Un’aspirina contro l’inquinamento atmosferico

Ma le mascherine anti-smog non servono e possono diventare dannose

[3 Ottobre 2019]

Il nuovo studio “Nonsteroidal Anti-Inflammatory Drugs Modify the Effect of Short-Term Air Pollution on Lung Function”, pubblicato sull’American Journal of Respiratory and Critical Care Medicine da un team di ricercatori della Columbia Mailman School of Public Health, dell’Harvard Chan School of Public Health e della Boston University School of Medicine, mostra per la prima volta le prove che i farmaci antinfiammatori non steroidei (FANS) come l’aspirina possono ridurre gli effetti negativi dell’esposizione all’inquinamento atmosferico sulla funzione polmonare.

I ricercatori statunitensi hanno analizzato un subset di dati provenienti da 2.280 maschi adulti anziani – età media 73 anni – dell’area della Great Boston che sono stati sottoposti a test per determinare la loro funzionalità polmonare.  I ricercatori hanno esaminato la relazione tra i risultati del test, l’utilizzo di FANS riferito dagli anziani testati e il particolato ambientale (PM) e il black carbon nel mese precedente il test, tenendo conto di una varietà di fattori, tra cui lo stato di salute del soggetto e se era fumatore no.

Gli scienziati statunitensi dicono di aver scoperto che «L’utilizzo di qualsiasi FANS ha quasi dimezzato l’effetto del PM sulla funzione polmonare, con un’associazione coerente in tutte e quattro le misurazioni settimanali dell’inquinamento atmosferico dallo stesso giorno a 28 giorni prima del test di funzionalità polmonare».

Dato che la maggior parte degli anziani studiati che avevano assunto i FANS avevano utilizzato l’aspirina, i ricercatori affermano che «L’effetto modificante che abbiamo osservato era dovuto principalmente all’aspirina», ma aggiungono che «Gli effetti dei FANS non aspirinici sono degni di ulteriori ricerche».

Il meccanismo che induce questo beneficio è sconosciuto ,ma i ricercatori ipotizzano che i FANS mitighino l’infiammazione causata dall’inquinamento atmosferico».

Viene da chiedersi quante aspirine dovrebbero prendere gli italiani, visto che deteniamo un triste record: nel solo 2015 le concentrazioni di PM2,5 nel nostro Paese sono state responsabili di 60.600 morti premature, quelle di NO2 di altre 20.500 e quelle di O3 3.200 ancora. Nessun altro Paese europeo (neanche i più popolosi del nostro come Germania, Francia e Regno Unito) ha registrato più vittime legate all’inquinamento atmosferico. È soprattutto viene da chiedersi quante aspirine prendano e dovrebbero prendere gli abitanti dell’ormai fantomatica Padania dove vive il 95% circa dei cittadini europei chiamati a sopportare il frequente e contemporaneo sforamento degli standard emissivi per tre componenti principali dell’inquinamento atmosferico (ovvero PM10, NO2 e O3): una piaga che tocca 3,9 milioni di cittadini europei – su una popolazione totale di 536 milioni –, 3,7 milioni di quali vivono in nord Italia.

Il principale autore dello studio, Xu Gao del Department of environmental health sciences della Columbia Mailman School della Columbia University, evidenzia che «I nostri risultati suggeriscono che l’aspirina e altri FANS possono proteggere i polmoni da picchi a breve termine di inquinamento atmosferico. Naturalmente, resta importante ridurre al minimo la nostra esposizione all’inquinamento atmosferico, che è collegato a una serie di effetti negativi sulla salute, dal cancro alle malattie cardiovascolari».

Andrea Baccarelli, preside del Department of environmental health sciences della Columbia Mailman School. Aggiunge: «Mentre le politiche ambientali hanno compiuto notevoli progressi nel ridurre la nostra esposizione complessiva all’inquinamento atmosferico, i picchi a breve termine sono ancora all’ordine del giorno anche in luoghi con bassi livelli di inquinamento atmosferico. Per questo motivo, è importante identificare i mezzi per ridurre al minimo tali danni».

In un precedente studio, “B vitamins attenuate the epigenetic effects of ambient fine particles in a pilot human intervention trial”, pubblicato nel novembre 2018 su PNAS, un team internazionale di ricercatori ha scoperto che anche le vitamine del gruppo B possono svolgere un ruolo nel ridurre l’impatto sulla salute dell’inquinamento atmosferico.

Ma mentre aspirina e vitamina B emergono come un nuovo presidio contro le malattie da smog, Nature demolisce l’efficacia anti-smog delle mascherine usatissime soprattutto in Asia e in particolare in Cina. Infatti, Wei Huang, della Peking University School of Public Health. e Lidia Morawska, della Queensland University of Technology, spiegano: «Sebbene il tessuto possa filtrare grandi granelli di polvere, polline e sabbia, non blocca le particelle più sottili che raggiungono i polmoni, le arterie e le vene. Queste includono particelle di dimensioni inferiori a 2,5 micrometri (PM2.5) e particelle ultrafini (inferiori a 0,1 µm), nonché i vapori tossici emessi dalle automobili e dall’industria. Il PM2.5 è associato ad oltre 4 milioni di morti ogni anno in tutto il mondo».

