I super ricchi inquinano un milione di volte in più di un cittadino comune

Le emissioni di CO2 degli investimenti di 125 miliardari equivalgono a quelle della Francia e sono superiori a quelle dell’Italia

[8 Novembre 2022]

Secondo il rapporto “Carbon billionaires – The investment emissions of the world’s richest people” pubblicato da Oxfam in occasione della 27esima Conferenza delle parti dell’United Nations climate change conference (CO27 Unfccc) in corso a Sharm el-Sheik, in Egitto, « Le emissioni annue di CO2 associate agli investimenti in imprese inquinanti da parte di 125 miliardari equivalgono a quelle prodotte in un anno da un paese come la Francia, sono superiori a quelle di cui è responsabile l’Italia. In media in un anno gli investimenti di ciascuno di questi super ricchi in settori economici inquinanti “producono” una quantità di emissioni 1 milione di volte superiore rispetto a quella di un qualunque cittadino collocato nel 90% più povero della popolazione mondiale: il rapporto è di 3 milioni di tonnellate), contro 2,76 tonnellate di CO2 pro-capite in un anno». Oxfam avverte che «E’ probabile che il dato reale sia ancor più elevato, dal momento che i livelli di emissioni di CO2 resi pubblici dalle imprese sono sistematicamente sottostimati»

Il dossier fa luce sull’abnorme quantità di emissioni legate agli investimenti di 125 miliardari in 183 tra le più grandi aziende del mondo, delle quali detengono complessivamente una partecipazione azionaria pari a 2.400 miliardi di dollari.

Francesco Petrelli, policy advisor di Oxfam Italia, fa notare: «Il fatto che pochi miliardari siano responsabili di un livello di emissioni pari a quello di interi Paesi descrive un mondo sempre più disuguale, in cui una ristretta élite ha il potere di decidere le sorti del pianeta. –  Una responsabilità raramente discussa o presa in considerazione nella definizione delle politiche di contrasto alla crisi climatica. Il livello di emissioni prodotte con il loro stile di vita, fatto di jet e mega yacht privati, è già di per sé migliaia di volte superiore a quello di un normale cittadino, ma quando prendiamo in considerazione gli effetti dei loro investimenti siamo all’incredibile».

Al contrario di quanto accade per normale cittadino, quasi il 70% delle emissioni dei più ricchi sono riconducibili ai loro investimenti.

L’analisi di Oxfam è partita dall’elenco delle persone più ricche al mondo secondo il Bloomberg Billionaires Index. Utilizzando queste informazioni, Oxfam ha identificato i portafogli di investimento dei miliardari e ha fatto ricorso al data provider Exerica per valutare: a) le quote di partecipazione dei miliardari ai capitali delle società in cui investono considerando le partecipazioni superiori al 10%; b) le emissioni Scope 1 Scope 2 delle suddette società. In particolare, il rapporto evidenzia come «I miliardari nel campione esaminato abbiano destinato in media il 14% dei loro investimenti in settori inquinanti come il comparto energetico fossile o l’industria del cemento. Si tratta del doppio della media dei loro investimenti nelle società che compongono l’indice Standard and Poor 500. Solo un miliardario nel campione preso in esame nel report ha investito in una società di energia rinnovabile».

Secondo Petrelli, «La COP27 avrà l’enorme responsabilità di smascherare e cambiare le politiche delle grandi aziende e dei loro ricchi investitoridi fronte ai super profitti derivati da attività enormemente inquinanti, che stanno accelerando in modo esponenziale la crisi climatica globale». Una responsabilità che non sembra che la COP27 voglia assumersi, al di là di un po’ di greenwashing e di socialwashing che già si è visto e sentito in diversi interventi dei leader mondiali (compreso quello di Giorgia Meloni) per i quali la giustizia sociale e ambientale globale sembra rimanere nell’empireo dei buoni principi declamati e non praticati. D’ìaltronde, dai fans del neoliberismo e del darwinismo sociale non ci si può aspettare la svolta “eco-socialista” e il radicale cambiamento di produzione e consumi che sarebbero necessari.

