I satelliti rilevano massicce emissioni di metano dell’industria petrolifera e del gas

Gli impianti a ultra-emissioni sono responsabili del 10% delle emissioni globali di metano da petrolio e gas, ma attualmente non sono comprese nella maggior parte degli inventari

[4 Febbraio 2022]

Uno dei principali gas serra che contribuiscono al cambiamento climatico, il metano (CH4) ha un potenziale di riscaldamento nell’arco di 100 anni circa 30 volte maggiore di quello della CO2. Un quarto delle emissioni antropogeniche di questo gas serra proviene dallo sfruttamento globale di carbone, petrolio e gas naturale, di cui il CH4 è la componente principale. Già nel 2018 lo studio “Global assessment of oil and gas methane ultra-emitters”, pubblicato su Science, aveva messo in luce, sulla base del caso degli Stati Uniti, la grande sottostima degli inventari ufficiali delle emissioni legate all’estrazione e alla distribuzione di petrolio e gas. Una discrepanza che potrebbe essere spiegata da sporadici rilasci non dichiarati di grandi quantità di metano da parte degli operatori del settore.

Ora il nuovo  studio “Chasing after methane’s ultra-emitters”, pubblicato su Science da Felix Vogel della Climate Research Division, Environment and Climate Change Canada è il frutto della ricerca di un team internazionale di scienziati guidato dal Laboratoire des Sciences du Climat et de l’Environnement (LSCE, Francia) e che comprende ricercatori di Carbon Mapper, Kayrros, Duke University e del Cyprus Institute’s Climate and Atmospheric Research Centre che ha identificato impianti petroliferi e di gas che emettono quantità significative di metano in fiammate sporadiche.  A Carbon Mapper, un’ONG statunitense collabora con la NASA e si occupa di mitigazione delle emissioni di gas serra, evidenziano che le emissioni di metano scoperte  «Hanno un impatto climatico significativo ma non sono completamente contabilizzate nelle stime dell’inventario delle emissioni esistenti».

Per stimare la quantità di metano rilasciata nell’atmosfera dalle attività di produzione di petrolio e gas, il team ha eseguito un’analisi sistematica di migliaia di immagini prodotte quotidianamente dalla missione satellitare Sentinel-5P dell’Agenzia spaziale europea (ESA). In due anni sono stati rilevati 1.200 “ultra-emettitori”, impianti di petrolio e gas e i principali gasdotti che rilasciano sporadicamente più di 25 tonnellate di metano all’ora nella maggior parte dei più grandi giacimenti di petrolio e gas del mondo. I ricercatori fanno notare che «Insieme, queste strutture rappresentano oltre il 50% della produzione totale di gas naturale onshore». La maggior parte degli episodi di ultra-emissioni dura poco e molti sono probabilmente dovuti ad attività di manutenzione programmata. Riley Duren e Daniel Cusworth del Carbon Mapper, dell’Università dell’Arizona e del Jet Propulsion Laboratory della NASA, hanno contribuito all’analisi basata sull’esperienza del loro team nello studio delle emissioni di metano che integra i dati del satellite Sentinel-5P con osservazioni a risoluzione spaziale e limiti di rilevamento inferiori.

Lo studio si è concentrato sui 6 principali Paesi produttori di petrolio e gas nei quali questo tipo di emissioni sono particolarmente frequenti e ha rivelato che «In totale, questi rilasci non dichiarati contribuiscono a circa il 10% di tutte le emissioni di metano dalle operazioni di petrolio e gas di questi Paesi. Questo è un contributo incredibilmente grande per un numero così limitato di eventi. Se si considera il loro impatto sul clima e la perdita di gas naturale, queste fonti di metano rappresentano anche miliardi di dollari di costi successivi. La mitigazione di queste emissioni equivale a togliere dalla strada 20 milioni di veicoli all’anno e il riscaldamento evitato eviterebbe circa 1.600 morti premature all’anno dovute all’esposizione al caldo».

Thomas Lauvaux, ricercatore CNRS del programma francese Make Our Planet Great Again al LSCE, sottolinea che «Per quanto ne sappiamo, questo è il primo studio mondiale a stimare la quantità di metano rilasciata nell’atmosfera da attività di manutenzione e perdite accidentali. Gli ultra-emettitori non segnalati spiegano in parte la sottovalutazione delle emissioni ufficiali di petrolio e gas segnalate dai Paesi, come documentato da studi precedenti. L’approccio al monitoraggio atmosferico consentito dalle recenti missioni satellitari offre una prospettiva unica sulle attività petrolifere e del gas e il potenziale per mitigare questi grandi rilasci di metano».

Infatti, diversi studi recenti hanno dimostrato che le emissioni di petrolio e gas sono spesso sottovalutate dai metodi contabili convenzionali a causa dell’assenza di un sistema di monitoraggio globale in grado di tracciare le fonti di emissioni elevate, comprese le perdite e lo sfiato pianificato. Quindi, l’identificazione e la quantificazione di queste fonti ha implicazioni significative per gli inventari delle emissioni dei singoli Paesi e per le stime delle emissioni globali di metano che sono diventate di importanza internazionale con il Global Methane Pledge sottoscritto a novembre da più di 100 governi (Italia compresa) alla COP26 Unfccc di Glasgow per limitare le emissioni di metano del 30% rispetto ai livelli del 2020.

Secondo l’amministratore delegato di Carbon Mapper, Riley Duren, «Questo lavoro conferma ciò che abbiamo solo intravisto in studi precedenti su singole strutture e regioni: che i grandi rilasci intermittenti di metano dalle operazioni di petrolio e gas sono comuni a livello globale e per lo più non segnalati. In questo decennio critico per l’azione per il clima, questo sottolinea l’urgente necessità di sistemi di osservazione globale persistenti in grado di rilevare, individuare e quantificare le emissioni di metano su scale rilevanti per il processo decisionale».

Alexandre d’Aspremont di Kayrros ha aggiunto: «Il nostro studio fornisce una prima stima sistematica delle grandi perdite di metano che possono essere viste solo dallo spazio, dimostrando come questi rilevamenti siano correlati a processi di monitoraggio del metano più ampi. Questo è un passo da gigante verso il superamento degli attuali limiti del sistema di segnalazione del metano, che è fondamentale per rispettare gli impegni della COP26 per ridurre drasticamente il metano».

Lo studio evidenzia che strategie già disponibili ed economiche, come il  rilevamento e riparazione delle perdite o la riduzione dello sfiato durante la manutenzione e le riparazioni di routine, possono ridurre significativamente questi ultra-emettitori a breve termine.

Drew Shindell della Duke University ha concluso: «Troviamo che catturare il metano da questi ultra-emettitori offre enormi vantaggi grazie alla riduzione del cambiamento climatico e al miglioramento della qualità dell’aria. La società guadagnerebbe miliardi di dollari eliminando le emissioni da queste fonti. Poiché il metano catturato è un bene prezioso, anche le società o i Paesi che catturano il gas sprecato ne escono in genere avvantaggiati».