Petrolio, acido, plastica: il mare di Sri Lanka dopo il disastro della X-Press Pearl

Una tragedia ambientale e umana ancora in corso e che non finirà molto presto

[30 Luglio 2021]

Una settimana fa, dalle immagini satellitari era visibile, appena al largo della costa dello Sri Lanka: una sottile pellicola grigia che si snodava per tre chilometri verso il mare prima di scomparire tra le onde. Secondo gli esperti si tratta dell’olio combustibile che fuoriesce ancora dalla X-Press Pearl, la portacontainer battente bandiera di Singapore che a giugno ha preso fuoco ed è affondata al largo della costa occidentale dello Sri Lanka. Una chiazza di idrocarburi che ci ricorda che poche settimane fa lo Sri Laka ha subito uno dei peggiori disastri ambientali della sua storia, un disastro ormai già quasi dimenticato e “digerito” dai media, ma la cui bonifica richiederà uno sforzio mastodontico.

Secondo Thummarukudyil Muraleedharan, capo ad interim del settore disastri e conflitti dell’United Nations environment programme (Unep), «Questa è la più grande catastrofe ambientale che abbia colpito lo Sri Lanka dallo tsunami dell’Oceano Indiano del 2004».

Thummarukudyil fa parte del team di esperti dell’Unep che consigliano il governo dello Sri Lanka su come contenere le ricadute tossiche del naufragio della X-Press Pearl che, quando è affondata a giugno, trasportava 81 container di merci pericolose. Il carico della nave includeva 25 tonnellate di acido nitrico, 348 tonnellate di petrolio e, secondo stime indipendenti, fino a 75 miliardi di nurdles , piccoli granuli di plastica che hanno creato un devastante inquinamento che potrebbe affliggere lo Sri Lanka per anni.

Hemantha Withanage, direttore esecutivo del Centre for Environmental Justice dello Sri Lanka, non ha dubbi: «Questa è una nave tossica. Questo sarà un disastro di lunga durata».

Un disastro durato per giorni: l’equipaggio della X-Press Pearl, aveva notato per la prima volta del fumo provenire dalla stiva della X-Press Pearl già il  20 maggio mentre la nave era ancorata al largo di Colombo, la capitale dello Sri Lanka. Nelle due settimane successive, le squadre dei vigili del fuoco hanno combattuto contro un inferno alimentato da almeno due grandi esplosioni. Mentre la nave affondava lentamente, per posarsi definitivamente sul fondo il 17 giugno, forti correnti e mareggiate hanno container scagliato i container lungo la costa dello Sri Lanka. Hassan Partow, che fa parte del team di risposta ai disastri dell’Unep, racconta che «Un container è emerso a più di 100 chilometri a sud del relitto, ricoprendo di nurdles le principali spiagge turistiche vicino alla località turistica sudoccidentale di Galle. E’ stato come una bomba a grappolo».

Per gli srilankesi, i piccoli granuli di plastica, grandi quanto una lenticchia, sono diventati il simbolo più visibile del disastro causato dall’affondamento della X-Press Pearl.

Utilizzando dati pubblicamente disponibili, Withanage stima che «La nave conteneva 70-75 miliardi di singoli pellet. Il disastro è il più grande rilascio di nurdles nell’oceano mai segnalato. La plastica ha inondato le spiagge intorno a Colombo. Una, Sarukkuwa, era ricoperta da strati di plastica profondi un metro».

I nurdle sono stati trovati anche nelle branchie e nelle viscere dei pesci e ai pescatori locali è stato proibito di pescare  nelle ricche zone di pesca intorno a Colombo e accusano i nurdle di aver ucciso la vita marina.

Gli scienziati srilankesi stanno indagando sull’impatto del disastro d sulla fauna marina, ma Withanage asvveerte che l’area da indagare potrebbe essere molto più ampia di quanto d si creda: «I nurdle sono stati trovati anche in un santuario delle tartarughe 300 km a nord di Colombo. Nel tempo i nurdle, che impiegheranno fino a 1.000 anni per disintegrarsi, potrebbero accumularsi nella catena alimentare, facendo ammalare i pesci e potenzialmente gli esseri umani. Quando si tratta di ambiente, ogni nurdle di plastica è un disastro».

Come se non bastasse, molti nurdle erano carbonizzati e si sono sbriciolati creando una polvere potenzialmente tossica. Partow spiega ancora: «Non erano solo pellet vergini. Circa la metà è stata bruciata, quindi non possiamo giudicare quale sia la loro tossicità».

All’indomani dell’affondamento della X-Press Pearl, centinaia di militari e uomini della guardia costiera dello Sri Lanka sono stati schierati in una massiccia operazione di pulizia supervisionata dall’ Marine Environment Protection Authority  e, lavorando 24 ore su 24 ma sotto le rigide restrizioni del lockdown  per il Covid-19, finora hanno raccolto più di 53.000 sacchi pieni di nurdle e di plastica bruciata e altri detriti mescolati con sabbia. La piccola dimensione dei granuli di plastica significa che devono essere setacciati a mano. « non c’è modo di pulire le minuscole palline di plastica che sono ancora nell’oceano. Per ThummarukudyilQuel che è nel mare potrebbe restarci per molto tempo»

Sembra anche probabile che almeno una parte dell’acido nitrico altamente corrosivo che era a bordo della X-Press Pearl sia finito nell’oceano. Gli esperti sono preoccupati che possa aver avvelenato la vita marina in una vicina barriera corallina. Il governo dello Sri Lanka ha recuperato carcasse di tartarughe che mostrano segni di ustioni, anche se Partow ha detto che «Gli scienziati stanno ancora esaminando gli animali ed è troppo presto per determinare cosa le abbia uccise».

