Le regioni padane vogliono affossare la nuova direttiva Ue sulla qualità dell’aria

Azione politica comune tra le regioni padane di centro-destra e l’Emilia-Romagna

[16 Maggio 2023]

Dal 2021 la Commissione Europea, e di recente il Parlamento Europeo, i Governi nazionali e le associazioni ambientali e di tutela della salute, sono impegnati nel processo di revisione della Direttiva europea sulla qualità dell’aria, lo strumento base che regola la tutela dei cittadini europei dagli inquinanti dell’aria e l’azione degli Stati membri in quell’ambito. Cittadini per l’aria onlus, Associazione culturale padana (ACP), European Environmental Bureau – EEB, ISDE – Associazione medici per l’ambiente e Clean Cities  denunciano in un dossier congiunto che «In Europa la politica italiana sta mettendo in campo un’inedita e preoccupante coalizione a scapito della salute dei cittadini. In gioco c’è la revisione della normativa europea sulla qualità dell’aria, in base alla quale l’Italia (e in particolare le regioni del bacino padano oltre a Lazio, Toscana, Liguria e Sicilia) è stata condannata dalla Corte Europea di Giustizia e ha ancora una procedura di infrazione aperta».

Le 5 associazoni e coalizioni ambientaliste ricordano che «L’appuntamento cruciale sarà il 24 Maggio, quando i governatori leghisti di Lombardia, Piemonte e Veneto sono attesi a Bruxelles per presentare una controproposta che consentirebbe loro di fare poco o nulla per cambiare la situazione attuale, mantenendo l’Italia fanalino di coda in Europa per quanto riguarda la tutela della salute umana, la protezione ambientale e la qualità dell’aria.

La revisione della Direttiva Ue è diventata non rinviabile dopo che nel settembre 2021 sono state pubblicate le nuove Linee Guida sulla qualità dell’aria dell’Organizzazione mondiale della salute (Oms) che indicano come i limiti in vigore nell’Ue sono molto più elevati delle soglie al di sopra delle quali i ricercatori hanno individuato un impatto certo dell’inquinamento sulla salute umana. Un impatto che si verifica in ogni fase della vita umana, dalla gestazione, quando può determinare alterazioni dello sviluppo del feto, fino agli ultimi anni di vita. Un carico di malattia e morte che la ricerca epidemiologica riconduce, per un numero infinito di patologie, alla cattiva qualità dell’aria.

Gli ambientalisti evidenziano che «Secondo due studi appena pubblicati, l’inquinamento dell’aria ha non solo determinato un rilevante incremento dell’incidenza del tasso di infezione del COVID in Italia, ma ad esso è anche associabile l’8% della mortalità da Covid in Italia (124,346), pari quindi a circa 10.000 morti aggiuntive che sarebbero state evitate se la qualità dell’aria nel nostro paese avesse rispettato i limiti indicati dall’Oms».

Ma cosa sta succedendo? Le associazioni dicono che «Da mesi, proprio mentre il testo base della nuova direttiva pubblicato dalla Commissione Europea è in fase di analisi da parte del parlamento europeoi funzionari lombardi, di stanza o dislocati in Belgio per l’occasione, sono impegnati in un’azione volta a riformulare la proposta di Direttiva, minandone il senso e affossando il livello di tutela dei cittadini e della loro salute. Tante le richieste irricevibili delle regioni italiane, tra le quali quella di trasformare i limiti imposti per legge ai vari inquinanti in semplici valori obiettivo, il che priverebbe di tutela larghe fasce di cittadini, rendendo allo stesso tempo impossibile perseguire le violazioni per via giudiziaria. Le principali proposte avanzate dalle regioni – che si riflettono negli emendamenti proposti da alcuni parlamentari europei affiliati ai governi regionali in questione – sono di ottenere flessibilità e di eliminare del tutto i limiti di legge per le concentrazioni degli inquinanti dell’aria, ottenendo così un quadro normativo fumoso e ricco di deroghe nell’ambito del quale sia sempre rinviabile un approccio serio al tema della qualità dell’aria in Italia».

