Inquinamento da polveri sottili, tra i grandi Paesi Ue solo la Polonia fa peggio dell’Italia

Sia PM2.5 che PM10 sono in grado di penetrare in profondità nei polmoni, e il PM2.5 può anche entrare nel flusso sanguigno con conseguenti impatti cardiovascolari e respiratori

[3 Febbraio 2022]

L’Agenzia Europea per l’Ambiente (EEA) ha messo a disposizione di tutti la banca dati dei risultati che ogni nazione trasmette relativamente ai risultati del monitoraggio della qualità dell’aria.

I dati sono relativi alle stazioni di monitoraggio presenti nei paesi dell’Unione Europea ed anche a numero paesi extra UE che comunque fanno parte dell’Agenzia o con essa cooperano.

E’ possibile interrogare la banca dati per tipo di inquinante monitorato, per tipo di indicatore rilevato, per nazione, per anno, per tipologia ed area di riferimento della stazione di monitoraggio, per città; e tutti i dati sono scaricabili in formato aperto e riusabile. Sono disponibili dati fino dalla fine degli anni novanta (relativamente ad un numero ridotto di stazioni, via via crescente fino ad arrivare alle oltre 3.500 stazioni di monitoraggio degli ultimi anni.

Le stazioni di monitoraggio sono gestite generalmente dalle agenzie ambientali, nel caso dell’Italia dal Sistema nazionale per la protezione dell’ambiente (SNPA). Il sistema diffonde dati relativi all’andamento degli inquinanti monitorati, tuttavia se si mettono a confronto i dati pubblicati da SNPA e quelli ricavabili dalla banca dati EEA per gli stessi indicatori e gli stessi periodi si possono verificare piccole discrepanze, dovute essenzialmente al livello di validazione dei dati trasmessi a livello europeo (peraltro indicato nelle tabelle con i riferimenti alle singole stazioni) e di quelli diffusi in Italia.

Si tratta di un patrimonio informativo molto prezioso sia in termini di diffusione della conoscenza ambientale che per effettuare analisi approfondite sull’andamento della qualità dell’aria in Europa.

Vediamo i dati relativi al PM10 e al PM2,5, comunemente chiamate polveri sottili. Si tratta di materiale particolato aerodisperso – le prime di diametro inferiore a 10 micron (μm) e le seconde di diametro inferiore a 2,5 micron (μm) – presente nell’aria che respiriamo. Può essere di origine naturale e/o antropica (riscaldamento, industrie, traffico, fenomeni di attrito su strada, ecc.).

Secondo l’OMS i rischi per la salute associati al PM2,5 sono di particolare rilevanza per la salute pubblica. Sia PM2.5 che PM10 sono in grado di penetrare in profondità nei polmoni ma il PM2.5 può anche entrare nel flusso sanguigno, principalmente con conseguenti impatti cardiovascolari e respiratori. Nel 2013, l’inquinamento atmosferico esterno e il PM sono stati classificati come cancerogeni dall’Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro (IARC) dell’OMS.

L’indicatore media annuale in qualche modo indica l’esposizione media della popolazione sul lungo periodo a questi inquinanti. Per esso è presente un limite stabilito a livello europeo e nazionale da non superare (40 microgrammi / metro cubo) per il PM10 e 25 per il PM2,5. L’Organizzazione Mondiale della Sanità nelle sue linee guida (pubblicate nel 2005 e aggiornate nel 2021) indica invece valori sensibilmente più bassi per tutelare la salute umana: 15 microgrammi / metro cubo e 5 per il PM2,5.

Nel tempo (2001-2020) per il PM10 si è senz’altro verificato un miglioramento della situazione, che ha portato nei paesi dell’Unione Europea ad un generalizzato rispetto del limite normativo stabilito, che all’inizio degli anni duemila non veniva rispettato nel 13% delle stazioni di monitoraggio. Percentuale ben superiore invece per l’Italia fino a quasi tutto il primo decennio del millennio, che però anch’essa negli ultimi anni registra sporadici sforamenti.

Ben diversa, invece, la situazione per quanto riguarda i valori raccomandati dall’OMS. Nel 2020 per quanto riguarda il PM10, i valori registrati lo scorso anno nel 30% delle stazioni di monitoraggio dei paesi dell’Unione già rientrano in quanto indicato dalle linee guida OMS 2021, cioè sono inferiori o uguali a 15 microgrammi per metro cubo. Questa percentuale è quasi doppia in Germania (59,5%), una volta e mezzo in Francia (43,5%) e analoga in Spagna (29,5%). Invece in Italia (9%) e Polonia (4,6%) siamo molto lontani, così come nei paesi non UE (21,2%).

Per quanto riguarda il più insidioso PM2,5, nel tempo (2006-2020) si è senz’altro verificato un miglioramento della situazione, che ha portato nei paesi dell’Unione Europea ad un generalizzato rispetto del limite normativo stabilito, che all’inizio del periodo considerato non veniva rispettato nel 17% delle stazioni di monitoraggio.

Per quanto riguarda i paesi dellUnione Europea nel 2020, la riduzione da 10 a 5 microgrammi indicata quest’anno dall’OMS fa sì che il numero di stazioni che hanno registrato un valore inferiore sia limitato a solo 56 stazioni di monitoraggio (4%) a differenza del confronto con il valore delle LG OMS del 2005 che veniva rispettato dal 48% delle stazioni collocate nei paesi UE .

Fra i cinque più grandi paesi dell’Unione (Italia, Francia, Germania, Polonia e Spagna) quello che si colloca in una posizione peggiore è la Polonia, seguita però a ruota dall’Italia; Germania e Francia fanno fatica a rispettare il valore raccomandato da non superare dall’OMS nel 2021, ed infatti i paesi più virtuosi si concentrano in Scandinavia.

Nelle mappe e nelle tabelle pubblicate in Ambientenonsolo è possibile vedere i dati 2020 relativi a tutte le stazioni di monitoraggio in Europa, sia per il PM10 che per il PM2,5.

di Marco Talluri, https://ambientenonsolo.com