L’auto elettrica, il vero terzo incomodo nella partita Fca-Volkswagen sul diesel

L'ex Fiat dà lavoro a circa 70.000 persone in Italia. E quando i modelli da loro prodotti non saranno più richiesti dal mercato?

[17 Gennaio 2017]

Dalla patria della Volkswagen, dove la casa automobilistica tedesca ha appena confermato il patteggiamento da 4,3 miliardi di euro per chiudere lo scandalo Dieselgate (negli Usa, non in Europa), arrivano perentori inviti al richiamo di tre modelli diesel a marchio Fca: Fiat 500, Jeep Renegade e Doblò. Ancora una volta nel mirino sono finite le emissioni dichiarate per i veicoli, che non sarebbero attinenti a quanto in realtà dimostrato su strada. Nella querelle la Commissione Ue ha da tempo deciso da che parte schierarsi, chiedendo all’Italia «risposte convincenti al più presto» nel merito. Al momento è arrivata quella del ministro dei Trasporti, Delrio: «La richiesta della Germania alla Ue di una campagna di ritiro delle Fca è totalmente irricevibile».

Perché tanto accanimento nel difendere un’industria che è oggi multinazionale, e ben poco italiana? «Perché dà lavoro a circa 70.000 persone in Italia. A me sembra una ragione più che sufficiente», ribatte il ministro dello Sviluppo economico, Calenda. Certo è non possiamo continuare a barattare il lavoro con l’ambiente, e se Fca ha sbagliato è giusto che paghi lo scotto dovuto. Altrettanto vero è che lavoro e ambiente non necessariamente sono in contrapposizione tra loro, anzi. Come dimostrano i dati sulla green economy italiana è vero il contrario. E anche l’industria dell’auto dovrebbe prenderne definitivamente atto.

Il cerino del Dieselgate è rimasto in mano alla Volkswagen, ma tutte le maggiori case automobilistiche non ne sono uscite indenni. Dallo scandalo esce oggi un unico vincitore: la mobilità elettrica. Chi saprà offrire le soluzioni migliori al cliente su questo versante, con tutta probabilità dominerà il mercato nei prossimi lustri, contribuendo al contempo a ridurre sensibilmente l’impatto ambientale dei trasporti privati su strada.

Come ricorda oggi l’Arpat rilanciando una recente ricerca dell’Agenzia europea per l’ambiente in merito, nonostante i «miglioramenti tecnologici, il settore dei trasporti su strada contribuisce per circa un quarto alle emissioni di gas serra in Europa, contribuendo in tal modo al cambiamento climatico. Le emissioni da veicoli stradali contribuiscono inoltre ad alte concentrazioni di inquinanti atmosferici in molte città europee, che spesso non soddisfano gli standard di qualità dell’aria fissati dalla Ue e dall’Organizzazione mondiale della sanità (Oms). Dal canto loro, i veicoli elettrici alimentati con elettricità da fonti rinnovabili sono in grado di ridurre le future emissioni sia di gas serra che di inquinanti atmosferici provenienti dal trasporto su strada».

L’introduzione massiccia di auto elettriche – alimentate da fonti di energia rinnovabile, per non vanificare l’intero sforzo – può «raggiungere l’obiettivo di ridurre i gas ad effetto serra dell’80-95% entro il 2050» e al contempo ridurre dell’inquinamento atmosferico, a fronte di una maggiore domanda di energia in Europa: «Il consumo totale di elettricità in Europa dei veicoli elettrici aumenterà infatti da circa 0,03% nel 2014 al 9,5% nel 2050».

Eppure, l’Italia rimane molto indietro sul fronte delle auto elettriche: solo lo 0,1% dei veicoli immatricolati nel 2016 è dotato di una simile motorizzazione, addirittura in calo dal 2015. Un ruolo importante all’interno di una performance così negativa è rivestito da un’infrastruttura per la ricarica a dir poco inadeguata, per migliorare la quale stiamo facendo del nostro peggio come Paese. Come denunciato dalla Corte dei conti italiana, sono stati spesi appena 6.286,28 euro su 50 milioni stanziati dal 2013 al 2015 per la realizzazione dei punti di ricarica. Anche quando i soldi ci sono, dunque, non vengono spesi. Anche questo va contro gli interessi dei 70mila lavoratori Fca impiegati in Italia: quando i modelli da loro prodotti non saranno più richiesti dal mercato, non ci sarà alcuna Germania e nessuna Commissione europea con cui potersela prendere.

L. A.