Le emissioni geologiche di metano sono molto più alte di quanto si pensava: 50 milioni di tonnellate all’anno

Uno studio sull’area di Lusi al quale ha partecipato l’Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia

[4 Marzo 2021]

Lo studio “Relevant methane emission to the atmosphere from a geological gas manifestation”, pubblicato su Scientific Reports da un team di ricercatori dell’Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia (Ingv), dal Center for Earth Evolution and Dynamics (CEED dell’università di Oslo, dello SRON Netherlands Institute for Space Research e di Pusat Pengendalian Lumpur Sidoarjo (PPLS) Indonesia, descrive le analisi effettuate sull’Isola di Giava, in Indonesia, che «Hanno permesso di determinare la più grande emissione di metano di natura geologica mai misurata fino ad ora»
L’innovativo studio ha infatti determinato la quantità di metano emessa da una singola manifestazione di gas naturale, chiamata Lusi, una delle più grandi del pianeta.

All’Ingv spiegano che «L’indagine, che si basa sull’integrazione dei dati acquisiti sul terreno con dati satellitari, suggerirebbe che alcune stime delle emissioni globali di metano geologico basate sul carbonio-14 (radiocarbonio) sono sottostimate. Le emissioni geologiche di gas dai bacini sedimentari petroliferi rappresentano una componente naturale del budget atmosferico di metano. Tuttavia, la quantità globale di metano geologico rilasciata in atmosfera è oggetto di vari studi, alcuni in contrasto tra loro. Infatti, mentre le stime di tipo statistico, basate sui flussi misurati sul terreno, suggeriscono una emissione globale di circa 50 milioni di tonnellate di metano all’anno, altre stime, basate su analisi del radiocarbonio (carbonio-14) in carote di ghiaccio dell’era preindustriale, suggeriscono valori molto più bassi, tra 0,1 e 5,4 milioni di tonnellate all’anno».
I ricercatori hanno analizzato la spettacolare manifestazione di emissione di gas metano che si è sviluppata nel 2006 a Giava e da allora l’area di Lusi, ha continuato ad emettere acqua, petrolio, gas e fango, con eruzioni in grado di espellere fino a 180.000 m3 di fango al giorno e pennacchi di vapore che raggiungono diverse decine di metri di altezza. Lusi è un fenomeno geologico alimentato dalle elevate pressioni dei fluidi nelle rocce sedimentarie e dalle alte temperature derivanti dall’interazione con il vicino complesso vulcanico di Arjuno-Welirang. Si tratta, quindi, della manifestazione superficiale di un sistema ibrido sedimentario-idrotermale. Il gas che fuoriesce, ricco di anidride carbonica (CO2) e metano (CH4), viene espulso in atmosfera da due crateri centrali e da migliaia di punti di emissione minori (satellite seeps) che coprono un’area di 7,5 km2. Fino ad ora, la quantità di gas effettivamente rilasciata in atmosfera da questo sito era sconosciuta.
Una delle autrici dello studio, Alessandra Sciarra dell’Ingv, sottolinea che «I risultati che abbiamo ottenuto dopo anni di monitoraggio approfondiscono il dibattito scientifico sull’emissione globale di fonti geologiche di metano e suggeriscono che alcune delle recenti stime basate su analisi di antiche carote di ghiaccio sono significativamente sottostimate. Infatti, la quantità di metano rilasciata da Lusi corrisponde già da sola alla valutazione minima degli studi per l’intero pianeta basati sulle carote di ghiaccio. Il nostro gruppo di ricerca ha unito tecniche di misure da terra e da un satellite, chiamato TROPOMI, per quantificare il gas rilasciato in atmosfera da Lusi. Le due tecniche hanno indicato valori simili di emissione di metano, di circa 100.000 tonnellate all’anno: si tratta della più alta emissione di metano mai misurata da una singola manifestazione di gas».
I risultati ottenuti dai ricercatori suggeriscono Lhe la quantità di gas metano emessa da Lusi è proporzionalmente coerente con il livello di flusso di metano (il cosiddetto “fattore di emissione”) tipicamente rilasciato da altre manifestazioni simili di gas naturale terrestre come, ad esempio, i vulcani di fango. Ciò significa che se le misurazioni provenienti da questi siti venissero combinate a livello mondiale, le stime globali arriverebbero a indicare una emissione di metano geologico più vicina a quella definita con criteri statistici, basate sui flussi misurati sul terreno (dell’ordine di 50 milioni di tonnellate di metano all’anno), piuttosto che quella, praticamente irrisoria, basata sulle valutazioni effettuate con il radiocarbonio nelle carote di ghiaccio».

La Sciarra conclude: «Conoscere le quantità e i flussi reali di metano da fonti geologiche naturali risulta particolarmente importante per valutare meglio le emissioni di gas antropogeniche, come quelle legate all’industria petrolifera, e quindi il bilancio del metano atmosferico complessivo.Il nostro studio suggerisce, infine, che le misurazioni delle emissioni di gas svolte con l’aiuto dei dati satellitari possono rivelarsi uno strumento chiave per supportare gli studi a terra e migliorare le stime del budget globale del geo-metano».