Le 5 associazioni e coalizioni fanno notare che «Il tentativo, da parte della regione Lombardia, di ostacolare uno sviluppo normativo che renderebbe inevitabili le politiche sino ad oggi omesse è purtroppo in linea con le scelte fatte fino ad oggi, che hanno costantemente promosso la sottovalutazione degli impatti dell’inquinamento sulla salute umana e teso al depotenziamento delle politiche atte a ridurlo (ad esempio favorendo l’utilizzo dei mezzi di trasporto pubblico ed ostacolando la circolazione dei veicoli inquinanti)».

A pagare il conto di questa azione politica sono i cittadini lombardi, così come i piemontesi e i veneti, sia per quanto riguarda l’accresciuto rischio personale sotto il profilo della salute, sia in relazione al bilancio sanitario delle loro regioni: secondo la European Public Health Alliance (EPHA), «L’impatto economico dell’inquinamento dell’aria ammonta in media a quasi 1300 euro a testa, che diventano 2800 euro a testa in una città ricca ma inquinata come Milano».

Gli ambientalisti evidenziano una saldatura politica tra le regioni padane di centro-destra e l’unica di centro-sinistra: «La novità di questa fase di serrata discussione sulle nuove norme europee è che anche la regione Emilia Romagna ha deciso di affiancare l’azione lombarda in Europa. Preoccupa inoltre che anche un europarlamentare del PD, l’ex sindaco di Vicenza Achille Variati, abbia proposto in sede di revisione del testo della Direttiva due emendamenti molto simili a quelli proposti dalla Lega, nel silenzio e quindi con l’apparente assenso della delegazione del PD a Bruxelles. Nel silenzio dei principali media e nell’opacità del complesso processo di formazione delle leggi europee si consuma insomma un’inedita alleanza tra forze politiche che, almeno sulla carta, dichiarano di avere posizioni molto diverse su ambiente e transizione ecologica».

Per Anna Gerometta, presidente di Cittadini per l’aria, «Le richieste sono irresponsabili sia rispetto al tema della salute dei cittadini che rispetto al tema dell’impegno di riduzione delle emissioni nella prospettiva del cambiamento climatico. L’impatto dell’inquinamento in Italia è il più elevato in Europa non per le condizioni orografiche della pianura padana, ma perché si sceglie quotidianamente di investire su azioni che generano inquinamento invece che sulle azioni che lo riducono. Il trasporto che deve consentire ai cittadini di muoversi nelle aree metropolitane con i mezzi pubblici, la combustione della legna che va eliminata e non incentivata invece come si sta facendo, l’agricoltura, e in particolare l’allevamento intensivo, è da ridimensionare e rendere sostenibile. Se non aderirà a una nuova direttiva ambiziosa oggi l’Italia potrebbe determinare un autogol clamoroso perdendo la partita più importante per il futuro dei suoi cittadini».

Medici e i ricercatori sono chiari nel denunciare gli impatti potenziali che un allentamento ulteriore della normativa europea sulla qualità dell’aria avrebbe sulla salute di tutti, a partire dai più vulnerabili. Francesco Foratiere, esperto epidemiologo italiano che ha contribuito alla stesura delle Linee Guida dell’Oms, conferma:

«Le conseguenze per la salute di tutti della flessibilità e delle deroghe richieste non sono irrisorie. Si tratta di bambini che nascono prematuri e si ammalano di asma ed infezioni, adulti con problemi cardiorespiratori, persone che vivono meno e muoiono prima. Migliaia di casi per ogni anno. Elasticità e proroghe costano sofferenza e malattia», Elena Uga, referente del gruppo Pediatri per un Mondo Possibile (Pump) dell’Associazione Culturale Pediatri (ACP), aggiunge: «L’evidenza scientifica degli effetti negativi dell’inquinamento atmosferico sulla salute dei bambini è chiara e convincente con un possibile impatto sulla salute anche in età adulta e, addirittura, transgenerazionale; se a questo si aggiunge come la  popolazione in età pediatrica risulti essere maggiormente suscettibile agli effetti legati all’esposizione ad inquinanti atmosferici, a causa di una combinazione di fattori biologici, comportamentali ed ambientali, diventa urgente e improcrastinabile programmare azioni efficaci e concrete per migliorare la qualità dell’aria».

