Si avvicina la nazione della Catalogna?

[22 Dicembre 2017]

Dalla netta vittoria indipendendentista resa evidente dal voto in Catalogna emerge la conferma che in un’elezione che ha visto un record di partecipazione la sinistra catalanista ha avuto un ottimo risultato, il Partito socialista operaio spagnolo (unionista ma dialogante) non è andato male e Podemos potrebbe essere la forza che media tra indipendentisti vincitori e unionisti sconfitti.

A proposito di sconfitti. Il voto catalano è una disfatta per il re Felipe che lo ha arrogantemente imposto insieme al premier Mariano Rajoy e per il Partido Popular, ridotto a una forza insignificante fagocitata dal centro-destra di Ciudadanos, che è il primo partito grazie al voto della destra unionista degli spagnoli emigrati in Catalogna.

La Catalogna ha respinto violenza poliziesca, intimidazioni economiche e politiche e ricatti, dimostrando che l’indipendentismo catalano, fortemente radicato a sinistra, repubblicano, europeista, solidale e ambientalista, non è una buffonata come la Padania ormai rinnegata anche da Salvini ma un’aspirazione con forti radici storiche, culturali e politiche che un governo saggio non dovrebbe ignorare. E il re e il governo di Madrid hanno dimostrato di non essere saggi sfidando un popolo per umiliarlo.

Una Nazione catalana è ormai una necessità democratica, sancita da elezioni che qualcuno ha azzardatamente voluto brandendo i manganelli come ai tempi di Francisco Franco. Sarebbe bene rispettare un voto democratico – anche alla Commissione europea, l’altra grande sconfitta – e sarebbe bene che la nazione della Catalogna potesse nascere e vivere in una Spagna e in un Europa federali, anche se è improbabile che i repubblicani catalani possano convivere con una monarchia anacronistica che con la disastrosa avventura catalana ha dimostrato di essere ancora il prodotto e l’erede del fascismo franchista spagnolo.

Ripubblichiamo di seguito l’articolo “Perché l’indipendenza della Catalogna è inevitabile”, firmato da Xavier Molins

Pochi mesi fa ho scritto un articolo che ha avuto ottime recensioni in cui facevo riferimento al problema relativo al conflitto catalano e al punto in cui si trova visto che entrambe le parti hanno diverse regole del gioco, e che è impossibile raggiungere accordi comuni.

Oggi mi piacerebbe approfondire di più e vorrei arrivare a quello che penso essere l’epicentro del conflitto, cioè la differenza tra la società catalana e quella spagnola.

In politica si sono sempre differenziati due grandi blocchi, sinistra e destra. Peró si tratta di una classificazione semplicistica che limita la possibilità di utilizzare concetti più appropriati e piú comprensibili. Li chiamiamo sinistra o destra, con due diversi tipi di approccio, perché sono le posizioni che occupavano i due principali blocchi politici sortinel Parlamento francese dopo la rivoluzione.
Perórealmente la grande divisione, così come la gente interpreta la politica, é tra progressisti e conservatori.
E visto che mi piace molto la politica, ho fatto miei questi concetti, ma se dovessi definirli in modo eloquente e veloce, li spiegherei così:

Conservatorismo: pensiero politico in cui le leggi o le regole marcano il comportamento degli individui.
Progressismo: pensiero politico in cui il comportamento degli individui marca le leggi o le regole.

Un esempio di organizzazione conservatrice sarebbero le religioni. In esse, gli individui devono comportarsi come sta scritto nei testi sacri. Per quanti anni possano passare, le regole saranno le stesse e sono le persone che devono adattarsi alle leggi e non il contrario.

Un esempio, invece, di organizzazione progressista sono le imprese. Le politiche interne o le diverse forme di agire, si adeguano al comportamento degli individui. Le imprese osservano il comportamento della società per decidere quale tipo di prodotti o di servizi si adattano alla mentalità o alle esigenze attuali. Le regole delle aziende si adeguanoal mercato e non il contrario.
Prendiamo, per esempio,l’interpretazione del matrimonio omosessuale. Sará diversa a seconda della tendenza politica con cui si giudica. Un conservatore sosterrá sempre che il matrimonio è l’unione tra un uomo e una donna e tutto ció che é diversonon è un matrimonio perché cosí dice “la legge”. Così è stato sempre e sempre sará cosí.

