Repubblica democratica del Congo: 13 milioni di affamati in un Paese che produce più cibo di quanto ne può consumare

Basterebbe lasciare la Rd in pace e smetterla con la sanguinaria rapina di risorse

[31 Maggio 2019]

La crisi alimentare che sta facendo strage (insieme a Ebola) nella Repubblica democratica del Congo (Rdc) è la seconda più grave al mondo dopo quella dello Yemen dove le bombe made in West sganciate dagli aerei sauditi e degli Emirati arabi unii continuano a fare strage tra la popolazione civile.

Secondo quanto ha detto a ONU Info Claude Jibidar rappresentante nella Rdc del World food programme  (Wfp/Pam), «I numerosi conflitti che scuotono il Paeseda più d due decenni e che hanno conosciuto un’intensificazione dal 2016, soprattutto nell’Est e nel Sud-Est, ohanno provocato uno spostamento drammatico delle popolazioni rurali che vivono di agricoltura. I contadini nella Rdc mangiano perché possono coltivare e raccogliere, ma abbiamo avuto fino a 4,5 milioni di persone sfollate in quelle zone rurali. Sono persone che non hanno potuto continuare a coltivare. Questo è continuato durante diverse stagioni agricole e nel tempo la situazione si è deteriorata».

Il Wfp/Pam ha lanciato l’allarme: «Circa 13 milioni di congolesi vivono nell’insicurezza alimentare estrema, 5 milioni dei quali sono bambini, e le valutazioni in corso mostrano che la tendenza all’aggravamento dell’insicurezza alimentare prosegue».

Per rispondere a questa crisi ignorata dal resto del mondo il Wfp/Pam ha rafforzato il suo aiuto alimentare e nutrizionale che quest’anno punta a raggiungere 5,1 milioni di persone, tra le quali 1,5 milioni riceveranno  assistenza diretta in cibo. L’agenzia Onu si concentra soprattutto sull’aiuto ai profughi interni, sia nei campi profughi, sia nei siti in cui fanno ritorno, trovando case distrutte e campi incolti.

Jibidar spiega che «Gli sfollamenti in Rdc sono frequenti ma non sono necessariamente di lunga durata. Ci sono dei conflitti spontanei che costringono la gente a fuggire dal loro villaggio. Quindi cerchiamo di aiutare la gente a ritornare a casa sua. Nella Rdc si possono fare due o tre raccolti all’anno, quindi se si aiuta la gente a piantare, nello spazio di qualche mese si da loro la capacità di poter prendersi cura di se stessi in termini di cibo».

Insomma, malgrado la complessità della crisi nella Rdc, il Wfp/Pam non salva solo delle vite, ma si sforza di cambiarle, in attesa che finisca l’infinita guerra per le risorse del Congo che milizie ed eserciti combattono per conto delle multinazionali energetiche e minerarie. L’Agenzia Onu lavora per «Aiuto umanitario –  sviluppo – pace. Sostenendo la sicurezza alimentare e la nutrizione attraverso l’agricoltura, l’autonomia delle donne e il consolidamento della pace». Il Wpf/Pac «Cerca di collegare gli aiuti ad azioni a più lungo termine per aiutare le persone a far fronte agli shock, siano essi shock legati a problemi climatici, conflitti e sfollamenti, compresi quelli causati dall’arrivo di popolazioni sfollate nelle comunità di accoglienza». E’ quello che in Italia qualcuno chiama “aiutiamoli a casa loro” senza praticarlo e come scusa per diffondere odio verso i più poveri e gli affamati.

Jibidar  racconta che è esattamente quel che non succede nella Rdc «Si hanno spesso situazioni in cui una famiglia di 6 o 7 persone ospita una dozzina di altre persone, e naturalmente condivideranno le loro risorse, facendo così in modo che la famiglia ospitante riduca le proprie risorse molto rapidamente e si ritrovi in una situazione di insicurezza alimentare. Quindi aiutare queste persone a produrre di più e produrre meglio, ad avere un po’ più di risorse per prendersi cura di questi sfollati, rende possibile non avere una situazione umanitaria catastrofica dopo pochi mesi».

Insieme alla Fao, il Wfp/Pam ha intensificato i suoi interventi in materia di resilienza rivolti a 450.000 piccoli agricoltori e alle loro famiglie.  Secondo il Wfp/Pam, «La Rdc potrebbe produrre tutto il cibo di cui ha bisogno e diventare un esportatore di derrate alimentari». Basterebbe lasciarlo in pace e smetterla con la sanguinaria rapine di risorse iniziata col colonialismo belga e continuata col neocolonialismo e i regimi cleptomani sostenuti dall’Occidente.

Jibidar sottolinea anche l’importanza di investire anche nella resilienza e conclude: <Apportare un’assistenza alimentare ogni anno nella Rdc non è sostenibile. Quello che vorremmo è garantire che queste persone siano in grado di prendersi cura di se stesse e che possiamo rivolgerci ad altre priorità piuttosto che nutrire le persone in un Paese che può produrre più cibo dei quello che la sua popolazione può mangiare».