Forti critiche a Erdogan per l’inefficace gestione dei soccorsi e per il disastro urbanistico nelle aree colpite dal terremoto

Turchia e Siria: dopo il terremoto i bambini dormono in strada. Troppo spaventati per tornare in casa

Turchia e Siria bloccano i convogli di aiuti kurdi. I militari turchi continuano ad attaccare il PKK

[15 Febbraio 2023]

A più di una settimana dai devastanti terremoti e dalle più di 1.600 scosse di assestamento che hanno colpito il sud-est della Turchia e il nord della Siria, l’Unicef avverte che «Milioni di bambini hanno bisogno di assistenza umanitaria urgente». Il portavoce dell’Unicef, James Elder, ha sottolineato: «Anche senza numeri verificati è tragicamente chiaro che il numero di bambini uccisi, il numero di bambini rimasti orfani continuerà ad aumentare. In Turchia, il numero totale di bambini che vivevano nelle 10 province colpite prima dell’emergenza era di 4,6 milioni, in Siria 2,5 milioni».

Il numero di bambini uccisi e feriti durante le scosse e le loro conseguenze non è ancora stato confermato, ma è probabile che sia di molte migliaia. Il bilancio totale ufficiale delle vittime ha superato i 40.000 morti. L’Unicef sottolinea che «L’impatto dei terremoti sui bambini e sulle famiglie della regione è stato catastrofico, lasciando centinaia di migliaia di persone in condizioni disperate. Molte famiglie hanno perso le loro case e vivono ora in rifugi temporanei, spesso nel gelo, con neve e pioggia che aumentano le loro sofferenze. I terremoti hanno anche causato danni diffusi alle scuole e ad altre infrastrutture essenziali, mettendo ulteriormente a rischio il benessere di bambini e famiglie. Anche l’accesso all’acqua potabile e ai servizi igienici è una delle principali preoccupazioni, così come le esigenze sanitarie della popolazione colpita».

La direttrice  generale dell’Unicef, Catherine Russell, ha evidenziato che «I bambini e le famiglie della Turchia e della Siria stanno affrontando difficoltà inimmaginabili a seguito di questi devastanti terremoti. Dobbiamo fare tutto ciò che è in nostro potere per garantire che tutti coloro che sono sopravvissuti a questa catastrofe ricevano un sostegno salvavita, tra cui acqua sicura, servizi igienici, forniture nutrizionali e sanitarie critiche e sostegno alla salute mentale dei bambini. Non solo ora, ma anche a lungo termine».

Elder ha avvertito che  «I casi di  ipotermia e infezioni respiratorie sono in aumento  tra i giovani. Ma tutti, ovunque, hanno bisogno di più sostegno, più acqua sicura, più caldo, più riparo, più carburante, più medicine, più finanziamenti. Le famiglie con bambini  dormono nelle strade, nei centri commerciali, nelle moschee, nelle scuole, sotto i ponti, restando all’aperto per paura di tornare a casa».

Nonostante le notizie positive secondo cui il presidente siriano Bashar al-Assad ha concordato con l’Onu di riaprire per i primi tre mesi due ulteriori punti di consegna di aiuti transfrontalieri  – Bab Al-Salam e Al Ra’ee,- nella Siria nordoccidentale colpita dal terremoto, Onu e ONG umanitarie sottolineano la necessità di «Garantire agli aiuti umanitari garanzie di passaggio sicuro da parte di tutti coloro che sono coinvolti nella guerra civile siriana che dura da più di 12 anni».

Ma è proprio quello che non sta succedendo: il convoglio di aiuti umanitari della Mezzaluna rossa curda (Heyva Sor a Kurd) diretto alle aree terremotate sarebbe ancora bloccato al confine informale tra la regione autonoma della Siria settentrionale e orientale e l’area controllata dal regime di Damasco. I kurdi del Rojava denunciano: «Il governo di Damasco continua a negare all’organizzazione umanitaria l’accesso alla zona siriana del terremoto di Aleppo mentre molte persone aspettano aiuto. Inizialmente, metà delle merci e almeno un’ambulanza dovevano essere consegnate al regime per poter proseguire il viaggio con l’obiettivo di raggiungere altre zone, ma Damasco ora chiede che l’intero convoglio sia consegnato alla Siria Arab Red Mezzaluna (CRAS). Per Fee Baumann, che coordina il convoglio di aiuti della Mezzaluna Rossa curda, «Per noi, questo è inaccettabile. Sappiamo quanto il CRAS lavori a stretto contatto con il regime, e sappiamo anche che molto probabilmente i nostri aiuti non arriveranno dove devono andare se li consegniamo». Dalll’11 febbraio la Baumann sta cercando di ottenere un permesso per il trasporto degli aiuti. Il convoglio della Mezzaluna Rossa curda è composto da due ambulanze mediche e diversi camion che trasportano aiuti umanitari come tende, coperte, medicine, cibo, alimenti per bambini e acqua. Il team comprende anche medici e paramedici. La destinazione è Aleppo e i distretti kurdi di Sheikh Maqsoud (Şêxmeqsûd) e Ashrafiyah (Eşrefiyê) nel nord della metropoli siriana devastata dalla guerra e poi dal terremoto, oltre al vicino cantone di Shehba. Ma fino a ieri gli aiuti provenienti dal Rojava erano bloccati ai confini di una regione dove ci sono olti feriti non curati e la Baumann denuncia: «E’ importante ottenere rapidamente aiuto ed è intollerabile che il regime sfrutti le differenze politiche anche in questa situazione. Innumerevoli persone aspettano aiuto, molti sono ancora sotto le macerie delle loro case, e fa un freddo gelido. A questo si aggiunga il pericolo di epidemie, che aumenta ogni momento una settimana dopo i devastanti terremoti. Siamo lì con un team che può aiutare, ma non ci lasciano passare. Il regime e la SARC investono tempo ed energie nella gestione di un piccolo trasporto di aiuti invece di accettare gli aiuti con gratitudine. Questo è scioccante, persino quando conosciamo già bene la corruzione del sistema di governo siriano».