Nell’ottica progressista, le leggi dovrebbero essere riviste per poter arrivare a questo nuovo modo di pensare e a un nuovoprogresso. Ancora di piú in virtú del fatto che, arrivati a questo punto della storia, è stato dimostrato che gli omosessuali non sono persone malate (come si é pensato per moltissimo tempo) ed è stato dimostrato che l’omosessualità è naturale come e quanto l’ eterosessualità. Quindi, le leggi devono essere riscritte e devono adeguarsi ai nuovi tempi e a una nuova mentalità.

È meglio essere progressisti che conservatori? No. E nemmeno il contrario.

Essere conservatore o progressista è una scelta personale che non ci fa sentire migliori rispetto al pensiero contrario. Indica semplicemente il modo come interpretiamo il mondo e la forma come pensiamo si dovrebbe organizzare la societá.

Ma un conservatore non è migliore rispetto a un progressista e viceversa.

Quel che è certo, tuttavia, è che la convivenza, sotto lo stesso tetto, di modi diversi di intendere la vita non sarà mai facile. Mai.

E non dico nulla di nuovo affermando che la Catalogna è un territorio progressista, mentre la Spagna è chiaramente un territorio conservatore.

È migliore la Catalogna della Spagna solo perché è progressista? No e nemmeno il contrario. Però è ovvio che le differenze di pensiero a volte sono insuperabili per la convivenza comune.

Oggi come oggi, alla base della rottura nel conflitto catalano c’è la celebrazione del referendum dell’1 di ottobre. Proprio qui si evidenzia la grande differenza di pensiero.

In Spagna, si dice che il referendum è illegale perché lo dice la costituzione. È la prova più affidabile del conservatorismo. Ci sono delle regole scritte da seguire e gli individui devono adeguarsi a ciò che sta scritto nella costituzione, come se i trattati firmati nel ‘78 fossero testi sacri portati direttamente dal Monte Sinai.

In cambio, in Catalogna, il supporto a un referendum sull’autodeterminazione è dell’80%, questo perché un progressista sarà sempre d’accordo nel riscrivere le leggi nel caso fosse necessario.
Il conflitto tra Catalogna e Spagna è lo scontro tra conservatorismo e progressismo. È la lotta tra chi non vuole cambiare niente e chi vuole riformare tutto. È il conflitto permanente tra chi vuole mantenere quello che ha e chi vuole cambiare tutto per il progresso.

La Spagna è uno Stato conservatore e centrista dove non c’é spazio per la voglia di progresso di un paese come Catalogna, per questo i diversi tentativi di ottenere il tanto atteso incontro tra Catalogna e Spagna sono stati un fallimento.

Per un conservatore è molto difficile accettare che regole del gioco e verità inconfutabili (come per esempio la Costituzione, la tradizione o le leggi non scritte) possono essere cambiate o sostituite per creare un nuovo ordine in cui concetti che essi stessi credevano immutabili, diventino obsoleti.

E allo stesso tempo, per un progressista, è molto difficile accettare l’esistenza di una barriera che non può essere abbattuta o leggi che non possono essere modificate o posti in cui é impossibile entrare.

L’indipendenza della Catalogna è inevitabile, perché non possono convivere due mentalità cosí tanto differenti, a meno che una delle due non voglia cambiare la sua.

A questo punto, vedo improbabile un cambio importante in entrambe le parti.

E questo perché credo che un cambiamento profondo in Spagna è impraticabile. Dubito anche che un giorno possa cambiare la costituzione che permetterebbe votare ai catalani fino al punto che diventi Repubblica, che rinunci alla monarchia, che perda tradizioni come quella delle corride (che peró in Catalogna sono gía state abolite), che accetti che Barcellona sia molto più internazionale di Madrid e, per esempio, che El Prat diventi il principale aeroporto in Spagna, che diventi uno stato federale dove ogni regione si autodetermina o che, alla fine, abbandoni il centralismo, il conservatorismo, il tradizionalismo.