Gli ambientalisti denunciano «La chiara scelta politica di trascurare salute e ambiente da decine di anni. Nei dibattiti e nei comunicati stampa i governi padani propongono descrizioni catastrofistiche evocando la qualità dell’aria come nemica del vivere bene – chiusura di industrie, impossibilità di circolare nelle nostre città, e quant’altro. Non si spende una parola per descrivere come una buona qualità dell’aria sia invece essenziale per vivere, e vivere bene a lungo, senza ammalarsi. Senza pesare sul sistema sanitario e garantendo il funzionamento di un’economia che sia compatibile con il nostro benessere. Gli scenari apocalittici descritti in caso di adozione degli standard di qualità dell’aria proposti dalla Commissione Europea  rinviano a misure di riduzione dell’inquinamento che di futuristico hanno ben poco e che avrebbero invece dovuto diventare obbligatorie (nei risultati) almeno venti/trent’anni fa – con un costante monitoraggio della loro reale applicazione. Si prenda ad esempio l’iniezione del letame nel suolo per evitare emissioni di ammoniaca, o l’isolamento di edifici pubblici e privati per risparmiare energia».

Margherita Tolotto, senior policy officer for air quality and noise dell’EEB, conclude: «Con la presunzione di poter usare tale trascuratezza per i temi di salute e ambiente, tipica di queste amministrazioni anacronistiche, si giustifica la dichiarata incapacità di proteggere i nostri figli. E’ giusto chiedere ai cittadini di accettare di essere esposti a livelli di inquinamento intollerabili perché poco è stato fatto e poco si vuole continuare a fare?»

 

I DATI DI CONTESTO

Nel febbraio 2023 i tecnici lombardi presentano alla riunione del Comitato delle Regioni Europee dati e documenti allegando che il raggiungimento dei limiti previsti dalla proposta di Direttiva sarebbe impossibile anche se intere regioni padane – e pressoché ogni attività – venissero letteralmente spente.

Una iniziativa che ha, dunque, come capofila una regione specifica le cui energie vengono oggi destinate all’ottenimento di una normativa debole ed inefficace che lascerà le mani libere agli amministratori.

L’azione promossa dalla Lombardia, che se avesse successo si sostanzierebbe in una significativa riduzione delle tutele offerte dalla nuova direttiva, si inquadra nel seguente contesto:  I limiti agli inquinanti dell’aria sono in vigore da molti lustri quando non addirittura decenni (PM10/ 2005; NO2/2010; PM2.5/2015).  A livello nazionale la Lombardia subisce il maggior impatto sanitario, pari a circa 1/3 di tutta la mortalità nazionale, derivante dall’inquinamento atmosferico (VIIAS, Relazione finale, p. 152 e ss). Considerando il dato dell’ultimo Rapporto dell’Agenzia Europea per l’Ambiente, che stima per l’Italia una mortalità prematura di circa 60.000 persone, politiche efficaci, rapide e ambiziose in Lombardia potrebbero salvare la vita a 20.000 persone ogni anno.

Gli argomenti che i tecnici avanzano in Europa riguardano… “feasibility, timing, responsibility”, ovvero fattibilità, tempistica e responsabilità, un leitmotiv che si ritrova spesso negli emendamenti e nei commenti alla proposta di Direttiva, da parte della compagine padana anche da parte di numerosi parlamentari europei, fra i quali spiccano compatti quelli della Lega (ID), un componente di Forza Italia (EPP) e persino un parlamentare del PD (S&D). Sono argomenti che si basano sulla contestazione degli scenari al 2030  preparati dalla Commissione Europea ai fini della revisione della direttiva che vengono definiti non realistici. Un argomento assurdo in quanto l’elaborazione dei redattori europei dell’analisi di impatto, i migliori ricercatori del campo in Europa e super partes, si basa sui dati forniti proprio dalle regioni padane. Chi invece oggi contesta tale analisi non è un ente super partes ma chi da tempo viola norme e limiti arrancando con misure inadeguate e che ha, a suo tempo, fornito i dati usati dalla Commissione Europea per l’analisi di impatto. In definitiva si tratta del tentativo di confondere con pretesi dati scientifici un’azione fortemente e essenzialmente politica.

