Vi ricordate la Libia? Ha di nuovo due governi pronti a combattersi

La tensione aumenta dopo il fallimento delle elezioni “garantite” dall’Italia. Continuano violenze e abusi

[18 Marzo 2022]

La guerra in Ucraina a fatto passare sotto silenzio mediatico uno dei più grandi fallimenti della diplomazia italiana e internazionale: l’annullamento delle elezioni che a dicembre 2021 avrebbero dovuto dare un parlamento “democratico” e un  governo unitario alla Libia.

Nemmeno un trafiletto sui giornali per il preoccupato intervento che la vicesegretaria generale dell’Onu per gli affari politici e il consolidamento della pace, la statunitense Rosemary DiCarlo, ha fatto al Consiglio di sicurezza: «Di fronte a una situazione di stallo politico che rischia di vedere la Libia nuovamente fratturata da due governi paralleli, la priorità deve essere mantenere le conquiste duramente conquistate e soddisfare le aspirazioni elettorali di quasi 3 milioni di elettori registrati. La Libia si trova ora ad affrontare una nuova fase di polarizzazione politica, che rischia ancora una volta di dividere le sue istituzioni e di annullare i progressi compiuti negli ultimi due anni».

La DiCarlo inoltre evidenziato «Un aumento delle segnalazioni di violazioni dei diritti umani, incitamento all’odio, diffamazione e minacce, nonché violenze contro attivisti, giornalisti e attori politici».

Come ha ricordato la vicesegretaria Onu, nella nostra ex colonie che è anche uno dei Paesi dai quali importiamo più idrocarburi, «Le elezioni in Libia previste per dicembre 2021 sono state rinviate, con la Commissione elettorale nazionale del Paese che ha citato carenze nella legislazione elettorale e problemi con l’ammissibilità dei candidati.

Sempre a febbraio, la Camera dei rappresentanti con sede nell’est del Paese ha votato e nominato un nuovo primo ministro e governo, nonostante le obiezioni del primo ministro riconosciuto a livello internazionale Abdul Hamid Dbeiba, che da parte sua si è rifiutato di dimettersi. Tuttavia, la Camera dei rappresentanti ha proceduto alla formazione di un nuovo governo, nominando Fathi Bashagha, un ex ministro degli interni, come nuovo primo ministro. Il 24 febbraio l’Alto Consiglio di Stato – con sede nel centro di governo dell’amministrazione riconosciuta a livello internazionale a Tripoli e nato dall’Accordo politico libico del 2015 sostenuto dalle Nazioni Unite – ha respinto la dichiarazione parlamentare, creando un grave stallo che sta nuovamente sollevando tensioni nel Paese. Il 3 marzo, i membri del gabinetto di Bashagha hanno prestato giuramento davanti alla Camera dei Rappresentanti».

Davvero un bel risultato per la mediazione italiana e dell’occidente che, dopo aver defenestrato Gheddafi nel 2011, bombardando con aerei NATO e appoggiando con armi e uomini le milizie che poi si sono trasformate nella rovina della Libia, ora si ritrova nuovamente con due governi appoggiati da turchi, russi, italiani, occidentali e arabi, equamente divisi nel rifornire armi in cambio di gas e petrolio e del mantenimento di qualche migliaio di migranti nei campi di concentramento libici.

La DiCarlo teme che la situazione possa nuovamente degenerare oltre l’attuale anarchia e violenza: «Sebbene la situazione sul campo rimanga relativamente calma, ci sono notizie di retorica minacciosa, crescenti tensioni politiche e lealtà divise tra gruppi armati nella Libia occidentale. La nostra priorità è concentrarci sulla realizzazione delle aspirazioni degli oltre 2,8 milioni di libici che si sono registrati per votare. Dovrebbero essere in grado di scegliere i loro leader attraverso elezioni credibili, trasparenti e inclusive, in conformità con un quadro costituzionale e legale concordato».

Il problema è che tutti facevano finta che quelle elezioni, in un Paese in guerra civile da 11 anni e dove scorrazzano eserciti stranieri, milizie jihadiste e tribali, mercenari e mercanti di carne umana, potessero davvero essere  credibili, trasparenti e inclusive e che la DiCarlo e il nostro ministro degli esteri Luigi Di Maio sembrano credere che possano essere possibili.

