Agua para los pueblos! Le donne in prima fila contro la piaga dell’estrattivismo in America latina

La storia di Benancia Valencia Jara, leader indigena alla guida di una comunità contadina

[16 Dicembre 2020]

Benancia Valencia Jara è una leader indigena della provincia di Chumbivilcas, Cusco, situata nella regione andina meridionale del Perù. Il suo villaggio, Velille, si trova sul percorso del cosiddetto corridoio minerario meridionale, un’autostrada utilizzata dalle compagnie minerarie che operano a Cusco e Apurímac, rispettivamente la Mmg (in larga parte a partecipazione cinese) e la Glencore, svizzera. Dalle immense miniere a cielo aperto le multinazionali trasportano minerali e rifiuti attraverso centinaia di camion che quotidianamente attraversano la zona andina per arrivare al porto della provincia di Arequipa. Questo causa alle comunità locali gravi conseguenze per la qualità della loro vita: “Non puoi viaggiare, la polvere ti fa male – dice Benancia – l’acqua è inquinata, anche i nostri animali si ammalano, il rumore e le vibrazioni sono forti le nostre case hanno iniziato a rompersi”.

Dal 2014 vicino a Velille si è inoltre istallata la società HudBay che con il progetto minerario “Constancia” ha provocato – e continua a provocare – nuovi ed enormi danni ambientali e alle comunità contadine e indigene.

“Velille è storicamente un distretto zootecnico e agricolo, con l’arrivo della HudBay e con il transito dei mezzi pesanti dalla nostra strada la nostra vita – aggiunge Benancia – è diventata invivibile: i fiumi sono inquinati, non abbiamo acqua potabile, non possiamo più vendere le nostre trote, perché dicono che sono pericolose. Ma di tutti questi danni l’azienda non vuole rispondere, loro dicono che non c’è contaminazione”.

Le multinazionali minerarie infatti agiscono impunite in queste zone, in tutto il  paese e in tutta l’America Latina, spesso con la connivenza dei governi che avallano report di impatti ambientali dai dubbi risultati, che garantiscono la complicità della polizia nazionale per la repressione del dissenso e che ne favoriscono, a livello fiscale, l’operato. Sul territorio queste azioni lasciano solo devastazione: zone inquinate, impoverimento economico, culturale e sociale.

I contadini però si organizzano e resistono, cercando di difendere il proprio territorio, di trovare alternative economiche ecologiche e sostenibili come l’allevamento di porcellini d’India, polli, e coltivazioni di ortaggi. Attività che non portano grandi introiti ma che sono fondamentali per garantirsi la sopravvivenza e una minima qualità della vita. Benenacia è tra loro, ma è tra le poche donne che fa parte della Federazione contadina, perché culturalmente le donne di solito non assumono ruoli di guida o politici in questa parte del paese.

E questa è una delle sue più grandi preoccupazioni, perché oltre alle società minerarie deve combattere con il machismo imperante in queste comunità: “Sia i leader delle comunità che i funzionari delle aziende ci prendono in giro. Gli uomini hanno paura che le donne assumano la leadership, vogliono darci ordini e così alcune donne hanno paura, si vergognano. Nemmeno i media vogliono darci una voce,  pensano che dovremmo semplicemente restare nelle nostre case, e non è giusto”.

Una lotta nella lotta. Per Benancia è infatti necessario che le donne si organizzino e si facciano sentire perché l’impatto dello sfruttamento minerario passa principalmente sul loro corpo e la loro vita: “Sono le donne che per prendere l’acqua, che non arriva più ai nostri rubinetti, devono camminare chilometri per andare a prenderla, sono le donne che devono pensare all’alimentazione e alla salute di tutta la famiglia”.

Benancia, in qualità di contadina leader nel suo territorio, è critica del ruolo che giocano le aziende, ma anche i governi: “Chiediamo che adempiano alle loro responsabilità, ci dicono da tempo che passeranno a un’estrazione responsabile e sostenibile, ma non vogliono assumersi né la bonifica del territorio né il risarcimento dei danni. Ci stanno saccheggiando. Cosa sta facendo lo Stato? Non fa niente, invece di difenderci, gli stanno permettendo di avvelenarci. Anche durante la pandemia si sono preoccupati di difendere le aziende”.

Eppure dal 2011 l’Onu ha emanato i principi guida che regolano il rapporto Stati/multinazionali e riconoscono la responsabilità delle aziende nella protezione dei diritti umani. Non si tratta di principi vincolanti e per questo sono in gran parte disattesi. Ma anche le popolazioni vittime di violazioni dei diritti non li conoscono e non li chiedono.

Il progetto europeo Principi guida. Verso meccanismi di difesa per la protezione dei diritti umani in America Latina realizzato da Beien aventura de los pobres in Argentina, Justiça nos Trilhos in Brasile, Pensamiento y Acción Social (Pas) in Colombia e CooperAcción in Perù e sostenuto anche da Cospe, sta facendo un lungo lavoro di consapevolezza tra le popolazioni di questi paesi e un lavoro di advocacy con le loro istituzioni, perché questi principi siano conosciuti e applicati al più presto. Nell’ambito di questo stesso progetto nasce anche alla campagna “Agua para los pueblos!” contro la piaga dell’estrattivismo che da decenni ormai colpisce tutta l’America Latina e in particolare quelle zone gestite in modo comunitario da popolazioni indigene basate su valori ancestrali. Protagoniste della campagna Benancia Valencia Jara, e altre leader e attiviste per i diritti umani e ambientali di Argentina, Brasile e Colombia.

“Aguas para los pueblos” cerca di denunciare le violazioni commesse anche nominando e ritenendo responsabili le società che inquinano, distruggono e monopolizzano l’acqua e cerca anche di rafforzare le strategie per creare resistenza e buon vivere attuate dalle popolazioni indigene, tradizionali e contadine in difesa del loro diritto all’acqua, alla terra, al territorio e alla vita.

di Cospe per greenreport.it