Ma secondo la Baumann, «Però, non è solo a causa del regime siriano che gli aiuti di emergenza non possono raggiungere l’area del disastro. La Turchia sta facendo pressioni su Damasco affinché non lasci passare gli aiuti dal nord-est della Siria. È vero che qui abbiamo sempre avuto problemi a ricevere aiuti. Ma speravamo che, data la situazione, le divergenze politiche non avrebbero più avuto importanza. Nel frattempo, gli è stato insegnato diversamente».

Invece, il 13 febbraio un convoglio di aiuti di Medici senza frontiere è riuscito a raggiungere l’area del disastro nel nord-ovest della Siria. Secondo Secondo Ciwan Mela Ibrahim, portavoce dell’Amministrazione autonoma della Siria settentrionale e orientale (AANES), «Un permesso corrispondente è stato concesso dopo ardue e difficili trattative con la potenza di occupazione turco-jihadista. il convoglio è composto da 32 veicoli che trasportano soccorsi e forniture mediche. Dalla scorsa settimana, gli operatori umanitari stanno resistendo vicino a Manbij per portare aiuti nell’area occupata. La destinazione della colonna non è solo Idlib ma anche Afrin». Due città kurde occupate dai turchi e dai loro mercenari jihadisti.

Durante una conferenza stampa, , Kenn Crossley, direttore nazionale del World Food Programme (WFP) in Siria, ha detto che «L’accesso umanitario è necessario per raggiungere le persone da qualunque parte provengano, ovunque possiamo raggiungerle. Gli sforzi dell’Onu per fornire soccorso alle persone direttamente colpite dall’emergenza sono notevoli: pasti caldi e cibi pronti sono stati distribuiti  nei rifugi a poche ore dal disastro, utilizzando scorte pre-posizionate. Circa  90.000 persone nel nord-ovest della Siria hanno ricevuto assistenza alimentare specifica  correlata direttamente all’impatto del terremoto. Fino al doppio di quel numero riceveva assistenza regolare legata al conflitto in corso. Il WFP ha anche fornito  assistenza alimentare a 60-70.000 persone colpite dal terremoto nelle aree controllate dal governo di Aleppo, Hama, Latakia, che si aggiunge all’assistenza che l’agenzia Onu fornisce purtroppo esattamente nelle stesse aree attraverso i nostri programmi regolari».

Il 14 febbraio l’International organization of migration (IOM) ha inviato 11 camion carichi di aiuti umanitari  a Bab Al-Salam, nel nord-ovest della Siria, uno dei valichi di frontiera riaperti, mentre altri 4 camion hanno lasciato il centro di aiuti Onu a Gaziantep diretti a Bab al-Hawa.

In Turchia, Hişyar Özsoy, un deputato dell’ Halkların Demokratik Partisi –  Partiya Demokratik a Gelan (HDP- Partito Democratico dei Popoli, la sinistra kurda), ha visitato le zone colpite dal terremoto in Kurdistan, Turchia e Siria e ha raccolto sul posto numerose testimonianze che «Rivelano la negligenza e l’incapacità dello Stato. Certamente, le discussioni politiche non aiutano durante i disastri naturali come i terremoti. Ma la drammatica situazione in cui si trovano le popolazioni colpite solleva molti interrogativi: perché il governo ha autorizzato costruzioni così fragili? Quali misure precauzionali sono state prese a monte? Perché gli appaltatori non sono stati sottoposti a controlli? Come spiegare la negligenza del governo di fronte a questo disastro? In genere, le vittime del terremoto denunciano il fallimento dei soccorritori. Ci sono ancora persone intrappolate sotto le macerie. Loro [le autorità turche] uccidono persone con telecamere termiche, ma non sanno come salvare vite umane con queste stesse telecamere».

