Il costo del cambiamento climatico è stato molto sottovalutato

Le emissioni potrebbero comportare un costo procapite di oltre 1.300 all'anno, e fino a oltre 15.000 con gli impatti sulla crescita economica

[20 Settembre 2021]

«Il costo sociale dell’anidride carbonica è uno degli indicatori più influenti del cambiamento climatico in quanto consente di stimare il costo delle emissioni di gas serra per l’umanità» a dirlo è il recente studio  “The social cost of carbon dioxide under climate-economy feedbacks and temperature variability”, pubblicato su Environmental Research Letters  da un team di ricercatori austriaci, britannici e tedeschi guidati da Jarmo Kikstra dell’International Institute for Applied Systems Analysis (IIASA), che ripercorre come 10 anni di progressi scientifici abbiano influenzato queste stime ed esplora come risolvere alcune delle più importanti lacune presenti nei modelli esistenti.

I ricercatori spiegano: «Poiché il cambiamento climatico colpisce noi e il nostro ambiente in una miriade di modi, l’urgenza dell’azione climatica è molto chiara. Tuttavia, comprenderlo in un indicatore quantitativo non è facile, o forse nemmeno possibile. Molti indicatori, come l’intensità delle condizioni meteorologiche estreme o l’entità della temperatura globale e l’innalzamento del livello del mare, considerano solo una parte del problema. Il costo sociale dell’anidride carbonica (SCCO2) è un indicatore che mira a fornire un quadro completo della gravità della crisi climatica calcolando il costo economico delle emissioni di gas serra per la società».

Negli ultimi decenni lo SCCO2 è emerso come uno degli indicatori climatici più importanti ed è spesso utilizzato come base per le azioni di politica climatica.  Le stime per lo SCCO2 variano notevolmente tra i 10 e 1.000 dollari di CO2, con stime complete recenti  che arrivano fino a 300. Le raccomandazioni politiche tendono a concentrarsi sull’estremità inferiore dello spettro, sottovalutando probabilmente i danni causati dal cambiamento climatico.

I modelli utilizzati per stimare lo SCCO2 combinano i costi e i benefici del riscaldamento globale e dell’azione climatica in diversi scenari. All’IIASA spiegano ancora. «Sebbene esistano numerosi modelli SCCO2, spesso non includono rappresentazioni complete dei feedback climatici, dei feedback economici o degli estremi climatici, anche se è probabile che questi fattori siano molto influenti».

Il nuovo studio esamina un decennio di sviluppi nel modello PAGE-ICE e lo estende per far progredire la nostra comprensione delle stime SCCO2. Ad esempio, lo studio ha stimato come i diversi feedback climatici già inclusi nel modello, come lo scioglimento del permafrost e la riflettività delle superfici, influiscano sullo SCCO2.

Per la prima volta  i ricercatori hanno incluso la variabilità climatica annuale nella nuova versione del modello PAGE-ICE, nel tentativo di catturare meglio gli estremi climatici e gli eventi come El Niño.

Il principale autore dello studio, Jarmo Kikstra,  ricercatore del programma IIASA per l’energia, il clima e l’ambiente, evidenzia che «In genere, i modelli SCCO2 funzionano con l’andamento della temperatura climatica. Nel mondo reale, tuttavia, la temperatura varia molto. Questa variazione è importante da catturare, poiché influenza le nostre stime dei costi». Inoltre, il team internazionale di ricercatori ha esplorato gli effetti dell’aumento delle temperature sulla crescita dell’economia e il suo feedback sulle emissioni di gas serra e sulle temperature future e ha anche introdotto nel modello impatti climatici parziali, in altre parole, «La possibilità che alcuni dei danni economici possano persistere per sempre piuttosto che essere recuperati subito».

Il nuovo modello PAGE-ICE raddoppia quasi le stime SCCO2 rispetto alla versione precedente (PAGE09), soprattutto per una migliore comprensione degli impatti nel Sud del mondo, prima di tenere conto della variabilità e dei danni persistenti.

Uno degli autori dello studio, Chris Brierley, del Department of geography dell’University College London, ricorda che «Bruciare CO2 ha un costo per la società, anche se non direttamente sui nostri portafogli. Le emissioni procapite potrebbero benissimo comportare un costo per l’umanità di oltre 1.300 all’anno, potenzialmente in aumento fino a oltre 15.000 una volta inclusi gli impatti sulla crescita economica». Secondo Our World in Data,  nel 2017 la media globale delle emissioni pro capite era di 4,7 tonnellate di CO2 e tre volte in più negli Usa.

All’IIASA  dicono che «Sebbene la variabilità climatica e il feedback abbiano avuto un ruolo nell’aumento della stima SCCO2, considerare il potenziale degli impatti climatici che hanno effetti persistenti sulla crescita economica potrebbe avere un effetto molto più ampio, possibilmente aumentando il costo economico delle emissioni di CO2 di un ordine di grandezza».

Secondo un altro autore dello studio, Paul Waidelich del Climate Finance and Policy Group dell’ETH di Zurigo, «Uno dei contributi principali di questo studio è che considera espressamente l’incertezza riguardo a se e in che misura i danni causati dagli impatti climatici potrebbero persistere parzialmente e in che modo le implicazioni variano tra i livelli di persistenza e adattamento. Studi precedenti hanno esplorato la persistenza, ma la nostra stima tiene conto delle considerevoli incertezze basate su dati empirici. Il costo reale della combustione della CO2 potrebbe essere stato sottovalutato molto di più di quanto ci aspettassimo. Ciò potrebbe essere dovuto alla mancata comprensione dell’enorme danno che il cambiamento climatico può causare nel Sud del mondo».

I risultati dello studio evidenziano l’urgente necessità di intraprendere un’azione climatica e Kikstra conclude: «Le precedenti stime di SCCO2 avevano già superato il prezzo del carbonio in vigore in tutto il mondo. I nostri risultati evidenziano l’urgente necessità di decisioni politiche che riducano rapidamente le emissioni di CO2 e l’introduzione di tasse sul carbonio più elevate è un modo per farlo».