Gli ambientalisti denunciano l’incapacità della multinazionale spagnola. Interviene la Marina Militare

Perù: ripulire la marea nera a mani nude. Coinvolta una nave italiana. Colpa di Repsoil, non dello tsunami del vulcano di Tonga

E’ in corso un’altra marea nera nella stessa area? 21 spiagge colpite. Strage di animali

[27 Gennaio 2022]

Le autorità peruviane stanno indagando su una seconda fuoriuscita di petrolio che si sarebbe verificata nella stessa area colpita il 15 gennaio dalle onde dello tsunami causato dall’esplosione di un vulcano sottomarino a Tonga e che ha causato la fuoriuscita di circa 6.000 barili di petrolio. Infatti, la Dirección de Capitanías y Guardacostas del Perú (Dicapi) ha comunicato che sono state ritrovate tracce di greggio «Nei pressi del Terminal 2 Multibuoy della raffineria La Pampilla, gestita dalla compagnia petrolifera spagnola Repsol» e ha aggiunto che, anche secondo Repsol, «Si tratterebbe di residui dello stesso idrocarburo, che sarebbero fuoriusciti pur avendo eseguito i lavori di rimozione del greggio».

Anche l’Organismo de Evaluación y Fiscalización Ambiental (OEFA) ha avviato il monitoraggio della possibile seconda marea nera e ha precisato che il secondo sversamento di greggio sarebbe avvenuto il 25 gennaio, «Quando erano in corso i lavori prima del ritiro del PLEM (Pipeline End manifolds)», un’attrezzatura sottomarina che consente il passaggio del ptrolio per il carico o la la spedizione. In un comunicato si legge che «L’OEFA ha avviato la supervisione ambientale per verificare la responsabilità degli eventi, l’impatto prodotto e l’attuazione del piano di emergenza da parte dell’impresa».

Ieri il ministro della Produzione del Perù, Jorge Luis Prado, ha detto a RPP Noticias che «Al momento, la seconda fuoriuscita non è stata confermata. Potrebbe essere “un ritardo”. Ho informazioni primarie al riguardo, stanno cercando di verificare quanto sia reale. Speriamo di no, la verità è che questa situazione mi preoccupa tremendamente. Speriamo che non sia così perché la verità è che il danno è abbastanza grande e ripararlo sarà costoso».

Per Prado è necessario «Condurre un’indagine seria per verificare la situazione. Ritengo improbabile che lo sversamento sia avvenuto dalla petroliera italiana Mare Doricum, alla fonda vicino alla costa di Lima». Ma non ha nemmeno voluto confermare se la fuoriuscita di petrolio sia avvenuta nuovamente vicino alla raffineria di La Pampilla.

Intanto, il 26 gennaio, di fronte alla lentrezza e al caoso con i quali Repsol aveva “organizzato” le operazioni di bonifica e di pulizia delle spiagge, più di 200 marinai sono arrivati ​​​​alla spiaggia di Pocitos, nella baia di Ancón, dove continuano gli interventi dell’Autoridad Marítima Nacional, in coordinamento con altri enti pubblici, per rimuovere il materiale oleoso dalle coste.
La Marina de Guerra del Perú ha annunciato che «Attraverso l’Autoridad Marítima Nacional – Dirección General de Capitanías y Guardacostas, continuerà a svolgere l’arduo lavoro di pulizia e mitigazione, riaffermando così il suo impegno per la protezione dell’ambiente acquatico e delle sue risorse naturali».

In realtà i militari hanno assunto il comando delle operazioni di bonifica il 24 gennaio, dopo il totale fallimento degli interventi messi in atto da Repsoil su ordine del governo del Perù  e dopo le vibrate proteste delle associazioni ambientaliste e dei pescatori. I militari hanno subito dispiegato mezzi aerei e navali per tenere sotto controllo l’estensione della marea nera, organizzato le squadre di intervento civili e i volontari e impedito l’accesso a diverse spiagge inquinate e chiuso strutture turistiche costiere per prevenire effetti sulla salute.

Il 22 gennaio, una settimana dopo il disastro, la marea nera si estendeva su quasi 2 km 2 di fascia costiera e su 7.1 km2 quadrati di mare, equivalenti a circa 1.257 campi da calcio o poco più del doppio di Central Park di New York.

