I Paesi africani della Cedeao chiudono le frontiere con il Mali. Sanzioni contro i militari golpisti

L'inviato Onu: in Mali: ciclo infinito di instabilità in un Paese sfiancato da 10 anni di guerra

[13 Gennaio 2022]

Domani in Mali si terranno manifestazioni, convocate dal governo “provvisorio” golpista del colonnello Assimi Goita, Presidente della Transizione e Capo dello Stato, per protestare contro le sanzioni economiche e finanziarie approvate dalla riunione straordinaria  congiunta dell’Union Economique et Monétaire Ouest africaine (UEMOA) e della  Communauté Economique des Etats de l’Afrique de l’Ouest (CEDEO/ECOWAS) tenutasi il 9 gennaio ad Accra, in Ghana.

In un comunicato il governo golpista del Mali sottolinea che «Di fronte a queste misure estreme prese contro uno Stato membro senza sbocco al mare e in guerra contro il terrorismo da un decennio, che nonostante tutto sta facendo notevoli passi avanti nella messa in sicurezza del territorio e nel contesto del ritorno all’ordine costituzionale, il Governo della Repubblica del Mali: invita tutta la popolazione e la diaspora ad una mobilitazione generale su tutto il territorio nazionale, venerdì 14 gennaio 2022; chiede alle autorità religiose e consuetudinarie di organizzare sessioni di preghiera in tutti gli edifici di culto;  decide di elaborare un piano di risposta per salvaguardare la nostra sovranità e preservare l’integrità del nostro territorio nazionale; invita tutte le parti sociali ad una tregua per affrontare le sfide dell’ora; si congratula con le Forze Armate e di Sicurezza per i risultati ottenuti nella lotta al terrorismo e per la messa in sicurezza del territorio; ringrazia l’insieme dei popoli africani per il sostegno e la solidarietà (della quale però non c’è traccia, ndr) .Il governo esorta la popolazione a mantenere la calma e assicura che saranno adottate tutte le misure per contrastare gli effetti delle misure emanate da CEDEO e UEMOA».

Bamako il 10 gennaio 2022

Ma cosa è successo? La CEDAO/ECOWAS ha annunciato nuove sanzioni contro il Mali dopo che il governo ad interim ha deciso di posticipare di diversi anni le elezioni promesse dopo il primo colpo di stato militare avvenuto nel 2020. E la CEDAO ha deciso anche di chiudere le frontiere terrestri e aeree con il Mali, di sospendere gli aiuti finanziari e tutte le transazioni commerciali e finanziarie con Bamako – tranne quelle essenziali per cibo, medicine, petrolio ed elettricità – e ha anche congelato i beni delle autorità maliane depositati nelle banche della CEDEAO. Poi tutti i Paesi hanno richiamato i loro ambasciatori da Bamako per consultazioni.

I membri di quella comunità economica della quale fa parte anche lo stesso Mali  hanno spiegato di aver adottato queste misure perché il primo gennaio il colonnello Assimi Goita ha annunciato in televisione rinviandole al 2026 e trasformando così la sua presidenza di transizione in un governo a lungo termine.

Par la CEDEAO si tratta di un nuo golpe e di una decisione «Totalmente inaccettabile» perché questo «Significa semplicemente che l’illegittimo governo militare di transizione  terrà in ostaggio il popolo maliano  per i prossimi cinque anni».

Le sanzioni contro il Mali saranno annullate, gradualmente solo quando «verrà fissato un termine accettabile per le elezioni e saranno compiuti progressi per attuarle».

La situazione è paradossale perché i Paesi dellaCEDEO hanno chiuso le frontiere di un loro Stato membro al cui interno ci sono soldati delle forze di pace che provengono dalla CEDEAO.

I militari golpisti del Mali hanno risposto chiudendo a loro volta le frontiere con i Paesi CEDEAO e dicendo che le elezioni non possono tenersi a febbraio a causa del peggioramento delle condizioni di sicurezza nel Paese, sicurezza che i golpisti avevano assicurato che avrebbero ristabilito al più presto già nel 2020. Inoltre, i militari hanno evidenziato la necessità di creare una nuova Costituzione e di sottoporla a referendum prima che si tengano le elezioni presidenziali e Assimi Goita, dopo aver definito le sanzioni «Illegittime, illegali e disumane» ha detto che il suo governo resta aperto al dialogo con la CEDEAO  e che «Il nostro impegno per tornare a un ordine costituzionale normale, pacifico e sicuro non è mai venuto meno. Chiediamo ala CEDEAO di fare ancora una volta un’analisi approfondita della nostra situazione, tenendo presente gli interessi del popolo maliano, al di sopra di altre considerazioni. C’è preoccupazione per le conseguenze delle misure adottate dalla CEDEAO. Assicuro a tutti che ci stiamo attivando per affrontare questa sfida».

Ma è davvero difficile prendere sul serio le professioni di democrazia di uno come Goita: comandante delle forze speciali del è stato una delle figure chiave nel colpo di stato che nel 2020 ha rovesciamento il presidente eletto Boubacar Ibrahim Keita e che ha dato il via a un periodo di transizione che avrebbe dovuto portare a nuove elezioni. Una transizione interrotta nel maggio maggio 2021, quando Goita ha attuato un altro colpo e si è impadronito direttamente del potere, promettendo che porrà fine ai disordini politici e alla crisi economica.

