Yemen, gli Houthi liberano dei prigionieri ma ne catturano altri 7.000 in battaglia. Molti mercenari

Gli iraniani: «Un colpo pesante contro Riyadh. Signor Trump, anche questa volta è stato l’Iran?»

[1 Ottobre 2019]

L’inviato speciale dell’Onu per lo Yemen, Martin Griffiths, si è felicitato per l’iniziativa presa da Ansar Allah, gli sciiti Houthi al potere a Sana’a, di liberare unilateralmente alcune persone che detenevano e ha chiesto a tutte le parti coinvolte nel conflitto yemenita di vigilare affinché i detenuti liberati vengano rimandati a casa loro in tutta sicurezza.

Durante una conferenza stampa tenutasi nel suo ufficio ad Amman, in Giordania, Griffiths ha dettO: «Spero che questa tappa condurrà a delle nuove iniziative che faciliteranno lo scambio di tutti i detenuti legati al conflitto conformemente all’accordo di Stoccolma».

L’inviato speciale dell’Onu ha ringraziato il Comitato internazionale della Croce Rossa/Mezzaluna Rossa per il ruolo prezioso svolto nella liberazione dei detenuti e ha aggiunto: «Mi felicito anche per le misure prese dal governo dello Yemen e la Coalizione araba che hanno portato alla liberazione dei minori yemeniti e che hanno sostenuto la loro reintegrazione nelle loro famiglie». Il governo yemenita al quale fa riferimento Griffiths è quello che controlla parte del sud dello Yemen grazie all’esercito saudita.

L’inviato speciale dell’Onu ha chiesto a tutte le parti yemenite in guerra di lavorare insieme per <Accelerare la liberazione, il trasferimento e il rimpatrio dei detenuti legati al conflitto che, insieme ai loro familiari, hanno subito un dolore e delle sofferenze profonde. Invito le parti a incontrarsi entro il minor tempo possibile e a riprendere i colloqui sui loro futuri scambi (di prigionieri) conformemente ai loro impegni verso l’accordo di Stoccolma».

Ma solo 48 ore prima dell’intervento di Griffiths, le forze di Ansarullah, la principale formazione sciita yemenita, aveva annunciato che durante l’operazione Nasron min Allah (La vittoria proviene da Dio), avevano liberato buona parte delle zone occupate dai sauditi del nord del Paese, facendo circa 7.000 prigionieri, tra i quali pare ci siano numerosi ufficiali e soldati di nazionalità saudita.

Secondo il portavoce dell’esercito rivoluzionario dello Yemen, Yahyà Sarì, «Finora tre brigate dell’esercito saudita sono state neutralizzate dalle forze yemenita che hanno agito nella regione di Najran, a nord dello Yemen e a sud del territorio saudita». L’agenzia iraniana Fars News cita alcune fonti secondo le quali gli ufficiali e i soldati sauditi in mano agli Houthi sarebbero 900.

Sarì ha definito l’operazione Nasron min Allah «La più grande dall’inizio dell’aggressione saudita contro lo Yemen, il 26 marzo 2015» e ha aggiunto che «L’aviazione saudita ha persino tentato di bombardare le sue stesse forze per ucciderle ed evitare che gli yemeniti prendessero dei prigionieri». Ma il dato più clamoroso che emerge dalle dichiarazioni di Sarì – anche se ormai in molti lo danno evidentemente per scontato – è l’utilizzo di mercenari stranieri che in questo caso, eliminando i 900 sauditi e i loro alleati yemeniti sunniti, sarebbero molti, visto che Sarì ha rassicurato le famiglie dei prigionieri, «che sono di diverse nazionalità», ricordando che «I loro cari verranno tenuti in condizioni umane e che verranno liberati nel caso il regno saudita accetti uno scambio dei prigionieri».

I mercenari verrebbero in gran parte da altri Paesi: “volontari” arabi, pakistani e africani, ma è stata più volte denunciata la presenza nello Yemen di mercenari sudamericani, compresi ex soldati addestrati dai regimi fascisti e dagli statunitensi.

L’Arabia Saudita sembra in difficoltà dopo i clamorosi attacchi con i droni portati dagli Huothi yemeniti – ma Riyadh e Washington accusano Teheran – ai due giganteschi impianti petroliferi sauditi che hanno dimezzando la produzione di petrolio del regno wahabita e che ancora oggi non è tornata ai valori precedenti. Una difficoltà amplificata dal sonoro silenzio del governo e dei media sauditi sulle vittorie annunciate da Ansarullah.

Riportando i successi degli alleati yemeniti dell’Iran su Pars Today, Davood Abbasi si rivolge direttamente al presidente Usa e all’Unione europea: «La domanda che vorremmo fare al signor Trump ed ai Paesi europei che hanno insinuato che l’attacco alle infrastrutture petrolifere saudite era opera dell’Iran, è questa: “Anche questa operazione è opera dell’Iran?” Non lo è; e in questo caso non c’è la possibilità di incolpare Teheran. Ed anche la volta scorsa, puntare il dito contro l’Iran, è stato un modo per celare il fiasco militare saudita nello Yemen. La verità è che se agli Usa e all’Ue non importa nulla dei bambini e della gente che in Yemen muore sotto le bombe (che proprio l’Occidente vende ai sauditi), agli yemeniti stessi della loro vita importa eccome. L’amara verità è che il colosso militare creato dagli americani nella regione, l’Arabia Saudita, sta perdendo la guerra contro lo Yemen e sarà costretto a ritirarsi con la coda tra le gambe e a inchinarsi alla rivoluzione dello Yemen, una nazione che sopportando perdite pesantissime sta difendendo la sua dignità».

Abbasi conclude: «Donald Trump e gli strateghi americani devono capire che puntare tutto sull’Arabia Saudita, la fonte d’ispirazione dell’Isis, non darà frutti. Gli americani sono così stupidi da far pressione sull’Iran per mettere in discussione il suo ruolo regionale, ma non comprendono che in Medio Oriente sempre più Paesi si fidano e si affidano dell’Iran, proprio per via delle malefatte degli Stati Uniti e dei loro alleati; alleati che non sono altro che il peggio che la regione offra».

Ragionamento sicuramente infarcito di propaganda nazionalista iraniana, ma non sbagliato sugli alleati che gli Usa e il resto dell’Occidente si sono scelti in Medio Oriente.