Smog non solo in Val Padana: il “caso” della Valle del Sacco

A Frosinone Scalo 36 superamenti nei primi 41 giorni del 2020 e il 50% è dovuto alla combustione di biomasse

[21 Febbraio 2020]

La Val Padana è uno dei siti europei con il maggior livello di inquinamento atmosferico e dall’inizio dell’anno – anche quest’anno – ha già collezionato superamenti della soglia di 50 µg/m3 per le concentrazioni di PM10. Come sottolinea il Cnr: «Siamo solo all’inizio dell’anno e già in molte città stiamo esaurendo il numero di superamenti annuali concessi (35), oltrepassato il quale scattano sanzioni». Ma c’è un’altra valle, quella del Sacco nel Lazio che, con le sue piccole città di Frosinone e Ceccano, contendere il primato negativo dello smog alla Val Padana con le sue grandi città, fabbriche e autostrade.

All’Istituto di Scienze dell’Atmosfera e del Clima (Cnr-Isac) ricordano che «Negli ultimi anni, la credenza che attribuisce al traffico la causa principale dei ricorrenti superamenti invernali della soglia europea è stata molto ridimensionata». Secondo il Rapporto ambiente urbano 2018 dell’Ispra, «Conoscenze aggiornate indicano un rapporto medio annuo tra il PM10 derivante dal riscaldamento e quello da traffico di circa 1.6, valore che sale a 5 se rapportato alla sola stagione invernale, considerando che questo è di fatto l’unico periodo dell’anno in cui i riscaldamenti sono accesi. Uno dei motivi alla base di questi valori è il fatto che, a parità di calore erogato, la combustione di legname genera da 1000 (stufe a pellet) a 60-mila volte (caminetti) il PM10 generato usando il metano e che l’uso della legna nel riscaldamento è prassi piuttosto comune. In termini di inquinanti cancerogeni, come il Benzo(a)pirene (BaP), i caminetti ne emettono poi 800 volte più del metano e del gasolio e 500 volte più dei pellet».

E la valle del Sacco condivide con Sondrio il primato di concentrazioni di BaP, con quasi il doppio della soglia obiettivo italiana. Al Cnr fanno notare che «Appare improbabile che ciò dipenda dal traffico. Infatti, in quanto a traffico, Frosinone non può certo gareggiare con le grandi metropoli. Eppure, nei primi 41 giorni del 2020 il PM10 a Frosinone Scalo ha registrato ben 36 superamenti. Per confronto, a Roma nello stesso periodo il massimo numero di sforamenti è stato di 23 (centralina Tiburtina). Ceccano, cittadina di 23000 anime poco distante da Frosinone, ne ha registrati 32. È naturalmente vero che, anche quest’anno e proprio come in una ‘piccola Val Padana’, la meteorologia della Valle del Sacco ha giocato un ruolo importante nel trattenere gli inquinanti: poco vento e poche piogge. Ma è possibile che la meteorologia cambi improvvisamente le caratteristiche del PM10, come osservato dai primi di novembre?»

Per cercare di comprendere come mai un sito così apparentemente ‘verde’ possa essere tanto inquinato, nell’ottobre 2019 il gruppo “Aerolab” del Cnr-Isac (G.P. Gobbi, F. Barnaba, S. Ciampichetti, L. Di Liberto, Ilir Shuli) ha istallato uno strumento per la misurazione del Black Carbon (BC) proprio vicino agli strumenti della centralina Arpa Lazio di Frosinone Scalo. I ricercatori evidenziano che «Il Black Carbon è generato dalla combustione sia di carburanti (principalmente gasolio e kerosene) che di legna (o, più in generale, biomasse) e, in relazione alle sue piccole dimensioni ed ai suoi costituenti, vanta una reputazione ben peggiore del “generico” PM10 per i suoi danni alla salute».

Dopo 120 giorni di registrazioni e più di un milione di dati raccolti dalle misurazioni eseguite dall’”Aerolab” è emerso che «Fino ai primi di novembre 2019, data ufficiale di avvio dei riscaldamenti, il BC da combustione di biomasse oscillava tra il 10 ed il 25% del BC totale.  Dal 3 al 30 novembre, nonostante le intense piogge di quei giorni, questa percentuale è salita rapidamente al 25-50%, per poi salire ancora e stabilizzarsi tra il 50 ed il 75% da dicembre ai primi di febbraio 2020. Il PM10 medio giornaliero seguiva un andamento analogo: minore di 25 µg/m3 prima di novembre, 25-50 µg/m3 fino a dicembre, per poi rimanere sopra la fatidica soglia dei 50 µg/m3 (con picchi fino a 165 µg/m3), fino a metà febbraio 2020».

E’ da questa sequenza nascono i 36 superamenti in 41 giorni del 2020 e i 16 di fine 2019 registrati dalla centralina Arpa Lazio di Frosinone Scalo. Quindi, visto che il limite massimo annuale è di 35 superamenti, nel 2020, dopo appena 41 giorni, Frosinone è tornata ad essere “sanzionabile”.

Utilizzando i rapporti tra BC, Nox e PM10 totale forniti dalla letteratura scientifica, i ricercatori del Cnr-Isac hanno ricostruito il percorso del PM10 lungo questi 4 mesi e dicono che «Ne risulta che da metà novembre 2019 (appena terminate le piogge), almeno il 50% del PM10 è stato generato da combustione di biomasse, per cui, traffico a parte, il 50% degli sforamenti del 2020 sarebbero avvenuti comunque per le sole emissioni dovute alla combustione di biomasse. Parimenti, il contributo al PM10 generato da novembre in poi dagli ossidi di azoto (NOx) emessi dal traffico e dai riscaldamenti (circa di pari entità) scende dal 30% al 15%. In tutto questo periodo, anche aggiungendo a questo PM10 “secondario” il PM10 “primario” direttamente immesso dal traffico non si superano i 25 µg/m3. Ciò indica che il traffico di Frosinone, da solo, non sarebbe sufficiente a generare superamenti, neanche nella stagione invernale. Infine, a conferma delle stime derivate dal documento Ispra, il rapporto tra PM10 da riscaldamento e quello da traffico risulta essere minore di 1 fino ai primi di novembre per poi salire a valori tra 4 e 6 da dicembre in poi».

Insomma. dalla prima analisi dei dati “Aerolab Cnr-Isac” e di quelli Arpa Lazio emerge che nella Valle del Sacco: «Nel periodo invernale i riscaldamenti (in particolare se basati sulla combustione di biomasse) generano una importante componente del PM10 atmosferico; In località confinate, come quella della Valle del Sacco, ciò risulta associato a ripetuti superamenti dei limiti di legge sul PM10. Considerato che i composti immessi in atmosfera dalla combustione di legna e di combustibili poco raffinati rappresentano un importante fattore di rischio per la salute, le osservazioni effettuate suggeriscono l’importanza di specifiche azioni di mitigazione».