Ora si sa che la fuoriuscita è avvenuta durante il processo di scarico del petrolio dalla nave Mare Doricum alla Raffineria La Pampilla nel pomeriggio del 15 gennaio. E, secondo quanto riportato dall’azienda italiana Fratelli D’Amico, che gestisce la nave, sarebbe dovuto alla rottura della condotta sottomarina. La Fratelli D’Amico non ha spiegato le cause della rottura, ma il responsabile delle comunicazioni di Repsol, Tine Van Den Wall Bake, ha dato la colpa della catastrofe esclusivamente alle onde anomale dall’eruzione del vulcano sottomarino a Tonga che avrebbero provocato un movimento improvviso della nave. Ma Repsoil assicura che le operazioni sono state immediatamente sospese e che è stato applicato il piano di emergenza. Una versione messa in dubbio da diverse testimonianze che assicurano che al momento dell’incidente il mare era calmo.

Oceana Perù si chiede: «Come è possibile che nel bel mezzo dell’allerta tsunami lungo l’intera costa del Pacifico, la compagnia Repsol abbia continuato a scaricare carburante in mare? Perché i nostri sistemi di allerta, come quello che la Marina peruviana ha dovuto emettere a causa dello tsunami, sono così deboli e inefficienti? Fino a quattro giorni dopo il disastro ambientale, non sono state prese le misure necessarie per contenerlo, il che ha fatto sì che continuasse a diffondersi».

Il biologo e direttore scientifico di Oceana Perù, Juan Carlos Riveros, ha evidenziato che «In sversamenti di questo tipo, è necessario inviare subacquei con protezione speciale per vedere cosa è successo, chiudere le valvole per evitare che il petrolio continui a diffondersi e monitorare sia la direzione che l’entità della fuoriuscita per procedere con la pulizia».  Ma Repsoil risponde di aver seguito il protocollo e, dopo aver esplorato l’area dell’incidente con pattuglie, barche e droni, sul mare sono state viste solo iridescenze, «Quindi abbiamo pensato che fosse una cosa da poco», poco più di un barile di petrolio in un’area di 2,5 mq.  In realtà il greggio fuoriusciva sul fondale ed è emerso solo il 16 gennaio, inquinando chilometri di mare, avvelenando e uccidendo un numero probabilmente incalcolabile di animali, costringendo i pescatori a sospendere la pesca, e mettendo in ginocchio l’industria turistica in piena estate australe.

Repsol avrebbe avuto un piano di emergenza per la raffineria di La Pampilla, ma non è riuscita ad applicarlo adeguatamente e tempestivamente: ha assunto – con paghe da fame e senza nessuna protezione – pescatori e altro  personale non addestrato per pulire le spiagge e il mare e Oceana Perù denuncia di aver visto il personale di Repsoil raccogliere il greggio spiaggiato per poi scaricarlo immediatamente in buche scavate vicino alla riva per poi coprirle. Repsol risponde di aver schierato camion per recuperare il greggio raccolto dalle spiagge, 1.350 persone per rimuovere il petrolio dal terreno e in  mare, di aver posizionato oltre 2, 5  km di panne assorbenti e sette skimmer.

Ma la realtà è che, di fronte a questa risposta insufficiente, la società civile si è organizzata attraverso i social network per “ripulire” il disastro, a cominciare dal suo epicentro: Playa Cavero de Ventanilla. Le scene viste nei primi giorni dopo la marea nera  sono quelle di volontari che cercavano di rimuovere il petrolio dalle spiagge con rastrelli, secchi o palette, come se si trattasse di pulire casa loro.  Ma una catastrofe ambientale di questo tipo non di combatte a mani nude: è un lavoro enorme e i volontari, non indossando dispositivi di protezione adeguati o non conoscendo il modo corretto di procedere con la bonifica, si espongono alla contaminazione

Nel bel mezzo di questo disastro, Repsol ha detto che la pulizia delle spiagge e delle aree marittime colpite dalla marea nera sarà completata entro la fine di febbraio.

Ma, quando si parla di incidenti petroliferi in Perù, Repsol è davvero poco credibile. Come spiega il sito di indagini giornalistiche Salud con Lupa  «La raffineria La Pampilla, attualmente gestita da Repsol, ha una storia di cattive pratiche negli ultimi 13 anni», Secondo i dati dell’OEFA, nel 2013 c’era stata un’altra grave fuoriuscita di petrolio alla Playa Cavero de Ventanilla, a Callao e la raffineria venne multata per aver fornito informazioni imprecise sulla quantità di carburante sversato in mare (7 barili invece di 100) durante le operazioni di scarico sulla nave Stena Chronos.  «In totale, dal 2009, ci sono state 32 infrazioni che includevano 5 multe – denuncia  Salud con Lupa Oltre al caso di Playa Cavero, l’OEFA ha rilevato infrazioni dovute alla manipolazione inadeguata di sostanze che potrebbero causare incidenti e alla mancanza di prevenzione nelle attrezzature di movimentazione».