Come si evidenzia in un recente articolo preparato dai modellisti dell’atmosfera di ARPA Lombardia nell’ambito del progetto europeo LIFE-IP PREPAIR volto a supportare il miglioramento della qualità dell’aria in Pianura Padana le fonti di inquinamento in pianura padana consistono per la parte preponderante nel trasporto (NO2, PM2.5), nella combustione di carburanti solidi per uso domestico (legna, pellet, per PM10, PM2.5, NMVOC) e infine nell’allevamento e  l’agricoltura (PM2.5, O3). I dati dicono, quindi, che l’unica industria da modificare e ridimensionare fortemente in questo senso è, verosimilmente, quella agricola per passare a mezzi di coltivazione più sostenibili riducendo l’allevamento intensivo.  I dati dei ricercatori lombardi indicano inoltre come l’attuale scenario normativo della pianura padana si accompagni ad una diminuzione praticamente impercettibile ove non inesistente di molti degli inquinanti che serve abbattere. Ciò che fa emergere l’importanza cruciale di norme, pianificazione e attuazione delle misure al fine di sciogliere la nube tossica che avvolge il nord Italia.

Un ulteriore studio appena pubblicato dai medesimi ricercatori che agiscono nell’ambito di PREPAIR con l’obiettivo di valutare l’impatto della riduzione dei due maggiori precursori del PM2.5 – NOx, ossidi di azoto, derivanti dal traffico e NH3, ammoniaca, derivante dagli allevamenti – evidenzia che: 1. le riduzioni sono più efficaci in inverno (a causa dell’inversione termica) rispetto all’estate. 2. sebbene la riduzione di un precursore non sia associata linearmente ad una riduzione del PM2.5 essa dipende da quanto si è ridotto l’altro precursore, evidenziando l’effetto sinergico dei precursori specie in inverno. 3. la sinergia in relazione all’effetto dei precursori sulle concentrazioni di PM2.5 è tanto più grande quanto più si riducono le emissioni di entrambi.

Uno studio che rivela che è necessario ridurre le emissioni da traffico e dagli allevamenti, specie in inverno, che quanto maggiore sarà la riduzione simultanea di queste emissioni maggiore sarà l’abbattimento del PM2.5 e, in definitiva, che l’efficacia della riduzione delle emissioni di nitrati ed ammoniaca – a causa della loro interazione – sarà sempre maggiore (anche se non lineare) quanto maggiore sarà l’intensità di riduzione. Insomma, riducendo le emissioni trascurate e anzi favorite per esempio in Lombardia in questi anni, lo sforzo sarà in grado di determinare un beneficio oltre le attese.

Il primo bilancio della qualità dell’aria nell’anno 2022 redatto da ARPA Lombardia nel 2023 indica un trend dei principali inquinanti praticamente piatto dal 2018 (PM10), dove non in salita (PM2.5), ad eccezione di una ridotta decrescita dell’NO2 dal 2020 – da ricondursi essenzialmente all’adozione di nuove tecnologie NOx per i veicoli diesel. Un’ennesima dimostrazione del fatto che le strategie adottate sono fallimentari e che l’adozione di nuove regole e limiti è indispensabile per riuscire ad ottenere l’adozione di misure efficaci in tempi rapidi.

Le regioni padane hanno avuto decenni per implementare misure e strategie per contenere l’inquinamento atmosferico, ma i ritardi sono evidenti anche rispetto ai pur ridotti limiti oggi vigenti. L’odierna azione in sede europea tende a trasformare i fallimenti delle politiche attuali in un nulla di fatto per l’avanzamento nella tutela dell’ambiente e della salute umana.

