Tav Torino-Lione, l’analisi costi-benefici stima «una perdita di benessere pari a 7 miliardi»

Ma tra le motivazioni addotte per bocciare l’opera non spiccano certo quelle di natura ambientale

[12 Febbraio 2019]

«Considerato che i costi attualizzati di investimento “a finire” e gestione dell’opera assommano a 7,9 miliardi, il “valore attuale netto economico” ossia la perdita di benessere – differenza tra costi sostenuti e benefici conseguiti – conseguente alla realizzazione dell’opera risulta pari a 7 miliardi» di euro. È tutto qui il succo dell’analisi costi-benefici firmata da cinque su sei componenti – di estrazione tendenzialmente contraria alla realizzazione dell’opera – della struttura tecnica di missione voluta dal ministero dei Trasporti, sebbene rimangano non poche incertezze aperte: le considerazioni conclusive dell’analisi tecnico-giuridica ad esempio si aprono affermando che «i molteplici profili evidenziati non consentono di determinare in maniera netta i costi in caso di scioglimento», ovvero di non realizzazione dell’opera.

Com’è ovvio, i risultati di una simile analisi costi-benefici non possono essere asettici, ma dipendono oltre che da dati oggettivi anche da assunzioni e presupposti legittimamente formulati dal gruppo di lavoro che è chiamato a redigerla: non a caso tra le fonti (confutate) del documento appena pubblicato sul ministero dei Trasporti compaiono analisi costi-benefici redatte nel 2000 e nel 2011, con conclusioni assai diverse. In definitiva la responsabilità di bloccare o proseguire la realizzazione della Tav Torino-Lione è e rimarrà comunque di natura squisitamente politica; di certo i risultati dell’analisi offrono un assist importante alle posizioni storicamente sostenute sul tema da una delle due forze attualmente al Governo, il M5S, mentre la Lega parte da sensibilità opposte. Trovare una sintesi politica non sarà facile, ma è ormai urgente a fronte dell’ampia incertezza venutasi a creare sulla Tav a livello nazionale e internazionale.

Certo, scoraggia notare che – indipendentemente dalle scelte di natura politica sul destino dell’opera – tra le motivazioni addotte nell’analisi costi-benefici per bocciare la Tav Torino-Lione non spiccano certo quelle di natura ambientale. Nello scenario definito “realistico”, dove «i benefici economici per le merci si attestano intorno agli 1,4 miliardi e quelli per i passeggeri a 1,2 miliardi», la «componente positiva più rilevante è quella relativa alla riduzione delle esternalità ambientali e di sicurezza che risulta pari a circa 1,8 miliardi cui si somma un miliardo di diminuzione dei costi di congestione»; al contempo il gruppo di lavoro incaricato dal ministero rileva però che in questo scenario «gli Stati subiscono una perdita netta di accise che supera gli 1,6 miliardi e i concessionari una riduzione delle entrate da pedaggio, al netto della riduzione dei costi per la minore usura della infrastruttura, che sfiora i 3 miliardi». Ovvero, la riduzione delle esternalità ambientali conta molto meno rispetto ai mancati introiti dovuti alle accise sui carburanti – la cui combustione è direttamente legata all’inquinamento atmosferico e alla produzione di gas climalteranti – e al pagamento dei pedaggi autostradali.

Una sensibilità ambientale (e sociale) che del resto scarseggia anche tra gli argomenti dei favorevoli alla Tav. Come documentato da Legambiente nel suo ultimo dossier Pendolaria, nel nostro Paese oltre alla Tav si contano 26 opere su ferro incompiute, bloccate e senza risorse: si tratta di linee di metropolitane, tram e collegamenti ferroviari, di cui potrebbero beneficiare oltre 12,38 milioni di persone, per realizzare le quali mancano ancora all’appello circa 10,8 miliardi di euro. Come perorare la causa di un collegamento ferroviario tra Torino e Lione mentre al contempo in Piemonte sono state tagliate 14 linee su ferro per 480 chilometri, con i relativi impatti sulla vita dei pendolari e sulle emissioni? Se la Torino-Lione fosse stata impostata all’interno di un orizzonte più ampio, per una vera cura del ferro a beneficio del Paese, forse anche la sensibilità del territorio verso le grandi opere – e dunque le relative analisi “costi-benefici” – avrebbe potuto essere diversa. La sensazione è che invece ancora una volta a vincere sarà l’immobilità, su tutti i fronti.