Ma, come ha evidenziato di fronte al Consiglio di sicurezza dell’Onu El-Ghassim Wane, rappresentante speciale del segretario generale dell’Onu in Mali, «A dieci anni dall’inizio degli scontri in Mali, le speranze per una rapida risoluzione dei conflitti non si sono concretizzate, l’insicurezza si è diffusa, la situazione umanitaria è peggiorata, più bambini non vanno a scuola e il Paese è colpito da un ciclo infinito di instabilità».

Si prevede infatti che nel 2022 in Mali oltre 1,8 milioni di persone avranno bisogno di assistenza alimentare, rispetto agli 1,3 milioni nel 2021, il livello di insicurezza alimentare più alto registrato dal 2014. Inoltre, più di mezzo milione di bambini sono colpiti dalla chiusura delle scuole che, secondo l’inviato Onu, «Mette in pericolo il futuro del Paese».

Nonostante questa situazione disastrosa, Wane ha ricordato che «La situazione sarebbe stata molto peggiore” senza l’impegno della comunità internazionale, compreso il dispiegamento della missione di mantenimento della pace delle Nazioni Unite (Mission multidimensionnelle intégrée des Nations unies pour la stabilisation au Mali – MINUSMA) nel 2013».

Il Mali è uno dei Paesi più poveri del mondo, ma la crisi è precipitata nel 2012, dopo un n fallito colpo di stato militare, la ripresa dei combattimenti tra le forze governative e i ribelli tuareg, l’instaurazione del nord del Paese di un califfato islamico e l’intervento delle truppe francesi e della CEDEAO per scacciare i Jihadisti. Dopo una serie di debolissimi governi civili, ci sono stati i due ultimi golpe militari di fila e la rottura di questi giorni con la CEDEO/ECOWAS.

Wane ha condannato il nuovo golpe e la decisione di Goita  di rimanere al potere almeno per altri 5 anni e mezzo, ricordando che: «La transizione è un aspetto chiave del mandato di MINUSMA, quindi la missione cercherà di trovare una via d’uscita consensuale dall’impasse. Un’impasse prolungata renderà molto più difficile trovare un risultato consensuale, aumentando le difficoltà della popolazione e indebolendo ulteriormente le capacità dello Stato. Un tale scenario avrebbe “conseguenze di vasta portata per il Mali e i suoi vicini».

Al di là della transizione politica, Wane ritiene che sia anche fondamentale che il Consiglio di Sicurezza continui a prestare attenzione all’attuazione dell’accordo di pace e alla stabilità nella regione centrale del Mali: «Due “mattoni” di un Mali pacifico e stabile».

Eppure, a dicembre le Assises National de la Refondation, un processo di consultazione nazionale, erano sfociate in una serie di raccomandazioni che prevedevano la revisione costituzionale, la creazione di un Senato, l’accelerazione del processo di disarmo, smobilitazione e reinserimento (DDR) e il decentramento territoriale. Secondo Wane, «Queste proposte offrono una finestra di opportunità su cui tutte le parti interessate dovrebbero fare affidamento per andare avanti nell’attuazione dell’accordo di pace».

Il Mali è l’esempio tragico del fallimento del neocolonialismo occidentale e di Paesi  che dopo l’indipendenza sono stati governati da esecutivi civili deboli fedeli all’ex potenza coloniale (in questo caso la Francia) e nei quali l’unica vera istituzione – spesso un corpo separato e privilegiato rispetto al resto della popolazione – è l’esercito.

E i regimi militari e controllati dai militari non sono spesso in grado nemmeno di garantire la sicurezza: in Mali l’esercito è prima fuggito di fronte agli indipendentisti tuareg e poi è stato sconfitto dai jihadisti, mentre dopo l’intervento armato francese non ha saputo far altro che attuare due colpi di stato di fila. Così nel 2021, dopo due anni di governo provvisorio militare, in Mali ci sono stati più attacchi delle milizie islamiste rispetto a tutti gli anni precedenti e la MINUSMA ha chiuso l’anno con il maggior numero di vittime dal 2013, dopo un aumento significativo degli attacchi contro assi stradali principali, convogli, campi e basi operative temporanee. In totale sono morti 28 soldati della MINUSMA, 7 dei quali soldati del Togo in un unico attentato a dicembre.

Una guerra di tutti contro tutti che ha un impatto devastante anche sui civili e sulla situazione umanitaria: il 3 dicembre, vicino a Songho, sono stati massacrati32 civili, tra cui 26 donne e bambini, dopo il loro autobus è stato attaccato da milizie jihadiste. In un solo anno, in Mali il numero degli sfollati interni è passato da 216.000 a oltre 400.000.

Una tragedia umana ed economica che le nuove sanzioni e la chiusura delle frontiere possono solo aggravare e Wane ha concluso stigmatizzando la tiepida risposta della comunità internazionale all’appello umanitario dell’Onu per il Mali, che ha raccolto solo il 38% dei fondi necessari.

E con queste cifre e con questi fatti è difficile accusare i militari golpisti di ignorare i bisogni del loro popolo, quando anche tutti gli altri li ignorano.