Dopo la marea nera del 15 gennaio, il presidente della Repubblica del Perù, Pedro Castillo, ha scritto sul suo account Twitter che “«Sono già state avviate azioni penali, civili e amministrative a tutela della sovranità e del benessere del Paese. Ciò include indagini da parte delle diverse entità statali per determinare la causa della fuoriuscita di petrolio, l’esatta quantità di petrolio greggio nel Mare di Ventanilla, le altre aree interessate e se vi sia stata o meno negligenza durante l’applicazione del piano di emergenza».  E la Marina de Guerra del Perú sta indagando su cause e responsabili del disastro, mentre il procurador público del Ministerio del Ambiente, Julio Guzmán, ha annunciato che «Lo Stato peruviano sta preparando una causa civile contro Repsol per tutti i danni causati dalla fuoriuscita».

Intanto, secondo il quotidiano peruviano La República , la Dirección de Investigación del Medio Ambiente de la Policía Nacional (Dirmeamb) sta conducendo indagini, raccogliendo campioni di acqua, suolo e atmosfera per effettuare una successiva perizia e determinare cosa è successo durante l’attracco della nave italiana Mare Doricum.

La marea nera causata dallo sversamento in mare di 6.000 barili di greggio ha gravemente colpito 21 spiagge nell’area che va da Ventanilla a Chancay e due Aree Naturali Protette: la Zona Reservada Ancón e gli Islotes de Pescadores, appartenenti alla Reserva Nacional Sistema de Islas, Islotes y Puntas Guaneras, dove vivono specie protette come il pinguino di Humboldt (Spheniscus humboldti) e la lontra marina (Lontra felina).

Il governo peruviano ha ià dichiarato l’emergenza ambientale per 90 giorni nell’intera area costiera interessata dalla fuoriuscita. Ma la situazione ambientale è drammatica: Yuri Hooker, direttore del laboratorio di biologia dell’Universidad Peruana Cayetano Heredia, ha spiegato  a Mongabay che «I primi a essere colpiti quando si verifica una fuoriuscita di petrolio sono gli uccelli marini e i mammiferi acquatici (come lontre e leoni marini), pesci di superficie ( come silverside, cefali) e plancton».

Gli animali trovati finora ancora vivi e salvati sono solo 51  e tra loro ci sono 13 cormorani guanay (Phalacrocorax bougainvillii), tre cormorani neotropicali (Phalacrocorax brasilianus), 13 cormorani chuita (Phalacrocorax gaimardi), 6 pinguini di Humboldt, 11 sule del Perù (Sula variegata), 3 gabbiani codafasciata (Larus belcheri), una sterna incao (Larosterna inca) e un piro piro (Calidris sp.). Nessuno sa quanti animali marini siano morto, ma Jessica Gálvez, direttrice fauna selvatica del Servicio Nacional Forestal y de Fauna Silvestre (Serfor) ha detto che almeno «6 lontre marine state trovate morte e l’unica viva è morta in seguito. La maggior parte degli animali che devono ancora essere trovati, rimangono su isole e isolotti. Tuttavia, è difficile andare a cercarli senza avere le barche necessarie a tale scopo».

Di fronte a questa tragedia e all’imperizia dimostrata da Repsoil, 41 associazioni ambientaliste peruviane, hanno espresso tutta la loro preoccupazione con un durissimo comunicato congiunto e accusano: «La fuoriuscita non è stata contenuta in modo tempestivo. Questo riguarda le spiagge e la biodiversità, ma anche le attività economiche come la pesca artigianale, il turismo e la gastronomia, da cui dipendono migliaia di persone. Testimoni e consapevoli della biodiversità marina di questo territorio e della sua importanza per la popolazione, invitiamo le autorità a compiere azioni concrete per evitare che gli ecosistemi, la fauna marina e le risorse idrobiologiche siano ulteriormente colpiti» 

Le associazioni ambientaliste concludono: «E’ necessario che questo caso sia seguito con l’urgenza necessaria. Con il passare dei giorni e con i lavori di pulizia è probabile che la macchia visibile nel mare scompaia. Tuttavia, la contaminazione da metalli pesanti continuerà ad essere presente nel fondale marino e negli esseri che lo abitano. Pertanto, è necessario creare un precedente affinché un disastro di questa portata, generato dall’azione umana, non danneggi nuovamente la nostra natura».