Le deroghe e la flessibilità invocate sono proposte da chi meno ne diritto: le regioni padane sono state condannate tre volte dalla Corte di Giustizia Europea per non aver rispettato i limiti sugli inquinanti e per non aver adottato le misure necessarie a risanare la qualità dell’aria;  hanno usato la scusa delle “caratteristiche morfologiche e geografiche del territorio italiano dovute ad una situazione orografica e meteorologica eccezionale” e fatto meno di quanto fatto dalle altre regioni europee; l’argomento della “sfida socioeconomica e finanziaria dei vasti investimenti da realizzare”, le “tradizioni locali” o l’addossare alle “politiche dell’Unione, in particolare nei settori del trasporto, dell’energia e dell’agricoltura” l’addossare la responsabilità dell’insuccesso proprio alle politiche europee non hanno valore. Infatti, sotto questo ultimo profilo nulla avrebbe impedito all’Italia di fare più di quanto previsto a livello europeo mentre la Corte di Giustizia ha ripetutamente affermato che il “legislatore dell’Unione ha fissato i valori limite al fine di proteggere la salute umana e l’ambiente, tenendo pienamente conto del fatto che gli inquinanti atmosferici sono prodotti da molteplici fonti e attività e che le diverse politiche sia nazionali sia dell’Unione possono avere un’incidenza al riguardo” (VII Sez., 12 maggio 2022, C-573/19). “In mancanza della prova fornita dalla Repubblica italiana in merito all’esistenza di circostanze eccezionali le cui conseguenze non avrebbero potuto essere evitate nonostante l’uso della massima diligenza, è irrilevante dunque che l’inadempimento risulti dalla volontà dello Stato membro al quale è addebitabile, dalla sua negligenza, oppure da difficoltà tecniche o strutturali cui quest’ultimo avrebbe dovuto far fronte” (anche le sentenze nelle cause C-68/11 e C-644/18).

La flessibilità e le deroghe richieste si prestano ad essere invocate in presenza di un qualunque contesto storico e giustificherebbero qualsivoglia assenza di misure contenitive degli inquinanti sebbene sia di tutta evidenza come l’impatto sulla salute dell’inquinamento e l’emergenza climatica richiedano velocità, immediatezza ed efficacia.

Non ultimo, un recente articolo dei maggiori epidemiologi rileva innanzitutto la debolezza  della proposta di Direttiva in quanto indicante limiti non coincidenti con quelli individuati dalle linee guida dell’OMS, oltre all’importanza di adottare nuovi limiti anche per l’ozono, a cui la proposta assegna invece solo valori obiettivo. Si evidenzia, infine, come l’impatto dell’inquinamento sia stato sino ad oggi sottovalutato, e si sottolinea l’errore di prospettiva degli scenari realizzati dalla Commissione Europea. «La fattibilità – sottolineano i ricercatori – è in gran parte legata alla volontà politica. Sebbene le misure tecniche svolgano un ruolo importante, altre realistiche opzioni di abbattimento sono ampiamente ignorate. Queste includono, ad esempio, le zone a bassa o zero emissioni, quartieri a basso traffico, miglioramento dei trasporti pubblici, la promozione della mobilità attiva e gli incentivi a scelte alimentari sane attraverso l’azione politica a livello di produzione, trasporti e consumatore. Inoltre, dallo scenario di fattibilità mancano passi rapidi verso combustibili ed elettricità più puliti, misure locali efficaci come i divieti di combustione del carbone e delle biomasse e altre misure locali o nazionali».

Cirio, Fontana e Zaia a Bruxelles a fine maggio. E’ di pochi giorni fa la notizia che le regioni padane – nell’ambito della rete Air quality Initiative for Regions – hanno organizzato per il 24 maggio, in forse non casuale coincidenza con l’incontro programmato nei pressi del Parlamento Europeo dalla Società Respiratoria Europea – un incontro che, alla presenza dei tre governatori padani, proporrà il cd. recast della Direttiva sulla qualità dell’aria ovvero una procedura di discussione ridotta che limita in maniera sostanziale la possibilità di migliorare la proposta e, al contempo, si propone di ottenere la flessibilità, i tempi e l’abolizione dei limiti che, come visto, renderebbero la nuova Direttiva un’occasione del tutto persa di migliorare davvero la qualità dell’aria in Europa e anche in Italia.  Una vergognosa alleanza a danno dei loro cittadini di cui dovranno essere tenuti responsabili.