La denuncia di Legambiente

Marmo, la cattiva politica ha favorito le cave e impoverito i cittadini

«Gara pubblica per le concessioni? Tra un quarto di secolo (e sarà finta!)»

[25 Maggio 2015]

Legambiente denuncia da anni le modifiche apportate dal comune, a partire dal 2002, al regolamento degli agri marmiferi che, introducendo accordi tariffari con gli imprenditori e clausole autolesionistiche (es. l’arbitrato per chi riteneva troppo alti i canoni) e applicando rilevanti sottostime dei valori di mercato del marmo (nonché esonerando dal canone i beni estimati, considerandoli cave di proprietà privata), hanno consentito alle cave di pagare tariffe di favore, a danno dell’intera città.

Giusto in questi giorni si è tenuta la prima delle udienze preliminari per i 15 indagati dalla Procura (assessori, dirigenti comunali e rappresentanti delle associazioni di imprenditori) per le mancate entrate del marmo causate da tali pratiche.

Legambiente, che denuncia da anni questa situazione a tutto danno dei cittadini, ha chiesto l’istituzione di un Osservatorio dei prezzi del marmo che fornisca al comune il vero valore di mercato di ogni qualità di marmo, necessario fin da oggi per fissare tariffe corrette e, domani, per stabilire il canone concessorio posto a base della gara pubblica.

Eppure, pur sapendo che ogni ritardo comporta perdite milionarie per le entrate comunali (e corrispondenti risparmi per gli industriali), il comune – nonostante dichiarazioni di condivisione – non si è ancora attivato per la concreta istituzione dell’osservatorio.

Pur senza fare processi alle intenzioni, è un dato di fatto che, con la sua inerzia, l’ammi­ni­strazione favorisce l’interesse degli imprenditori del marmo e si assume la responsabilità di ulteriori danni ai carraresi.

La legge regionale 35 del marzo 2015 ha introdotto alcuni rilevanti miglioramenti, tra i quali il riconoscimento che i beni estimati sono proprietà pubblica e forti incentivi alla lavorazione in loco del marmo estratto, favorendo così l’occupazione.

Tuttavia il peso esercitato dalla lobby del marmo nella stesura della legge è del tutto evidente. Basti pensare che la gara pubblica per il rilascio delle concessioni di cava è stata sì introdotta, nel doveroso rispetto dei principi dell’Unione Europea sulla libera concorrenza, ma fornendo prontamente (per gli imprenditori che si impegnano a lavorare in loco il 50% del marmo estratto) una scappatoia per rinviarla addirittura di un quarto di secolo. Così, con ogni probabilità, le gare pubbliche saranno bandite a partire dal 2040!

Ma i legislatori regionali non possono certo essere accusati di imprevidenza: con ben 25 anni di anticipo, infatti, hanno già introdotto un dispositivo per vanificare la gara, riducendone l’importo a pochi spiccioli.

Il comma 6 dell’art. 36 stabilisce infatti che la somma del contributo di estrazione per i blocchi (10% del valore di mercato) e del canone di concessione è fissata entro il limite del 15% del valore di mercato; ne deriva perciò che l’entità del canone non può superare il 5% del valore di mercato. Di fatto, poiché il comune dovrà porre a base di gara un determinato canone (es. 3%), tutta la concorrenza economica si giocherebbe sul restante 2%: una vera miseria e, come gara, una vera farsa! È del tutto evidente che un gara così congegnata non è altro che un espediente per eludere la normativa europea sulla libera concorrenza.

Ma, soprattutto, sarebbe un assurdo logico: paragonando la concessione di cava all’affitto di un appartamento, quale proprietario sarebbe talmente autolesionista da introdurre la condizione che non si accettano offerte di canone d’affitto superiori ad una data cifra? Escludendo l’ipotesi che i legislatori regionali siano stati colpiti da un’epidemia di demenza, non resta che una spiegazione plausibile: il comma è stato suggerito dagli imprenditori del marmo e ben accolto dalla politica regionale.

Le conseguenze pratiche non sono di poco conto. Considerato che il valore del marmo varia da circa 100 €/t ad alcune migliaia di €/t (mentre i costi d’estrazione restano praticamente uguali), per assicurarsi la concessione di una cava di marmo particolarmente pregiato, un imprenditore potrebbe trovare conveniente offrire e pagare un canone pari addirittura al 30-50% del valore di mercato del marmo. Dunque quel minuscolo comma 6 comporta perdite milionarie per le casse comunali.

Ciò considerato, ci auguriamo che gli amministratori di Carrara chiedano subito alla regione il ritiro del comma 6 dell’art. 36 e, in caso contrario, impugnino la legge regionale alla Corte europea per violazione del principio della libera concorrenza nella gara pubblica.

di Legambiente Carrara