Nonostante questa tragedia, la peggiore che la regione abbia conosciuto da secoli, l’esercito turco continua le sue operazioni militari nel Kurdistan meridionale (in Iraq) così come nel Rojava siriano, regione anch’essa colpita dai terremoti, nonostante che il Partîya Karkerén Kurdîstan (PKK – Partito dei Lavoratori del Kurdistan) abbia dichiarato una tregua per permettere di assistere le popolazioni colpite. Infatti, il 9 febbraio, Cemil Bayik, co-presidente del consiglio esecutivo del Koma Civakên Kurdistanê, (KCK Unione delle Comunità del Kurdistan) aveva annunciato «La cessazione di tutte le azioni militari del PKK dopo il terremoto. Abbiamo deciso di non intraprendere alcuna azione fino a quando lo stato turco non attaccherà».  Ma, in un comunicato, le Hêzên Parastina Gel (Hpg, Forze di Difesa del Popolo del PKK) conferma che «L’esercito turco continua a compiere attacchi transfrontalieri nelle aree controllate dalle HPG, nel Kurdistan meridionale. Anche se il disastro ha causato un’immensa devastazione, l’esercito di occupazione turco continua i suoi attacchi. Le nostre posizioni di resistenza sono state attaccate con bombe proibite e armi pesanti. In questa situazione, le nostre forze sono state costrette a difendersi».  Secondo le HPG «Il 9 febbraio, l’esercito turco ha utilizzato due bombe non convenzionali contro postazioni di guerriglia a Çemço e vicino al villaggio di Sida. Anche le posizioni situate a Sheladizê, nella regione di Zap, così come la zona di resistenza di Girê sono state bombardate decine di volte da obici, armi pesanti e carri armati. I guerriglieri si sono difesi da questi attacchi, uccidendo in particolare un cecchino dell’esercito turco nei pressi del villaggio di Sida».

Inoltre, sempre più voci si levano per denunciare il proseguimento della campagna elettorale del presidente turco Recep Tayyip Erdogan in questo contesto di gravissima crisi umanitaria. Le elezioni legislative e presidenziali turche sono previste per il prossimo 14 maggio. Erdogan si candida alla rielezione.

Chi non lo voterà è certamente il kurdo Ahmet Türk, ex parlamentare e sindaco deposto del comune di Mardin, che ha visitato la città di Adiyaman (Semsûr) insieme ad alcuni parlamentari dell’HDP. La delegazione ha visitato il Centro di coordinamento delle crisi istituito dal Demokratik Bölgeler Partisi/ Partiya Herêman a Demokratîk (DBP – Partito delle regioni democratiche filokurdo) e dalle organizzazioni della società civile e Ahmet Türk ha dichiarato: «Come hanno detto tutti quelli che ho incontrato, lo Stato non esiste. E’ stato dichiarato lo stato di emergenza, impedendo agli aiuti della popolazione e delle organizzazioni non governative di raggiungere le vittime. Questo è stato fatto per dimostrare che l’AFAD (la protezione civile turca, ndr) se ne sta occupando. Stanno cercando di dimostrare la loro efficacia, ma ho appena ricevuto informazioni che persino le tende delle organizzazioni della società civile sono state confiscate e inviate all’AFAD. Stanno cercando di fingere che l’AFAD abbia portato queste tende. Cercano di nascondere alla società da dove proviene l’aiuto. Tuttavia, sappiamo tutti la verità. Anche la gente la conosce. Türk, che nel terremoto ha perso 17 familiari ad Adiyaman (Semsûr) ha espresso le sue condoglianze ai parenti delle vittime e ha concluso: «La nostra gente è stata molto sensibile a questa tragedia. Lo osserviamo e lo vediamo ovunque. La gente di Kızıltepe, Nusaybin, Cizre, Silopi, Diyarbakır e dell’intera regione ha organizzato da sola la solidarietà».

Nel suo ultimo rapporto sulla situazione per  la Turchia, il direttore regionale dell’Oms per l’Europa, il dottor Hans Kluge, ha affermato che «Oltre 31.000 persone hanno perso la vita nel disastro. Il numero dei feriti nelle 10 province meridionali colpite era salito a quasi 100.000.  Oltre il confine nel nord-ovest della Siria, il bilancio delle vittime  è stimato a quasi 5.000, ma tutte queste cifre probabilmente aumenteranno». E infatti gli ultimi dati si avvicinano alle 50.000 vittime.

Kluge  conclude; «I bisogni sono enormi, aumentano di ora in ora. Circa 26 milioni di persone in entrambi i Paesi hanno bisogno di assistenza umanitaria. Come parte della sua risposta, l’agenzia sanitaria delle Nazioni Unite ha  sostenuto gli sforzi per prevenire problemi sanitari emergenti  legati al freddo, all’igiene e ai servizi igienico-sanitari e alla diffusione di malattie infettive.  In Turchia, circa  un milione di persone ha perso la casa  e vive in rifugi temporanei, secondo le stime delle autorità turche,  80.000 persone sono ricoverate in ospedale, mettendo a dura prova il sistema sanitario, a sua volta gravemente danneggiato dal disastro».