Taranto, Legambiente: «Aria migliore non vuol dire aria buona»

Basta con l’uso strumentale dei dati sulla qualità dell’aria. A Taranto l'origine dell'inquinamento è prevalentemente industriale

[7 Ottobre 2022]

Dopo la pubblicazione del “Rapporto di sostenibilità  Stabilimento di Taranto” pubblicato da Acciaierie d’Italia, intervengono con una dichiarazione congiunta Stefano Ciafani, Ruggero Ronzulli e Lunetta Franco, rispettivamente presidente nazionale, regionale e tarantino di Legambiente per respingere e ridimensionare alcune interpretrazioni, Ieri Il Sole 24 Ore ieri titolava “Ex Ilva, migliora la qualità dell’aria: ora Taranto batte Lecco e Bolzano e citava più volte a supporto il rapporto Mal?aria di Legambiente.

Ciafani, Ronzulli e Franco spiegano: «Siamo stanchi dell’utilizzo strumentale dei dati sulla qualità dell’aria riportati da Legambiente nei suoi dossier e, specificatamente, di quelli riportati in Mal’aria di città che riporta un dato complessivo relativo all’intera città, frutto essenzialmente del monitoraggio delle emissioni generate dal traffico e dagli impianti di riscaldamento: con Acciaierie d’Italia si ripete quanto già avvenuto in passato con la famiglia Riva,  con una rappresentazione parziale e, perciò, fuorviante della realtà. I dati pubblicati nel rapporto di sostenibilità prodotto da Acciaierie d’Italia attestano che la qualità dell’aria di Taranto è, oggi, migliore di quella che abbiamo dovuto respirare quando l’Ilva dei Riva arrivava a produrre 10 milioni di tonnellate/anno di acciaio. Attestano anche, però, che questo è avvenuto in primo luogo per la forte riduzione di produzione operata negli ultimi anni. Proprio quella produzione che Acciaierie d’Italia vorrebbe incrementare, con conseguenze sulle emissioni dello stabilimento siderurgico purtroppo facilmente prevedibili».

I dirigenti legambientini ricordano che «Una qualità dell’aria migliore non si traduce automaticamente in un’aria buona. Taranto si trova oggi in una situazione simile a quella di molte altre città italiane comunque inquinate, una condizione che in Italia ha già portato in passato alla adozione di drastiche misure di limitazione del traffico automobilistico nel tentativo di porre un argine alla cappa di smog che avvolge molte città con conseguenze sanitarie e ambientali gravi: si calcola che nel nostro Paese siano circa 60 mila all’anno le morti da polveri sottili. Ma se in molte città italiane il problema è costituito dal traffico automobilistico e dal riscaldamento domestico, a Taranto l’origine dell’inquinamento è prevalentemente industriale e numerosi studi scientifici hanno appurato da tempo che gli inquinanti originati dalla produzione industriale rendono più patogene le polveri tarantine. Si tratta di un elemento di conoscenza scientifica che Legambiente ha già segnalato innumerevoli volte negli anni passati e che chi produce acciaio dovrebbe ben conoscere e citare, al pari degli altri dati, nei suoi rapporti».

E l’associazione ambientalista aggiunge che «Andrebbe anche considerato, e citato, lo studio dell’OMS pubblicato a gennaio di quest’anno che conferma la validità dei rapporti prodotti fin dal 2013 da Arpa e Aress Puglia e Asl Taranto circa la Valutazione del Danno Sanitario provocato dalle emissioni degli impianti ex Ilva. Peraltro proprio l’Organizzazione Mondiale della Sanità l’anno scorso ha rivisto, riducendoli drasticamente, i valori limite suggeriti per una serie di inquinanti, a partire da PM10, PM 2,5 e benzoapirene. La qualità dell’aria della città di Taranto è molto lontana dal raggiungere tali obiettivi, anche di questo, in un rapporto sulla sostenibilità, occorrerebbe iniziare a tenere conto».

Gli ambientalisti fanno notare che a maggio, nell’ambito del procedimento di riesame dell’Autorizzazione Integrata Ambientale rilasciata allo stabilimento siderurgico jonico Arpa Puglia, Aress Puglia e ASL di Taranto hanno attestato  «La permanenza di un rischio sanitario residuo non accettabile relativo ad uno scenario di produzione ottenuta con gli attuali impianti di 6 milioni di tonnellate/anno di acciaio, cioè la produzione attualmente autorizzata. A conferma che l’abbattimento delle emissioni del siderurgico non si è ancora tradotto in una qualità dell’aria che possa essere definita “buona”».

Ciafani, Ronzulli e Franco rilanciano: «Acciaierie d’Italia si preoccupi di richiedere e fornire ai cittadini di Taranto un rapporto che continua a mancare: la valutazione preventiva dell’impatto sanitario della produzione dell’impianto siderurgico, sia di quella attuale che di quella che si avrà quando, dopo oltre 10 anni, le prescrizioni dell’Autorizzazione Integrata Ambientale, risulteranno, pur con i loro forti limiti, finalmente attuate. Se l’azienda è così sicura dell’assenza di criticità in merito alla qualità dell’aria del capoluogo jonico, chieda ad Arpa Puglia, Aress Puglia ed ASL di Taranto di verificare se e per quale quantità prodotta non sussista nessun rischio inaccettabile per la salute. Quanti veleni abbiamo respirato in questi decenni? Quanti ne abbiamo assorbiti negli ultimi 10 anni, a fronte di un’A.I.A. che ancora non è completamente attuata?  Quanti saranno, in futuro, i malati e i morti provocati da quei veleni, sapendo che taluni effetti si manifestano anche dopo molto tempo?»

La dichiarazione congiunta conclude: «Da anni Legambiente indica, inascoltata, l’unica strada che può tenere concretamente insieme lavoro e salute: far discendere le scelte da una rigorosa valutazione preventiva dell’impatto sanitario che indichi con chiarezza se e quanto è possibile produrre con gli attuali impianti, e con i prossimi, senza rischi inaccettabili per la salute, senza che fare acciaio si traduca in nuovi morti, da aggiungere ai tanti che già ci sono stati. E’ questa la vera misura della sostenibilità».