I primi 40 anni e il futuro di Legambiente. Intervista a Stefano Ciafani

Il presidente del Cigno Verde e l’ambientalismo scientifico e politico italiano

[20 Maggio 2020]

In occasione del 40esimo compleanno di Legambiente abbiamo intervistato il presidente nazionale del Cigno Verde Stefano Ciafani. Ecco cosa ci ha detto:

Il 20 maggio del 1980 si costituì formalmente la Lega per l’Ambiente dell’Arci. Negli ultimi 40 anni il mondo è cambiato radicalmente e assai velocemente: come sta oggi Legambiente, e cosa vuol diventare da grande?

Il mondo è cambiato molto, come l’Italia, e al cambiamento del nostro Paese abbiamo dato il nostro contributo fattivo. Se non ci fosse stata Legambiente, avremmo ancora attive le centrali nucleari, non avremmo i delitti ambientali nel Codice penale, non avremmo fatto passi da gigante nella lotta all’inquinamento da plastica non gestita correttamente con leggi italiane copiate all’estero, a partire dall’Europa. Avremmo ancora gli ecomostri che per decenni hanno deturpato la Costiera amalfitana, la Valle dei Templi, il lungomare di Bari, il litorale domitio in Campania. Tutto questo è stato possibile perché l’associazione non ha mai mollato la presa, si è allenata per lunghe maratone per essere in forma, come lo è ancora oggi. Cosa vogliamo fare da grandi? Siamo già abbastanza adulti, ma abbiamo lo spirito ribelle e pragmatico di sempre. Resteremo un’associazione di cittadini che fa ambientalismo scientifico contro le fake news e che continuerà a sollecitare governi nazionali, regionali e locali, imprese, sindacati e altre associazioni a promuovere concretamente la lotta alla crisi climatica e la riconversione ecologica dell’economia del nostro Paese.

Nel corso dei decenni Legambiente è passata da un’iniziale collateralismo con la sinistra e i verdi a un’autonomia che non è mai stata abbandono dell’ambientalismo politico. Si può dire che siete la più vecchia associazione che fa politica rimasta in Italia? Cosa ne pensate dell’attuale fase politica, quali sono le scelte del Governo in carica che condividete e quali no?

Legambiente fa politica ogni giorno. Chi ci accusa di essere collaterali a qualcuno perde solo tempo. Ogni tanto qualcuno ci affianca ad un partito o a un movimento politico. Ma è un esercizio inutile. Abbiamo massacrato i governi Berlusconi per aver approvato i due condoni edilizi nel 1994 e nel 2003 e abbiamo plaudito al ministro Prestigiacomo quando non ha ulteriormente prorogato il bando sui sacchetti di plastica, approvato nelle legge di bilancio del 2007 grazie a Francesco Ferrante. Abbiamo spinto dall’esterno Pd e M5S a fare insieme il percorso per arrivare all’approvazione della legge sugli ecoreati nel 2015. Abbiamo fatto una campagna incessante contro il governo Renzi e le sue azioni a favore delle trivelle e degli inceneritori con il decreto Sblocca Italia. Abbiamo massacrato Luigi Di Maio e il Movimento 5 Stelle sul condono edilizio per la ricostruzione a Ischia. Abbiamo chiesto al governo Conte 1 e 2 di fare quello che il M5S diceva nella scorsa legislatura per tagliare i sussidi alle fonti fossili.  Devo continuare?

L’associazione come ha affrontato il confinamento imposto da Covid-19? Non c’è il rischio che questo distanziamento sociale spinga verso l’autoreferenzialità una realtà come Legambiente che aveva fatto del progressismo nazional-popolare e delle iniziative concrete sul territorio la sua cifra distintiva?

Nel periodo di lockdown siamo stati a casa per rispettare la salute di tutti, con alcuni nostri circoli impegnati localmente insieme alla Protezione Civile, la Croce Rossa Italiana e altre associazioni in operazioni di solidarietà. Perché Legambiente, come le altre associazioni e Ong, è sempre in prima linea per aiutare gli altri. I prossimi mesi di distanziamento fisico ci imporranno inevitabilmente di cambiare le modalità associative, ma continueremo a monitorare gli scarichi illegali, a pulire il mondo, le spiagge e i parchi, a fare educazione ambientale e a lavorare con le imprese per cambiare modelli produttivi e prodotti. Insomma, continueremo a lavorare con lo stesso obiettivo di sempre, rispettando la legge e la salute dei nostri volontari e di tutti i cittadini.