E allo stesso tempo, non vedo i catalani rassegnati a non poter votare per cose che li riguardano direttamente, come per esempio rinunciare a essere una Repubblica, a rispettare che Barcellona non supereri mai Madrid a causa di vincoli imposti da una struttura dello Stato inflessibile, giacobina e immutabile. Non vedo i catalani rassegnarsi a sbattere sempre contro un muro che freni il loro essere progressisti, il loro innato spirito imprenditoriale, il loro desiderio di progredire continuamente. Non riesco a immaginare la Catalogna accettare l’onere di far parte di una struttura che,cosí come é definita, la obbligherá a stare sempre in seconda posizione visto che lo Stato dà priorità a un modello con una centralità stabilita già da molti anni fa.
È lecito, legittimo e accettabile creare uno Stato pensando che la centralità è un buon sistema per il bene comune dello stato stesso. Ma è anche lecito, legittimo e accettabile non voler far parte di questo Stato se sei convinto che il centralismo possa soffocare gli aneliti di progresso del tuo stesso territorio.

Catalogna e Spagna non cammineranno insieme mano nella mano, perché vanno verso mete diverse.
Se c’è un motivo per cui, oggi come oggi, il movimento indipendentista non è maggioranza in Catalogna, è perché ci sono ancora molte persone affettivamente e emozionalmente legate alla Spagna. C’é ancora una gran parte della popolazione catalana con legami storici, frutto dell’essere discendenti dell’immigrazione massiccia andalusa e mursiana degli anni ‘60 e ‘70 (tra cui la mia famiglia di parte materna).

Nella misura in cui va scomparendo questa motivazione nelle future famiglie l’indipendenza sarà maggioranza. Studi statistici situano un 90% a favore dell’indipendenza tra quelliche hanno i genitori e i nonni nati in Catalogna. Dall’altra parte, solo un 20% tra quelli in cui nessuno dei suoi discendenti è nato in Catalogna.

La missione inconfutabile della demografia, sarà quella che confermerá un 50% di favorevoli al movimento di indipendenza per stabilire una maggioranza fluida.

Per questo non ho mai capito perché Spagna non abbia permesso un referendum in Catalogna negli ultimi 10 anni, quando la vittoria era sicura e nemmeno capiró mai la fretta incomprensibile di coloro che governano Catalogna, di fare un referendum al più presto, sapendo che aspettare piú o meno 10-15 anni era assicurarsi una vittoria chiara alle urne.

Non ha più senso chiedersi se Catalogna sarà o no indipendente. È ovvio che prima o poi sarà un nuovo Stato, quando svanirà il forte sentimento di “spagnolismo” che hanno ancora coloro che sono nati fuori dalla Catalogna e i loro figli. Sará in quel momento, quando l’emozione resterá al margine, quando sarà impossibile difendere il fatto che un territorio così progressista come la Catalogna continui a rimanere incastrato in una struttura cosí conservatrice come quella dello Stato spagnolo.

Ora che non è più necessario chiedersi se Catalogna sarà indipendente o no, sono altre le domande che occupano l’interesse di molti. Le domande che ora dobbiamo farci sono il “come”, il “quando” e “a che condizioni”.

Per queste tre domande ho le mie personali risposte, i miei desideri che spero si trasformino in realtà.
Per quanto riguarda il “come”, desidererei con tutte le mie forze che fosse un processo al 100% pacifico. Perché l’indipendenza della Catalogna non merita che si versi una sola goccia di sangue. E nemmeno l’unità della Spagna.

Per quanto riguarda “a che condizioni”, anche qui ho un desiderio: mi piacerebbe che la Catalogna e la Spagna mantenessero una relazione stretta e fraterna. Perché la Spagna è un Paese incredibile, fatto da gente splendida, con una straordinaria cultura e migliaia di cose che ci uniscono. Quello tra Catalogna e Spagna non è stato un buon matrimonio, però tutti e due insieme potremmo essere stupendi fratelli.

E alla domanda sul “quando” la mia risposta é chiara: abbastanza presto affinché mio padre lo possa vedere.

di Xavier Molins*

*scrittore, viaggiatore e imprenditore catalano, il suo ultimo libro “La ambulancia” è basato su una storia vera al tempo della Guerra Civile Spagnola: p