Come la micro-plastica contamina il pesce che mangiamo

La cattiva gestione del ciclo dei rifiuti, i “gyres” e il bioaccumulo

[16 Dicembre 2013]

Sappiamo ormai da tempo che il pesce che mangiamo è esposto a sostanze chimiche tossiche nei fiumi, aree costiere ed oceani dove vive. Negli anni passati la sostanza alla quale si è data maggiore attenzione è stato il mercurio, che ha dimostrato di essere molto pericoloso per la salute umana, ma  è solo uno di una serie di inquinanti sintetici e biologici che i pesci possono ingerire e assorbire nel loro tessuti. Ad attrarre l’attenzione negli ultimi anni sono state soprattutto le plastiche che finiscono in mare a causa di una pessima gestione del loro smaltimento, e (peggio) dell’occasione sprecata del loro riciclo, che finisce per tradursi nello scarico negli oceani di sostanze chimiche. Uno spreco di materie prime preziose che lo studio “Ingested plastic transfers hazardous chemicals to fish and induces hepatic stress” pubblicato su Nature, Scientific Reports  traduce nell’impatto sull’ambiente e la salute umana delle particelle di plastica ingerite dai pesci.

Un team di ricercatori statunitensi sottolinea che «Negli  habitat acquatici, a livello mondiale, si accumulano  detriti dei rifiuti di plastica, la maggioranza dei quali è microscopica (<1 mm), e viene ingerita da una vasta gamma di specie. I rischi associati a questi piccoli frammenti provengono dal materiale stesso e dagli inquinanti chimici che le acque circostanti assorbono da loro. I rischi connessi al complesso mix di plastica e sostanze inquinanti accumulate sono in gran parte sconosciuti». Lo studio dimostra che  i pesci esposti ad una miscela di polietilene con inquinanti chimici bioaccumulano questi inquinanti chimici e sviluppano tossicità e patologie epatiche. Inoltre i ricercatori evidenziano che «Anche i pesci alimentati con frammenti di polietilene vergine mostrano segni di stress, anche se meno gravi dei pesci nutriti con frammenti di polietilene marino».

Lo studio è importante perché fornisce informazioni di base per quanto riguarda il bioaccumulo di sostanze chimiche e sugli effetti sulla salute associati all’ingestione di plastica nei pesci e dimostra  che  che le valutazioni future dovrebbero prendere in considerazione il complesso mix di materiali plastici e delle sostanze chimiche inquinanti.

Come spiega Chelsea Rochman , una ricercatrice dell’Aquatic Health Program, della School of Veterinary Medicine dell’Università di California –  Davis, «L’oceano è fondamentalmente un water per tutti i nostri inquinanti chimici e per  rifiuti in generale, Alla fine abbiamo cominciato a vedere un alto livello di questi contaminanti nella catena alimentare, nel pesce e nella fauna selvatica».

Si sapeva da tempo che le sostanze chimiche risalgono lungo la catena alimentare, accumulandosi via via nei predatori ed arrivando fino all’uomo. E’ per questo che specie come il tonno e il pesce spada, tendono ad avere più alti livelli di mercurio, bifenili policlorurati (Pcb) e diossine. Quello che gli scienziati non sapevano era esattamente quale ruolo giocano le materie plastiche nel trasferimento di queste sostanze chimiche nella catena alimentare. Per scoprirlo, la Rochman ed il suo team hanno nutrito in tre modi differenti i medaka giapponesi (Oryzias latipes),  pesci che vengono spesso utilizzati negli esperimenti scientifici.

Ad un gruppo di Medaka è stato dato normale cibo per pesci, un altro ha fatto una dieta “ripulita” dalla plastica (senza inquinanti), il terzo gruppo è stato cibato per un 10% per cento di plastica che era stata immersa nella baia di San Diego per diversi mesi . Quando, due mesi dopo, i pesci sono stati testati, i ricercatori hanno scoperto che quelli che avevano fatto una dieta con presenza di plastica “marina”, avevano livelli molto più alti di inquinanti organici persistenti.

La Rochman ha detto alla radio nazionale Usa Npr che «Le materie plastiche, quando finiscono in mare, sono una spugna per le sostanze chimiche che sono già là fuori. Abbiamo scoperto che quando la plastica interagisce con i succhi nello stomaco, i prodotti chimici fuoriescono dalla plastica e vengono rasferiti nel sangue o nei tessuti».  I pesci con la dieta contenente plastica marina avevano anche più probabilità di avere tumori e problemi al fegato.

Il problema è che è impossibile sapere se un dato pesce che acquistiamo al mercato abbia consumato così tanta plastica, ma le scoperte hanno comunque implicazioni per la salute umana e la Rochman fa notare che «Un sacco di persone mangiano continuamente prodotti del mare ed i pesci stanno mangiando plastica per tutto il tempo, quindi penso che sia un problema».

Secondo l’autore di Garbology  Edward Humes, il peso della plastica non raccolta, smaltita, ruiciclata e riutilizzata che finisce in mare ogni anno equivale al peso di 40 portaerei e ci sono 5 grandi vortici di particelle spazzatura che si addensano negli oceani Indiano, Atlantico e Pacifico solo. Il più famigerato di questi vortici è il Great Pacific Garbage Patch.  Questi “gyres”  contengono «Plastica che è stata esposta alle intemperie e frammentata, a secondo degli elementi, in questi piccoli pezzi e sta entrando sempre più nella catena alimentare. I pesci potrebbero incontrare la plastica in questi gyres oceanici, ma anche molto più vicino alla costa».

Ma le contaminazione di alcuni pesci non sembra così elevata da annullare i benefici del loro consumo alimentare e dei loro acidi grassi omega-3 e molti ricercatori sostengono gli statunitensi dovrebbero aumentare il loro consumo di pesce e che comunque i livelli di diossine, Pcb ed altre sostanze chimiche tossiche nei pesci sono generalmente troppo bassi per costituire una preoccupazione.

L’Environmental Protection Agency Usa e le agenzie alimentari europee emettono allarmi  per avvertire i consumatori quando i pesci vengono contaminati da sostanze chimiche, ma molto del pesce consumato negli Usa e nell’Ue viene da mari di Paesi stranieri non monitorati e solo una piccola parte del pesce importato viene sottoposta a test sui contaminanti.

La Rochman dice che dopo la sua ricerca sulla tossicologia marina l’ha convinto a mangia il pesce non più di due volte alla settimana e consiglia di eliminare del tutto dalla dieta specie predatrici al culmine della catena alimentare, come il pesce spada.