In Cina – dove la “moda” delle mascherine è iniziata nel 2003 per difendersi sindrome respiratoria acuta grave (SARS) – e in gran parte dell’Asia le persone cercano modi per proteggersi: «Sono consapevoli dei rischi per la salute dell’aria sporca e i social media sono pieni di immagini di persone che indossano maschere nei giorni di smog – scrivono Wei e Morawska – Ma organismi della sanità pubblica come l’Organizzazione mondiale della sanità (Oms), l’American Heart Association e la European Society of Cardiology non raccomandano l’uso di maschere o purificatori portatili contro l’inquinamento atmosferico. Quasi nessuno studio clinico ha testato l’efficacia delle maschere mediche contro l’inquinamento atmosferico o il modo in cui le persone le usano. È difficile prevedere i rischi individuali perché l’esposizione delle persone e lo stato di salute variano notevolmente. Temiamo che indossare maschere potrebbe persino peggiorare il problema. Possono potenzialmente cullare le persone in un falso senso di sicurezza, incoraggiandole a trascorrere più tempo all’aria aperta».

Il personale medico e i pazienti indossano maschere monouso in stoffa per ridurre la probabilità di contrarre o trasmettere infezioni attraverso gocce di liquido. Per lo stesso motivo, la gente indossano mascherine per non diffondere virus quando starnutiscono o tossiscono. I due scienziati spiegano che «Le mascherine mediche sono realizzate con tre strati di cotone denso o materiali simili. Questi catturano le grandi goccioline che trasportano batteri e virus quando le persone espirano. Queste goccioline hanno in genere le dimensioni di granelli di polline o granelli di polvere (da pochi a circa 100 μm). Ma per le piccole particelle presenti nell’aria e i gas tossici (come biossido di azoto, ozono e sostanze organiche volatili), le maschere mediche e persino le migliori maschere in tessuto non offrono protezione». Inoltre, mentre i medici vengono istruiti a indoz ssare bene le mascherine, i cittadini comuni no e aria e sostanze inquinanti fluiscono comunque attraverso gli spazi tra la maschera e il viso e raggiungono bocca e naso.

A questo si aggiunge che le mascherine di qualsiasi tipo sono scomode da indossare a lung e nelle giornate calde rendono difficile la respirazione. L’anidride carbonica può accumularsi e provocare sonnolenza. La mascherina deve essere tolta per parlare, mangiare e bere. Il filtro può bagnarsi, alterandone le prestazioni. Le persone a volte indossano la stessa mascherina per risparmiare denaro, ma, una volta intasate, le mascherine sono peggio che inutili.

Diverso il discorso per molti lavoratori che operano all’esterno e che sono informati e formati su come utilizzare attrezzature specializzate, dispositivi che sono conformi agli standard sviluppati dall’ US National Institute for Occupational Safety and Health. Semplici mascherine di cotone bloccano polvere e amianto nei cantieri e nelle officine, altre contengono materiali adsorbenti attivi che filtrano più accuratamente sostanze chimiche e gas. Alcuni respiratori sono dotati di protezioni per il viso a prova di schizzi e di proprie riserve d’aria. Quindi non si tratta di un semplice pezzettino di stoffa.

Se le mascherine mediche sono state ben studiate in ambito clinico e hanno dimostrato di di essere efficaci contro la diffusione delle infezioni, non si sa quasi quanto siano efficaci contro l’aria inquinata.  Wei e Morawska fanno notare che «Le prestazioni di qualsiasi mascherina sono intrinsecamente difficili da quantificare. Devono essere considerati molti fattori, tra cui le dimensioni e le fonti di particelle, il tipo di maschera e la forma del viso e il comportamento di chi lo indossa. Sono stati condotti alcuni studi di laboratorio sulle proprietà di filtrazione dei materiali della mascherina. Ma solo una manciata di studi sull’uomo ha esaminato l’efficacia di indossare una mascherina in condizioni reali. La maggior parte di questi studi sono stati condotti a Pechino e Shanghai in Cina e negli Stati Uniti. Di solito le persone venivano seguite solo per poche ore e si concentravano principalmente sugli effetti sul cuore9 . Pochi studi hanno esaminato gli impatti sulla salute respiratoria».

I due scienziati evidenziano che «I rapidi cambiamenti nei livelli di inquinamento rendono anche difficile valutare gli impatti sulla salute. Ad esempio, le concentrazioni di gas e particelle ultrafini possono essere 100 volte più elevate in un incrocio trafficato o in un tunnel stradale rispetto a una strada secondaria. E l’età, il sesso, lo stato di salute, i farmaci e i modelli di attività delle persone complicano le cose. Ad esempio, le persone in forma e attive spesso trascorrono più tempo all’aperto facendo esercizio fisico, aumentando la loro esposizione. Gli uomini sono in genere più esposti all’inquinamento outdoor; le donne agli inquinanti indoor. Non ci sono studi rigorosi che quantificano il modo in cui le persone cambiano il loro comportamento quando indossano mascherine».

Wei e Morawska concludono: «L’Oms e altri enti della sanità pubblica dovrebbero educare l’opinione pubblica sui modi migliori per proteggersi. Fino a quando non saranno disponibili prove migliori, dovrebbero raccomandare di indossare una maschera ben aderente solo per prevenire le infezioni, non per proteggersi dall’inquinamento atmosferico. Stare al chiuso quando i livelli di inquinamento sono alti è più sicuro, purché si evitino inquinanti indoor come il fumo di tabacco. All’aperto, le persone dovrebbero stare lontano dal traffico intenso quando camminano e si allenano. I ciclisti dovrebbero trovare percorsi lontano dalle strade trafficate. I conducenti dovrebbero chiudere i finestrini dell’auto. Quando l’inquinamento è alto, probabilmente è meglio non andare in bicicletta, invece che andare in bicicletta e indossare una mascherina. Le persone che devono lavorare fuori per lunghe ore, come i lavoratori edili, dovrebbero avere respiratori e ricevere una formazione professionale di qualità. E la massima priorità rimane la prevenzione dell’inquinamento atmosferico».