Mentre l’acido nitrico si è probabilmente dissolto nell’oceano, ora le preoccupazioni più grosse riguardano un’altra sostanza chimica tossica trasportata dalla X-Press Pearl: la resina epossidica. A bordo ce ne erano circa 9.800 tonnellate e gli esperti temono che «Se fosse in forma liquida tossica, anziché in forma solida, potrebbe diffondersi lungo la costa dello Sri Lanka».

Withanage fa notare che «La nave conteneva anche un miscuglio di altre sostanze chimiche, tra cui metanolo, olio per ingranaggi, liquido per freni e urea, insieme a batterie al piombo, rame e litio».

Non è noto quanto materiale tossico resti esattamente nella stiva della nave o nei container sul fondo dell’oceano. Il monsone annuale dello Sri Lanka, insieme al ockdown nazionale per il Covid-19, hanno ostacolato gli sforzi di recuperoo.

La compagnia armatrice della nave, la X-Press Feeders, ha detto che gran parte del carico potrebbe essere stato incenerita nell’incendio, compreso l’olio pesante simile alla melassa che alimentava la X-Press Pearl. Ma il team dell’Onu, che comprende anche lo staff dell’Office for the Coordination of Humanitarian Affairs (OCHA), pensa che «Anche se il petrolio è stato bruciato è improbabile che sia evaporato. Invece, si sarebbe probabilmente trasformato in una miscela più viscosa» e Thummarukudyil aggiunge: «Dovremmo presumere che il petrolio sia ancora lì. La nave trasportava abbastanza petrolio da ricoprire l’intera costa occidentale dello Sri Lanka. C’è il potenziale perché questo diventi molto peggio di quello che abbiamo già visto».

L’unità di risposta alla catastrofi dell’Onu che lavora sull’affondamento della X-Press Pearl ha aiutato a mediare un accordo tra il governo dello Sri Lanka e l’armatore della X-Press Pearl per contenere una potenziale fuoriuscita di petrolio in mare aperto e per ripulire il litorale. Il 2 luglio sono finalmente arrivate a Colombo attrezzature specializzate, tra cui barriere gonfiabili per intrappolare il petrolio e panne assorbenti.

La coordinatrice residente dell’Onu in Sri Lanka, Hanaa Singer-Hamdy, ha sottolineato che «Le Nazioni Unite stanno sostenendo il governo dello Sri Lanka per affrontare il disastro della MV X-Press Pearl. Stiamo coordinando gli sforzi internazionali e mobilitando i partner per garantire una risposta coesa e coerente alla crisi e garantire la prevenzione di tali disastri in futuro».

L’Unep ha chiesto all’armatore e alla compagnia assicuratrice della nave di elaborare quella che Partow ha definito «Una road map rivista tra pari e approvata dal governo per rimuovere la X-Press Pearl e i container sparsi sul fondo dell’oceano che costituiscono il rischio più immediato di inquinamento. Questo piano deve essere sviluppato ora in modo che, quando le condizioni lo consentiranno, la nave possa essere rimossa e adeguatamente dismessa».

Anche il governo dello Sri Lanka sta facendo pressione sugli armatori di Singapore e la compagnia assicuratrice della nave perché riportino a galla la X-Press Pearl. Dharshani Lahandapura, presidente della Marine Environment Protection Authority dello Sri Lanka ha confermato che «Il governo dello Sri Lanka è profondamente preoccupato per il suo ambiente e il sostentamento delle comunità di pescatori vulnerabili. La cosa principale che gli armatori e i soccorritori, i custodi e gli addetti alla rimozione dei relitti devono fare è rimuovere il ​​prima possibile il relitto, i container sotto il mare e i detriti».

Withanage ricorda a tutti che «Il tempo è essenziale». Riferendosi alle compagnie di recupero assunte dagli armatori, ha detto: «Per loro è business, ma è il nostro ambiente. Finché la nave è lì, la contaminazione è presente».

L’Unep ha consegnato al governo dello Sri Lanka  un rapporto finale sul disastro che contiene raccomandazioni per la bonifica  e suggerimenti su come lo Sri Lanka, un Paese che punta a diventare un importante hub marittimo, può gestire futuri disastri marittimi. Partow si è messo a disposizione perche l’Unep possa consigliare lo Sri Lanka sul monitoraggio ambientale a lungo termine .

Ora, la X-Press Pearl  è in gran parte sommersa in 21 metri d’acqua, dalle onde spuntano solo il suo cassero  e alcune gru carbonizzate ed è sorvegliata giorno e notte da un rimorchiatore che tiene d’occhio le perdite di petrolio.

Partow, che ha sorvolato il relitto in elicottero, ha visto palline di plastica mescolate con olio che galleggiavano tra le onde intorno alla nave, mentre macchie marroni di petrolio circondate da un’iridescenza grigia si estendevano per due o tre chilometri nel mare. Ha descritto la nave lunga 186 metri, entrata in servizio a febbraio, come un rottame.

Quando gli è stato chiesto se l’X-Press Pearl fosse il peggior disastro ecologico marittimo che avesse visto, Thummarukudyil che ha passato 18 anni della sua vita a intervenire sugli sversamenti di petrolio in tutto il mondo, ci ha pensa to un  momento e ha risposto: «Ci sono ancora molte sostanze chimiche lì. Questa storia non è ancora finita».