In questo contesto, la consigliera speciale del Segretario generale dell’Onu, Stephanie Williams, ha proposto «La formazione di una commissione mista composta da membri della Camera dei Rappresentanti e dell’Alto Consiglio di Stato, che mirerebbe a raggiungere un accordo su base costituzionale che porterebbe alle elezioni nel 2022». Cioè, più o meno, l’accordo che era già stato faticosamente raggiunto e che è fallito.

Ma la Williams conta di riuscirci grazie alle consultazioni in corso  con un’ampia gamma politici, militari e della società civile libici e ha offerto i suoi buoni uffici per mediare tra Abdul Hamid Dbeibah e Fathi Bashagha.

La DiCarlo ha anche informato il Consiglio di sicurezza dell’Onu su quel che intanto continua a succedere in Libia e sui giganteschi problemi per la sicurezza, l’economia e le violazioni dei diritti umani, avvertendo che «Questi ultimi hanno raggiunto il picco con l’aumento delle tensioni nel Paese».

Ieri, Federico Soda, capo missione in Libia dell’International Organization for Migration (IOM) ha detto: «Sono sconvolto dalla continua perdita di vite umane nel Mediterraneo centrale e dalla mancanza di azione per affrontare questa tragedia in corso». Nelle ultime due settimane, almeno 70 migranti sono scomparsi in mare e si presume siano morti al largo delle coste della Libia. Il 12 marzo, una barca che trasportava 25 migranti si è capovolta vicino alla costa libica di Tobruk e mentre le autorità hanno soccorso sei persone e recuperato sette corpi, altre 12 rimangono disperse. Quest’ultimo incidente conosciuto porta il numero totale di migranti dichiarati morti o dispersi nel Mediterraneo centrale fino a 215 quest’anno. Ma sembrano profughi e morti di serie B dei quali non si occupa più nemmeno frettolosamente un telegiornale. Eppure, come ha ricordato Soda, «Ogni denuncia di migranti scomparsi rappresenta una famiglia in lutto alla ricerca di risposte sui propri cari. Questi tragici incidenti sono spesso il risultato di un accesso ineguale alla mobilità legale e sicura. Affinché le persone non si sentano obbligate a rischiare la vita in cerca di sicurezza e migliori opportunità c’è l’urgente necessità di opzioni di migrazione più sicure, ordinate e regolari».

Tornano alla DiCarlo, ha evidenziato il disastroso stato dell’economia libica e di quello che è ormai uno Stato fantasma: «La mancanza di controllo e chiarezza nella spesa pubblica. Nessun bilancio nazionale è stato approvato nel 2021 e che un’accesa polemica sui pagamenti di bilancio sta ostacolando il funzionamento della compagnia petrolifera nazionale libica».

E, nella dissoluzione di uno Stato provocata da un intervento armato occidentale e da un tragico dopo-guerra che NATO , Usa e Italia non si sono dimostrati in grado di gestire, la DiCarlo denuncia «L’aumento dell’incitamento all’odio, della diffamazione e delle minacce, nonché dell’incitamento alla violenza e degli atti di violenza contro attivisti, giornalisti e attori politici, comprese le donne. Attori statali e non statali arrestano e trattengono arbitrariamente attivisti per i diritti umani. Migranti e rifugiati continuano ad essere intercettati in mare dalle autorità libiche e trasferiti in centri di detenzione dove si dice che subiscano gravi violazioni dei diritti umani».

La vicesegretaria Onu ha concluso citando «Rapporti di tortura, fame, estorsioni e morti in custodia, Ma tra la fine dell’anno 2021 e il 5 marzo le Nazioni Unite hanno registrato una diminuzione del numero di sfollati interni in Libia». L’unica nota positiva in un Paese scomparso dai radar dell’informazione, dove si continuano a fare ben nascosti affari d’oro con i tagliagole responsabili di questo disastro umano, politico ed economico. Un “porto sicuro” dove gli standard democratici e di indignazione occidentali sfumano e svaniscono nel deserto e nella vergogna, come un miraggio.