana la nuova proposta di legge per incentivare (davvero) il riciclo in Italia

La Commissione parlamentare d’inchiesta sui rifiuti al lavoro su una pdl in grado di sostenere «il riacquisto di beni realizzati con materiale riciclato»

[3 Maggio 2017]

È inutile scorrere le oltre 400 pagine del primo Catalogo dei sussidi ambientali pubblicato dal ministero dell’Ambiente in cerca di incentivi nazionali al riciclo: in Italia non esistono. Mentre le conferenze sull’economia circolare si moltiplicano a ritmo incalzante, tra le pieghe degli (almeno) 15,7 miliardi di euro che lo Stato spende ogni anno in sussidi favorevoli all’ambiente – a loro volta affiancati da (almeno) 16,1 miliardi di euro in sussidi dannosi – nemmeno un euro è stanziato a favore del riciclo. Nel lungo elenco figurano gli incentivi rivolti al mondo dell’agricoltura, a quello dell’energia o a quello dei trasporti, le aliquote Iva agevolate. Per una qualche paradossale logica in Italia si incentiva la raccolta differenziata come anche la termovalorizzazione, ma non quanto d’importante sta nel mezzo: il riciclo.

Una prospettiva che dopo anni d’ignavia potrebbe presto registrare un sussulto. Ieri il ministro dell’Ambiente è arrivato in Toscana, a Pontedera: da una parte per celebrare l’inizio dei lavori necessari a realizzare un importante impianto di trattamento dell’organico (20 milioni di euro finanziati dall’azienda locale Geofor, 44.000 le tonnellate/anno di rifiuti organici che potrà gestire), dall’altra per visitare un’eccellenza di livello internazionale in fatto di economia circolare, Revet.

Proprio in questi giorni – comunicano dall’azienda – il ministero dell’Ambiente ha deciso di portare l’esperienza di Revet in Cina, per rappresentare l’economia circolare made in Italy all’International expo di Shanghai, dove Revet è presente con un proprio stand e con i propri vertici aziendali all’interno del padiglione italiano. Ieri, a fare gli onori di casa con il ministro ci hanno pensato il direttore dello stabilimento Massimo Rossi insieme al presidente e all’amministratore delegato di Alia Spa – l’azienda nata dalla fusione dei gestori dell’Ato Centro, che ora rappresenta il principale azionista di Revet – rispettivamente Paolo Regini e Livio Giannotti (nella foto).

Qui 170 dipendenti si occupano ogni anno di 160mila tonnellate di rifiuti, ovvero le raccolte differenziate di plastica, vetro alluminio, acciaio e tetrapak provenienti dall’80% della Toscana, che Revet valorizza e avvia a riciclo. Il fiore all’occhiello dell’azienda è l’attività di riciclo del plasmix, operata nell’impianto di Revet Recycling, dove quegli imballaggi di plastica “difficili” (che non sono né bottiglie né flaconi) vengono riciclati e trasformati in granuli con i quali si stampano nuovi oggetti di plastica. Un riciclo a km zero che rappresenta ormai un punto di riferimento in Italia e un modello di buone pratiche nell’ambito del ciclo integrato dei rifiuti: già nel 2013 lo stabilimento di Pontedera era stato visitato dall’allora ministro dell’Ambiente Andrea Orlando, mentre nel febbraio scorso ha ospitato la Commissione parlamentare sul ciclo dei rifiuti che adesso «sta lavorando – hanno anticipato ieri in Revet – a una proposta di legge per incentivare il riciclo e soprattutto il riacquisto di beni realizzati con materiale riciclato».

Un grande merito per la Commissione, anche se tutto dipenderà da quali saranno gli strumenti messi in campo nella proposta di legge. Le opportunità che meriterebbero di essere esplorate non mancano: detrazioni fiscali per mezzo del credito di imposta sull’acquisto di prodotti e arredi in materiale riciclato post consumo sono un esempio, ma un grande passo in avanti sarebbe anche solo rendere effettiva la legge vigente. Dal 2002 la Pubblica amministrazione avrebbe l’obbligo di compiere per almeno il 30% acquisti verdi (Gpp), obbligo rincarato nel 2015 con il Collegato ambientale approvato dall’attuale governo, ma i controlli e le conseguenti sanzioni non ci sono. E gli acquisti verdi rimangono al palo, con conseguenze fortemente limitanti soprattutto su quei rifiuti – come il plasmix, che da solo arriva a rappresentare oltre il 50% di tutti gli imballaggi in plastica raccolti in modo differenziato – che comportano costi industriali maggiori rispetto alla lavorazione della materia vergine per essere riciclati, oltre a un mercato di sbocco ancora embrionale che frena le possibili economia di scala.

Come ormai dovrebbe insegnare la più che decennale esperienza con le energie rinnovabili, perché anche la materia possa diventare rinnovabile è indispensabile una politica industriale coerente e di largo respiro (il che significa non esaminare soltanto la coda del problema, i rifiuti, ma l’intera catena produttiva a partire dalla miniera dove vengono estratte le materie prime), con risorse economiche dedicate. A guadagnarci non sarebbe “solo” l’ambiente in cui tutti viviamo, ma la competitività di tutto il sistema socio-economico italiano: quello di un forte Paese manifatturiero, senza però materie prime.