In crescita le emissioni globali di metano. Unica eccezione l’Europa

E’ il secondo gas serra per importanza, con un potenziale di riscaldamento persino più alto della CO2

[27 Agosto 2020]

Lo studio “The Global Methane Budget 2000-2017”, pubblicato su Earth System Science Data (ESSD) da un team team di ricerca internazionale coordinato dal Laboratoire des Sciences du Climat et de l’Environnement nell’ambito delle attività del  Global Carbon Project, fornisce informazioni e dati aggiornati sulla crescente presenza in atmosfera del metano (CH4),, analizzando accuratamente le emissioni di molti settori e in particolare di agricoltura, rifiuti e combustibili fossili su tutti. Lo studio principale, che tra gli autori vede Simona Castaldi e Sergio Noce della Fondazione Centro Euro-Mediterraneo sui Cambiamenti Climatici (Fondazione CMCC), è integrato integrato e completato dall’articolo “Increasing anthropogenic methane emissions arise equally from agricultural and fossil fuel sources” pubblicato su Environmental Research Letters.

La Fondazione CMCC ricorda che quando di parla di gas serra non bisogna pensare solo alla CO2: «Certo, l’anidride carbonica ha un ruolo fondamentale nel riscaldamento globale, ma il metano (CH4), con un potenziale di riscaldamento molto più alto (di ben 28 volte considerando un orizzonte temporale di 100 anni), merita altrettanta attenzione. Una volta rilasciata, l’anidride carbonica può persistere in atmosfera e continuare ad avere effetti sul clima anche per migliaia di anni. Il metano, al contrario, ha un tempo di permanenza in atmosfera molto più breve, di circa 10 anni, perché è rimosso molto rapidamente da tutta una serie di reazioni chimiche. Nonostante quindi il metano sia un gas serra da tenere sotto stretta osservazione, i suoi effetti sono relativamente di breve durata e qualsiasi misura volta a ridurre le sue emissioni può portare rapidamente a dei benefici per il clima. Per questi motivi, efficaci piani di mitigazione dei cambiamenti climatici non possono trascurare questo gas serra, la cui concentrazione in atmosfera è più che raddoppiata dall’era pre-industriale (1750) per effetto delle diverse attività umane».

Eppure, dallo studio emerge che «Dopo un periodo di relativa stabilità all’inizio degli anni 2000, dal 2007 si è assistito a un nuovo aumento delle sue concentrazioni. Questo aumento appare in linea con le tendenze degli scenari climatici futuri più pessimistici, non in linea con gli obiettivi dell’Accordo di Parigi».

Lo studio illustra in particolare il bilancio aggiornato del metano globale per il periodo 2000-2017, per un’attenta valutazione delle sue fonti di assorbimento e di rilascio in atmosfera. Questo nuovo bilancio dimostra come «Le emissioni di metano a livello globale siano aumentate del 9% (pari a 50 milioni di tonnellate) tra il 2000-2006 e il 2017. Le emissioni di origine antropica, legate cioè alle attività umane, sono le principali responsabili di questo aumento, e provengono in egual misura dal settore dei combustibili fossili, dall’agricoltura e dal settore dei rifiuti». Le emissioni di metano imputabili alle attività umane rappresentano circa il 60% delle emissioni totali globali.

Castaldi e Noce evidenziano che «Come ben sappiamo, l’anidride carbonica è il principale motore del cambiamento climatico, ma senza dubbio anche il metano svolge un importante ruolo in questo processo. Questo lavoro appena pubblicato su ESSD è frutto di un imponente sforzo di un team di ricerca internazionale di oltre 90 autori di oltre 15 nazionalità diverse. In sostanza, aggiornando un lavoro precedentemente pubblicato nel 2016, sintetizza ciò che sappiamo oggi sulle emissioni di metano e su come sono cambiate nel tempo, combinando le conoscenze di numerosissimi centri di ricerca che si occupano di gas serra (oltre 70) in tutto il mondo. Ognuno di noi ricercatori, in base al proprio background scientifico, ha dato il suo contributo; noi del CMCC, ad esempio, ci siamo occupati di spazializzare e quindi stimare a scala globale l’apporto che le termiti danno alle emissioni di CH4 durante la loro fondamentale attività di decomposizione della biomassa vegetale».

Le fonti naturali delle emissioni di metano sono numerose: aree umide e paludose, laghi, bacini, termiti, fonti geologiche, idrati… e alla Fondazione CMCC ricordano che «L’incertezza sulle stime per ciascuna di queste fonti rimane tuttora alta, e in futuro occorrerà migliorare i metodi per una loro stima e inventario», ma «Il principale fattore responsabile di questo rapido incremento delle concentrazioni del metano globale è soprattutto rappresentato da un aumento delle emissioni del settore agricolo, zootecnico e dei rifiuti.
Le emissioni antropogeniche sono in particolare ripartite fra le seguenti fonti di metano: 30% dalle fermentazioni che avvengono nei processi digestivi dei ruminati e dalla trasformazione delle loro deiezioni; 22% dalla produzione e dall’uso dei combustibili fossili; 18% dal trattamento dei rifiuti solidi e delle acque reflue; 11% dall’estrazione del carbone; 8% dalla coltivazione del riso; 8% dalla combustione di biomasse e biocarburanti. Il resto è attributo al settore dei trasporti e all’industria».

Dallo studio viene fuori che «Le regioni tropicali sono fra i principali responsabili di questa crescita dei livelli di metano in atmosfera (~ 64% delle emissioni globali), mentre il 32% delle emissioni proviene dalle regioni alle medie latitudini dell’emisfero settentrionale, e solo il 4% delle emissioni dalle regioni alle alte latitudini dell’emisfero boreale. Le emissioni di metano delle regioni boreali non sono quindi particolarmente aumentate. Questo significa che l’alta sensibilità climatica delle regioni boreali non si traduce (ancora) in un grande aumento delle emissioni di questo gas serra».

Le tre regioni maggiormente responsabili di questo incremento delle emissioni di metano sono Africa, Cina e Asia, ciascuna con un contributo pari a 10-15 milioni di tonnellate di CH4. Il Nord America contribuisce con 5-7 milioni di tonnellate (con 4-5 milioni di tonnellate dagli Usa). In Africa e in Asia (con l’eccezione della Cina), le principali fonti di emissione sono rappresentate da agricoltura e rifiuti, seguite dal settore dei combustibili fossili, contrariamente a quanto osservato in Cina e Nord America, dove la situazione appare invertita.

L’Europa sembra essere l’unica regione in cui le emissioni diminuiscono (4-2 milioni di tonnellate in meno, a seconda del metodo utilizzato per realizzare tale stima), e questa riduzione è legata soprattutto al settore agricolo e della gestione dei rifiuti.

Alla Fondazione CMCC avvertono che «Per rispettare gli obiettivi dell’Accordo di Parigi in futuro bisognerà tener conto non solo delle emissioni di CO2 quindi, ma anche di quelle di metano».

Lo studio  conclude sottolineando  come «Il recente aumento delle concentrazioni di metano sia imputabile soprattutto alle diverse attività umane. Vista la sua scarsa longevità in atmosfera, qualsiasi riduzione delle emissioni di metano potrà però essere apprezzata in tempi molto brevi e avere immediati effetti positivi.
Il metano potrebbe pertanto offrire crescenti opportunità di mitigazione dei cambiamenti climatici fornendo in tempi rapidi benefici per il clima e allo stesso tempo per l’economia, l’agricoltura, la salute».