Uganda e Kenya in allarme dopo gli attentati di Parigi. Gli Shabaab pronti a colpire?

L’Uganda aspetta Papa Francesco. Il Pontefice andrà nella Repubblica Centrafricana in fiamme?

[16 Novembre 2015]

L’Uganda e il Kenya, due Paesi che sono già stati più volte vittime del terrorismo, hanno rafforzato le loro misure di scurezza dopo gli attentati di Parigi.

Il portavoce della polizia dell’Uganda, Fred Enanga, ha detto all’agenzia cinese Xinhua che «Poliziotti, militarie ufficiali dei servizi segreti in più sono stati dispiegati a Kampla, la capitale ugandese, così come nelle zone di frontiera. Non possiamo prendere alla leggera gli avvenimenti che hanno avuto luogo a Parigi. Abbiamo effettuati dei dispiegamenti di sicurezza supplementari perché il nostro popolo sia al riparo dalle minacce terroriste. Le misure prese in precedenza ci hanno già aiutato a contrattaccare gli atti terroristici.  I dispositivi di sicurezza sono stati raffrzati anche a causa della prossima visita di Papa Francesco in Uganda».

L’Uganda teme attacchi degli integralisti islamico somali di Al Shabaab, infatti ha inviato 6.000 soldati in Somalia a sostegno della missione AMISOM dell’Unione africana e del governo di Mogadiscio per combattere il ribelli legati al Al Qaeda che nel luglio 2010  fecero due attentati in Uganda, provocando decine di morti.

Il Kenya, che confina con la Somalia e che ospita al suo interno popolazioni somale e giganteschi campi profughi, è ancora più preoccupato: la polizia ha rafforzato  le misure di sicurezza e l’ispettore generale delle polizia keniota, Joseph Boinett, ha detto che «Il rafforzamento della vigilanza è necessario per prevenire gli attacchi terroristi. All’indomani degli attacchi di Parigi, c sappiamo che la minaccia resta reale nel nostro Paese. Chiediamo all’opinione pubblica di dar prova della massima vigilanza. Invito la popolazione a riferire di ogni attività e di ogni persona sospette alle agenzie di sicurezza».

Il Kenya, che ha ancora truppe in Somalia che combattono contro gli Shabaab, ha subito diversi attacchi dei terroristi islamisti: il 7 agosto 1998, delle autobomba sono esplose a Nairobi causando 243 morti e centinaia di feriti;  il 21 settembre 2013, gli shebab hanno fatto irruzione in un grande centro commerciale della Capitale keniota uccidendo una sessantina di persone; il 2 aprile  2015, l’università di  Garissa, a 150 km dalla frontiera somala è stata attaccata da un commando di Al  Shabaab, che ha massacrato 148 persone, quasi tutti studenti.

Uganda e Kenya pagano l’infinita guerra civile somala, esacerbata dai soliti disastrosi interventi militari occidentali – ai quali l’Italia, ex potenza coloniale, non ha fatto mancare il suo contributo – e poi da altrettanto disastrosi interventi armati dell’Unione Africana guidati da truppe dell’Etiopia, il nemico storico e “cristiano” della Somalia. Uganda e Kenya, ognuno per rimarcare il loro ruolo di nascente potenza regionale (ma il Kenya anche per difendere i suoi confini), sono intervenuti in quel che resta della Somalia, riuscendo a cacciare gli islamisti da Mogadiscio ma trasformando gli Shabaab in una milizia ancora più pericolosa e disperata, che dal controllo del territorio del suo “califfato” è passata agli attacchi ai civili anche fuori dai confini somali.

Un altro pezzo di quella “terza guerra mondiale” di cui parla il Papa, che se lo troverà davanti in Uganda e ancor più nella Repubblica Centrafricana, nuovamente in preda a scontri settari che vedono le milizie cristiane trucidare la minoranza islamica. Nella Repubblica Centrafricana sono i machete “cristiani” a seminare la morte, con la stessa insensata ferocia  degli Shabaab in Uganda e Kenya e dei fanatici legati al Daesh a Pargi o in Libia o a Boko Haram in Nigeria.

La visita a Bangui dovrebbe segnare, patendo dalla Repubblica Centrafricana,  uno degli Stati “fantasma” più poveri e sfruttati del mondo, l’apertura dell’Anno Santo straordinario, una visita pastorale a rischio, anche secondo le truppe francesi che sono intervenute nella capitale centrafricana, che in molti chiedono al Papa di rinviare, ma che il Pontefice sembra intenzionato a confermare