Il modello di Legambiente basato sui circoli territoriali – che lo distingue dalle altre associazioni e che ne fa qualcosa di diverso da una classica associazione ambientalista – è ancora valido?

Quel modello è imprescindibile. Lo slogan “pensare globalmente e agire localmente” è quello che ci guida ancora oggi. Grazie ai monitoraggi dei rifiuti fatti dai nostri circoli su 100 spiagge, con i volontari che contano uno a uno i rifiuti, abbiamo raccolto i dati a livello nazionale e li abbiamo raccontati durante l’Assemblea generale al Palazzo di Vetro a New York nella prima Conferenza mondiale dell’Onu sugli oceani. Abbiamo fatto approvare leggi in Italia, come quella sui cotton fioc e sulle microplastiche nei cosmetici a prima firma Ermete Realacci, che poi sono state copiate tali e quali dalla Direttiva europea sulla plastica monouso. E’ la citizen science che pratichiamo da 35 anni, cambiata negli anni, ma con gli stessi risultati di quando facevamo i primi monitoraggi di acque e smog con Goletta Verde e Treno Verde.

Come si pone Legambiente, con il suo ambientalismo scientifico e politico, di fronte a una parte del mondo ambientalista che sembra molto sensibile alle sirene complottiste o alle fake news, un atteggiamento emerso in maniera preoccupante anche durante la crisi Covid-19?

L’ambientalismo italiano deve essere coerente. Non si può applaudire Greta Thunberg quando a Washington davanti al Congresso americano dice sull’emergenza climatica: “Non dovete ascoltare me ma quello che dicono esperti e scienziati. Unitevi dietro alla scienza!”, e poi – contemporaneamente – non dire nulla a chi va dietro agli sciamani per fermare la Xylella Fastidiosa che in Puglia ha messo in ginocchio l’economia della produzione dell’olio. O a chi parla di un digestore anaerobico per produrre biometano come se fosse una centrale nucleare. O a chi, ancora, straparla di emissioni di esafluoruro di zolfo per ostacolare lo sviluppo dell’eolico nel nostro Paese. Bisogna continuare a lavorare per far modificare gli stili di vita ai cittadini in chiave sostenibile, sapendo che tutto questo è necessario ma non sufficiente. Per continuare a chiudere centrali a fonti fossili, come sta avvenendo in tutta Italia, servono tanti nuovi parchi eolici, a terra come in mare, tanti nuovi impianti fotovoltaici, a partire da quelli sui tetti. Serve anche il solare termodinamico, oltre al potenziamento degli impianti già esistenti, alla realizzazione degli accumuli e delle nuove reti elettriche a servizio del sistema elettrico diffuso. Lo stesso si può dire di quello che serve per far avanzare l’economia circolare italiana, per chiudere un inceneritore ormai obsoleto, per non aprire una nuova discarica o per evitare l’ampliamento di quelle già esistenti. Ma per fare tutto questo, sui rifiuti urbani, speciali e pericolosi, serve realizzare tanti nuovi impianti, perché per arrivare alla meta di Rifiuti zero a smaltimento serve realizzare mille nuovi impianti per l’economia circolare.

Per ripartire dopo la crisi sanitaria Legambiente sottolinea con forza la necessità di un modello di sviluppo più sostenibile, che sui territori si scontra però con i crescenti ostacoli frapposti dai fenomeni Nimby e Nimto. Comitati, politici e anche associazioni ambientaliste contrarie alla realizzazione di impianti e infrastrutture necessarie alla green economy: come affrontare questo nodo?

Per quanto riguarda la sindrome Nimby, serve coinvolgere i territori, non solo informarli, attraverso veri processi di partecipazione. Sulla sindrome Nimto scontiamo un’inadeguatezza della classe politica italiana che pensa troppo al prossimo mandato e non al futuro della comunità che l’ha eletta per governare i processi. Sul nanismo politico riguardante i temi ambientali potremmo scrivere un libro. Anzi, magari può essere tema della prossima intervista per Greenreport.