Il coronavirus impone uno stop al 38% dei lavoratori toscani

Rossi: dopo l’emergenza necessario «un grande disegno di politica industriale» imperniato sul «bisogno profondo di un equilibrio più rispettoso del rapporto tra uomo, ambiente e natura; tra risorse e sviluppo»

[25 Marzo 2020]

Da oggi, in Toscana come nel resto d’Italia, per contrastare la pandemia da coronavirus sono sospese tutte le attività economiche reputate come non essenziali dal Dpcm del 22 marzo scorso (anche se l’elenco sarà rivisto dopo l’incontro odierno tra Governo e sindacati): secondo la stima elaborata dall’Istituto regionale programmazione economica toscana (Irpet) sono «coinvolti oltre 390 mila lavoratori dipendenti ed altri 200 mila lavoratori autonomi e rappresentano circa il 38% del totale occupazione toscana e che il Pil prodotto da tali settori rappresenta circa il 41% dell’intero Pil regionale. Detto in altro modo, le imprese che dovrebbero chiudere producono un valore aggiunto di oltre 800 milioni la settimana (circa il 7 per mille del Pil toscano)».

Aggiornamento 26/3/20: L’Istituto regionale programmazione economica toscana (Irpet) ha aggiornato le sue stime come di seguito: «Sono coinvolti circa 430 mila lavoratori dipendenti ed altri 220 mila lavoratori autonomi e rappresentano circa il 41% del totale occupazione toscana e del Pil prodotto da tali settori. Detto in altro modo le imprese che dovrebbero chiudere producono un valore aggiunto di oltre 800 milioni la settimana (circa il 7 per mille del Pil toscano)».

Se da una parte vengono mantenute attive le attività essenziali alla popolazione – si pensi ai servizi pubblici essenziali come la fornitura di energia elettrica, gas, acqua e trattamento rifiuti, con i relativi 17.600 occupati tutti ritenuti essenziali –, nel complesso i settori più penalizzati sono, oltre a quelli dell’alloggio e ristorazione e degli altri servizi (che comprendono le attività artistiche e di divertimento, le attività sportive), l’estrattivo, il manifatturiero (che è coinvolto per oltre la metà di suoi addetti) e le costruzioni.

«Le misure introdotte dal Governo con l’ultimo decreto – osserva il presidente della Regione Toscana, Enrico Rossi – potrebbero colpire circa un terzo dell’economia toscana. Si tratta di una stima incerta anche perché, come noto, alcune imprese che appaiono a prima vista non essenziali potrebbero diventarlo perché interdipendenti con le filiere individuate come essenziali e perché, all’opposto, alcune attività considerate essenziali potrebbero comunque ridurre la propria produzione. Per affrontare il panico crescente e derivante dalle chiusure di queste nostre imprese, con perdite di valore aggiunto di circa 800 milioni di euro a settimana, non vedo altra strada che quella di iniettare risorse aggiuntive per garantire la cassa integrazione guadagni ai lavoratori, indispensabile quanto la sicurezza sui luoghi di lavoro, la sicurezza sanitaria e igienica anzitutto».

In prospettiva però è già possibile anticipare che «un quadro di sofferenza resterà gradualmente anche dopo la fase più acuta dell’emergenza sanitaria, perché, come è prevedibile, i cambiamenti introdotti nei comportamenti e nelle relazioni che sono alla base delle attività economiche resteranno e dureranno per diverso tempo nella logica del distanziamento sociale e della prevenzione». Questo impone l’occasione di ripensare il nostro modello di sviluppo, che si è rivelato molto fragile di fronte a una minaccia che solo un mese fa sembrava impossibile potesse raggiungere le dimensioni attuali, non solo per la Toscana ma per il mondo intero.

Al proposito Rossi sottolinea la necessità di «un grande disegno di politica industriale» imperniata su un dato di fondo: «Nel bisogno profondo di un equilibrio più rispettoso del rapporto tra uomo, ambiente e natura; tra risorse e sviluppo. Quest’emergenza pone al centro la grande questione dei valori e della comunità umana. In questo senso l’agenda per l’economia circolare dovrà riprendere al più presto il suo corso con ancor più vigore, ripartendo dalla centralità dello Stato e delle politiche pubbliche».