Procedere al più presto alla bonifica dell’area dello sversamento della Iplom a Genova

Goletta Verde contro il rischio di sversamenti di greggio nel Mediterraneo

Urgente avviare subito una verifica nazionale sulle condizioni degli impianti petroliferi

[18 Giugno 2016]

Goletta Verde, la storica imbarcazione ambientalista che da oggi inizia da Genova il suo viaggio trentesimo lungo la Penisola per difendere i mari e le coste italiane, lancia un appello: «A due mesi dall’incidente dell’oleodotto a Genova, ancora non si conoscono i danni provocati dalla fuoriuscita di petrolio, né tantomeno sono stati resi noti i risultati della caratterizzazione necessaria e propedeutica per poter bonificare l’area. La Liguria è, però, soltanto l’ultimo esempio in ordine di tempo di piccoli e grandi disastri annunciati, che dimostrano quanto sia necessario ed urgente superare al più presto l’utilizzo delle fonti fossili per garantire la convivenza dei cittadini, la loro salute e quella dei sistemi ecologici vitali anche nelle nostre città, con le attività produttive e il lavoro. Per questo Legambiente chiede al Governo di impegnarsi contro il rischio di sversamenti nel Mediterraneo, avviando una verifica a livello nazionale sulle effettive condizioni degli impianti petroliferi presenti lungo la Penisola e sui relativi piani di intervento antinquinamento».

La portavoce di Goletta Verde, Francesca Ottaviani, sottolinea: «Oltre a ostinarsi a considerare le vecchie ed inquinanti fonti fossili come la miglior fonte energetica per il Paese, nonostante il grande crescere delle rinnovabili e gli impegni presi alla Cop21 di Parigi e a New York con la firma degli accordi sul clima, in Italia si continuano a minimizzare episodi di fuoriuscita di petrolio, così com’è accaduto a Genova.  Gli intensi traffici marittimi e la presenza consistente di impianti di deposito e lavorazione di prodotti petroliferi lungo le nostre coste, invece, rendono il Mediterraneo una delle aree maggiormente esposte al rischio di inquinamento da idrocarburi. Acque nelle quali transita il 18% di tutto il traffico mondiale di prodotti petroliferi, circa 360 milioni di tonnellate all’anno, e già molti anni fa in questo prezioso bacino si trovava la più alta densità di idrocarburi dispersi in acqua a livello mondiale».

I dati forniti dal Piano di azione mediterranea dell’Onu forniscono un quadro preciso di quanto le attività antropiche influiscano sullo stato di salute del nostro mare: «Lungo le coste insistono, infatti, 584 città, 750 porti turistici e 286 commerciali, 13 impianti di produzione di gas e 180 centrali termoelettriche. Sono oltre 2.000 i traghetti, 1.500 i cargo e 2.000 le imbarcazioni commerciali, di cui 300 navi cisterna, che transitano ogni giorno nelle acque del Mediterraneo, con un traffico annuo complessivo di circa 200.000 imbarcazioni di grandi dimensioni».

Legambiente evidenzia che «La forte antropizzazione delle aree costiere costituisce un fattore determinante nell’accrescere l’inquinamento delle acque del Mediterraneo in cui vengono scaricati ogni giorno reflui industriali, liquami e anche idrocarburi. Parliamo di un bacino semichiuso, con un tempo di rinnovamento della sola massa d’acqua superficiale che è stimabile in ben 100 anni, ma che sale a 7.000 anni se prendiamo in considerazione l’intero volume d’acqua».

Secondo il rapporto State of the Mediterranean Marine and coastal Environment della Convenzione di Barcellona, «Il traffico marittimo costituisce la fonte principale di inquinamento da idrocarburi, che nel Mediterraneo può essere quantificata complessivamente in circa 100-150.000 tonnellate annue. Si calcola, infatti, che il 40% circa dell’inquinamento di idrocarburi dispersi in mare derivi da attività operazionali (carico e scarico delle cisterne, ad esempio) e il 21% sia determinato da incidenti di diversa entità».

Lungo le coste italiane ci sono molti impianti per la lavorazione e lo stoccaggio di prodotti petroliferi: «Nelle regioni costiere sono presenti 73 impianti di depositi di oli minerali, con una capacità di stoccaggio di oltre 13 milioni di metri cubi. Sempre lungo le coste sono presenti 11 impianti di raffinazione per un totale di oltre 108,5 milioni di tonnellate di greggio lavorato all’anno (5 in Sicilia, 1 in Emilia Romagna, Marche, Toscana, Puglia, Veneto e Sardegna). Inoltre, sono presenti 8 impianti petrolchimici che lavorano ogni anno circa 13 milioni di tonnellate di materiale.

Alla elevata quantità di prodotti petroliferi dispersi in mare contribuiscono anche l’inquinamento derivante dalle coltivazioni off-shore e quello proveniente da terra, dalle attività lungo le coste.

Secondo i dati di Assocostieri, l’Associazione nazionale dei depositi costieri di olii Minerali, «Lungo i 371 km di coste della Liguria sono tre le aree portuali sede di impianti di stoccaggio di prodotti petroliferi. Genova, La Spezia e Savona – Vado Ligure, con una capacità di stoccaggio di oltre 2milioni di metri cubi di materiale».

Il Cigno Verde ribadisce la necessità di procedere urgentemente alla bonifica dell’area interessata dallo sversamento della Iplom in Val Polcevera e il presidente di Legambiente Liguria, Santo Grammatico, conclude: «A due mesi dall’incidente di Genova, che non escludiamo potrebbe ripetersi altrove, siamo ancora in attesa venga quantificato il danno ambientale. Se è stato scampato il pericolo nel mar ligure e nel santuario dei mammiferi marini Pelagos, nei rii e torrenti è stato spazzato via un intero sistema ecologico ed andrà avviata una accurata e celere bonifica. La nostra riflessione poi riguarda la convivenza tra i cittadini e gli impianti a rischio di incidente rilevante. Non esiste infatti per questi una sicurezza al cento per cento e l’anzianità e la manutenzione di questi impianti è un fattore imprescindibile. Per questo riteniamo sia necessario avviare una transizione che porti rapidamente ad una economia che superi le rischiose fonti fossili, capace di garantire salute, ambiente e lavoro, cominciando la conversione delle industrie più pericolose».