Piante, animali, uomo: ecco come le microplastiche contaminano il nostro cibo

Studio ENEA – Cnr: le microplastiche si “muovono” lungo la catena alimentare con effetti diretti sull’integrità del patrimonio genetico

[21 Aprile 2023]

Lo studioMicroplastic Toxicity and Trophic Transfer in Freshwater Organisms: Ecotoxicological and Genotoxic Assessment in Spirodela polyrhiza (L.) Schleid. and Echinogammarus veneris (Heller, 1865) Treated with Polyethylene Microparticles”, pubblicato su Water da Valentina Iannilli, Francesca Lecce e Giulia Sciacca dell’Agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l’energia e lo sviluppo economico sostenibile (ENEA) e da Laura Passatore, Serena Carloni, Massimo Zacchini e Fabrizio Pietrini del Consiglio nazionale selle ricerche (Cnr), descrive o «Una parte del percorso delle microplastiche “dall’acqua al piatto”, dimostrando come questo contaminante si trasferisca dall’acqua dolce alle radici delle piante acquatiche e, quindi, ai crostacei che se ne cibano, con danni al patrimonio genetico di questi ultimi e, a lungo termine, per l’intero ecosistema».

Il team ENEA e dell’Istituto di Ricerca sugli Ecosistemi Terrestri del Cnr, ha valutato in laboratorio gli effetti di microparticelle di polietilene (PE), tra le più comuni materie plastiche disperse nell’ambiente, su organismi d’acqua dolce, vegetali e animali. I ricercatori italiani spiegano che «In particolare, le specie utilizzate sono state la Spirodela polyrhiza, la cosiddetta lenticchia d’acqua, una piccola pianta acquatica galleggiante, e l’Echinogammarus veneris, un crostaceo d’acqua dolce simile a un gamberetto, che è poi l’alimento base di pesci come le trote. Le piantine sono state immerse in acqua contaminata da microplastiche di circa 50 micrometri – più piccole del diametro di un capello – e dopo 24 ore trasferite nella vasca dei gamberetti».

I risultati hanno dimostrato che «Le piante, durante l’esposizione, oltre a una lieve riduzione del contenuto di clorofilla, hanno accumulato un elevato quantitativo di microplastiche sulle radici di cui i crostacei si cibano, ingerendone in media circa 8 particelle per esemplare. Inoltre, è stato possibile anche dimostrare come le microplastiche, una volta ingerite dai crostacei, vengano sminuzzate e “restituite” all’ambiente sotto forma di escrementi, che possono rientrare nella catena alimentare, cosiddetta “del detrito”, in maniera potenzialmente più pericolosa di quella di partenza».

La Iannilli, ricercatrice del Laboratorio Biodiversità e servizi ecosistemici ENEA, sottolinea che «Questo studio mostra chiaramente, all’interno di un sistema controllato di laboratorio, i meccanismi attraverso i quali le microplastiche entrano e si trasferiscono all’interno della catena alimentare. Le piantine, infatti, hanno avuto il ruolo di ‘raccogliere’ e ‘trasferire’ queste particelle ai crostacei, fonte di cibo per i pesci che a loro volta accumulano microplastiche anche nei muscoli, che sono poi le parti che noi mangiamo».

Lo studio ha anche valutato gli effetti diretti delle microplastiche sul DNA dei crostacei, per comprendere se queste particelle potessero indurre anche genotossicità, ovvero danni a livello del materiale genetico e «Dopo solo 24 ore, è stato possibile osservare come gli individui “trattati” con le microplastiche presentino un livello di frammentazione del DNA significativamente superiore rispetto a quelli non trattati, dimostrando come queste particelle siano effettivamente in grado di indurre un danno al DNA nelle cellule degli organismi studiati».

La Iannelli conclude: «Questo significa che le microplastiche non sono, come spesso è riportato, materiale inerte che non interagisce con le funzioni degli organismi, ma che, invece, si “muovono” lungo la catena alimentare con effetti diretti anche sull’integrità del patrimonio genetico e di conseguenza potenziali a lungo termine su popolazioni, comunità e interi ecosistemi. Un risultato  che deve far riflettere sulla pericolosità del rilascio nell’ambiente di queste particelle microscopiche derivate dalle attività antropiche, anche in considerazione della loro diffusione in tutte le matrici ambientali quali acqua, suolo, aria, ghiacci dell’Artico fino ai sistemi agricoli».