Come ci riocorda Oxfam, «Le scelte d’investimento dei miliardari – in settori come le infrastrutture ad alta intensità di carbonio – hanno forti ripercussioni sul futuro della nostra economia e del pianeta». Dai dati del rapporto emerge che «Se i miliardari del campione concentrassero i loro investimenti in fondi con standard ambientali e sociali più stringenti, si potrebbe ridurre l’attuale intensità delle loro emissioni fino a quattro volte».

Petelli sottolinea che «I governi non possono più ignorare quanto sta accadendo o consentire mere operazioni di greenwashing. E’ necessario al contrario che affrontino urgentemente questo problema rendendo pubblici i dati sui livelli di emissioni di cui sono responsabili le persone più ricche. Definendo regole chiare per ridurre l’impatto delle emissioni prodotte dalle grandi aziende e tassando gli investimenti nelle società più inquinanti».

Oxfam ha calcolato che «Un aumento dell’imposizione sui grandi patrimoni consentirebbe di raccogliere fino a 1.400 miliardi di dollari all’anno, risorse vitali che potrebbero in parte contribuire, se appropriatamente veicolate, ad aiutare i Paesi in via di sviluppo – i più colpiti dalla crisi climatica – ad adattarsi ed affrontare perdite e danni da eventi climatici estremi». Secondo l’United Nations environment programme (Unep), i costi di adattamento per i Paesi in via di sviluppo saliranno a 300 miliardi di dollari all’anno entro il 2030. La sola Africa avrà bisogno di 600 miliardi di dollari tra il 2020 e il 2030.

Inoltre, Oxfam chiede «Vengano maggiormente tassati i rendimenti degli investimenti più inquinanti allo scopo di scoraggiarli».

Secondo Oxfam, i governi che sono riuniti alla COP27 Unfccc dovrebbero urgentemente:  adottare regolamenti e politiche che obblighino le imprese a monitorare e comunicare pubblicamente i tre tipi di emissioni di gas serra (Scope 1, 2 e 3), a fissare obiettivi climatici basati su dati scientifici con una chiara tabella di marcia per la riduzione delle emissioni e, nel contempo, garantire una giusta transizione dall’economia estrattiva ad alta intensità di CO2, assicurando i futuri mezzi di sussistenza dei lavoratori e delle comunità interessate; i governi dovrebbero assoggettare a tassazione i grandi patrimoni e aumentare il prelievo sui rendimenti degli investimenti finanziari in settori inquinanti. Il gettito raccolto potrà contribuire a interventi di mitigazione e adattamento ai cambiamenti climatici e al finanziamento del passaggio globale alle energie rinnovabili; le multinazionali devono adottare piani di contrasto al cambiamento climatico ambiziosi e vincolati nel tempo, con obiettivi a breve-medio termine in linea con gli obiettivi climatici globali, al fine di raggiungere la neutralità carbonica entro il 2050.

Il protocollo GHS (Greenhouse Gas Protocol) è un’iniziativa nata dalla partnership del World Resources Institute (WRI) e del World Business Council for Sustainable Development (WBCSD) con l’obiettivo di definire standard globali per la misurazione e la gestione delle emissioni di gas a effetto serra. Le tre tipologie di emissioni usate per il calcolo dell’impronta carbonica di un’impresa sono: le emissioni Scope 1 (emissioni dirette derivanti da fonti di proprietà o controllate dall’impresa); le emissioni Scope 2 (emissioni indirette riguardanti ad esempio l’elettricità acquistata ed il vapore); le emissioni Scope 3 (altre emissioni indirette come quelle lungo le catene di approvvigionamento dell’impresa o associate allo spostamento dei dipendenti tra casa e lavoro o all’acquisto di combustili per veicoli non aziendali o per viaggi aziendali).

Petrelli conclude: «Per mantenere il riscaldamento globale al di sotto di 1,5°C, l’umanità deve ridurre in modo significativo le emissioni di gas serra, il che richiederà cambiamenti radicali nel modo di produrre e investire».