L’inquinamento ha alterato profondamente gli ambienti costieri

Un’efficace regolamentazione può ridurre il degrado dell'ecosistema costiero e marino

[19 Novembre 2020]

Gli ecosistemi costieri, veri e propri serbatoi naturali per lo stoccaggio del carbonio, svolgono un ruolo fondamentale nella regolazione del clima globale e nel ciclo del carbonio. Come interfaccia naturale tra terra e mare, preservano la pesca, facilitano i processi naturali di ciclo dei nutrienti, proteggono le coste e forniscono spazi ricreativi per gli esseri umani. Ma per molti anni l’urbanizzazione, l’agricoltura e l’industrializzazione hanno rilasciato una miriade di contaminanti nocivi negli ambienti costieri, con forti impatti sull’equilibrio naturale e minacciando interi ecosistemi, la sicurezza dei prodotti del mare e la salute umana.

Secondo il rapporto “Global Pollution Trends: Coastal Ecosystem Assessment for the Past Century” del Joint Group of Experts on the Scientific Aspects of Marine Environmental Protection (GESAMP) «Il numero e la concentrazione di molti contaminanti come metalli pesanti, sottoprodotti industriali e scarichi chimici, idrocarburi, pesticidi e microplastiche stanno aumentando a un ritmo allarmante».  Ma lo stesso rapporto  rileva che «Laddove sono state introdotte restrizioni, alcuni contaminanti strettamente regolamentati sono diminuiti negli ultimi 50 anni, dimostrando l successo delle politiche nazionali, degli accordi internazionali e della consapevolezza ambientale sociale».

L’ultimo rapporto GESAMP, pubblicato in coordinamento con l’International atomic energy agency (Ieaa)  attinge a quasi un secolo di dati e dimostra «La necessità di regolamentare l’inquinamento negli ambienti costieri per aiutare a invertire la rotta. la distruzione degli ecosistemi».

Florence Descroix-Comanducci, direttrice degli Iaea Environment Laboratories di Monaco, sottolinea che «L’inquinamento è una delle principali cause di distruzione dell’ecosistema. Nel secolo scorso, le attività umane hanno spezzato il delicato equilibrio degli ecosistemi costieri che sono più vitali per il ciclo naturale dell’auto-ripristino. Insieme ad altre dieci organizzazioni delle Nazioni Unite, abbiamo incaricato esperti indipendenti di esaminare i dati accumulati per determinare se la legislazione nazionale e gli accordi internazionali sono stati efficaci nel proteggere questi preziosi ecosistemi». Le altre entità dell’Onu che hanno partecipato all rapporto GESAMP sono: Nazioni Unite (UN), International Maritime Organization (IMO), Food and Agriculture Organization (FAO), United Nations Educational, Scientific and Cultural Organization – Intergovernmental Oceanographic Commission (UNESCO-IOC), United Nations Industrial Development Organization (UNIDO), World Meteorological Organization (WMO),), UN Environment Programme (UNEP), UN Development Programme (UNDP), International Seabed Authority (ISA).

Per condurre la valutazione, il GESAMP Working Group 39, guidato dall’Iaea ha esaminato le tendenze dell’inquinamento globale negli ambienti costieri per rivelare gli impatti delle attività antropiche e ha valutato oltre 70 anni di ricerca  rispetto ai dati che risalgono al periodo preindustriale. I ricercatori spiegano che «La datazione dei sedimenti in tali scale temporali può essere ottenuta utilizzando i radionuclidi presenti nell’ambiente, come gli isotopi 210Pb, 137Cs e Pu».

Per tracciare le registrazioni storiche dell’inquinamento, gli esperti marini hanno analizzato 37.720 data points  provenienti da 2.355 studi provenienti da tutto il mondo e condotti nel secolo scorso, su un gran numero di diverse classi di contaminanti, tra cui alcuni radionuclidi.

Lo studio ha dimostrato che «Dagli anni ’50, una vasta gamma di contaminanti chimici ha invaso gli ambienti costieri» e i risultati della ricerca indicano che «In alcune regioni sono stati osservati trend ampie e crescenti per i contaminanti durante periodi senza legislazione nazionale e accordi internazionali».

L’uso e la produzione di molte di queste sostanze pericolose come i policlorodifenili (PCB) sono stati vietati per la prima volta negli anni ’70. E’ seguita la regolamentazione di altri composti biotossici. Solo dopo, con l’attuazione di accordi internazionali, politiche nazionali e una maggiore consapevolezza ambientale sociale,  in alcune aree marine, si è assistito a una sostanziale diminuzione dei composti tossici come diclorodifeniltricloroetano (DDT), rame, cadmio, zinco, piombo, mercurio e inquinanti organici.

Ana Carolina Ruiz-Fernandez, presidente del GESAMP Working Group 39, evidenzia che «Come mostrano questi risultati della ricerca, quando sono disponibili dati di monitoraggio sufficienti, le tendenze di contaminazione giocano un ruolo importante nella comprensione delle cause alla base del deterioramento costiero e forniscono informazioni scientificamente valide per il processo decisionale. Se non regolamentati, questi contaminanti tossici hanno un’enorme capacità di alterare gli ecosistemi costieri, distruggere gli habitat naturali e minacciare la sicurezza dei frutti di mare e la salute degli esseri umani che fanno affidamento sulla biosfera marina per il loro benessere e sviluppo socio-economico».

Il presidente del GESAMP, David Vousden, spiega a sua volta che «In questa valutazione, abbiamo cercato di fornire ai decisori importanti conoscenze attuali che possono essere alla base degli strumenti di gestione predittiva per supportare le conseguenti decisioni socioeconomiche. Riteniamo che questo studio possa avere un impatto positivo sul processo decisionale per proteggere meglio gli ambienti costieri in tutto il mondo. La gestione e la protezione delle zone costiere deve essere prioritaria e la sua efficacia in futuro deve essere monitorata in modo completo, poiché gli ambienti costieri sono minacciati da complessi storici di contaminanti ed emergenti di recente».

La ricerca ha anche rivelato una serie di altre crescenti minacce per gli ambienti costieri. Il rapporto evidenzia la necessità di analizzare ulteriormente contaminanti come le micro-plastiche, l’eccessivo apporto di azoto dalle acque di scarico e il deflusso di fertilizzanti chimici e le concentrazioni di carbonio organico che sono onnipresenti nelle zone costiere.