Porto sicuro: in Libia crimini di guerra e contro l’umanità commessi dal 2016

I risultati dalla missione conoscitiva dell’Onu: libici, migranti, richiedenti asilo e rifugiati sono soggetti a una sequela di abusi

[5 Ottobre 2021]

Secondo il nuovo rapporto della Missione d’inchiesta indipendente sulla Libia, «Vi sono fondati motivi per ritenere che in Libia siano stati commessi crimini di guerra, mentre le violenze perpetrate nelle carceri e contro i migranti possono costituire crimini contro l’umanità»

Il presidente della missione conoscitiva dell’Onu, Mohamed Auajjar, ha denunciato che «Le nostre indagini hanno stabilito che tutte le parti in conflitto, compresi Stati terzi, combattenti stranieri e mercenari, hanno violato il diritto internazionale umanitario, in particolare i principi di proporzionalità e distinzione, e alcune hanno anche commesso crimini di guerra».

La missione d’inchiesta, composta da Aujjar e da altri due esperti di diritti umani: Chaloka Beyani e Tracy Robinson, ha raccolto ed esaminato centinaia di documenti, intervistato più di 150 persone e condotto indagini in Libia, Tunisia e Italia. Al centro del loro lavoro d’inchiesta c’era la condotta delle parti nei conflitti armati avvenuti in tutta la Libia dal 2016 in poi e dicono che «La violenza ha avuto un impatto drammatico sui diritti economici, sociali e culturali dei libici, come evidenziato dagli attacchi a ospedali e scuole». Auajjar ricorda che «I civili hanno pagato un prezzo pesante durante le ostilità del 2019-2020 a Tripoli, così come durante altri scontri armati nel Paese dal 2016 in poi. Gli attacchi aerei hanno ucciso dozzine di famiglie. La distruzione delle strutture sanitarie ha avuto un impatto sull’accesso all’assistenza sanitaria e le mine antiuomo lasciate dai mercenari nelle aree residenziali hanno ucciso e mutilato i civili».

Inoltre, la Missione d’inchiesta ha esaminato le violazioni nel contesto della privazione della libertà e ha documentato la situazione degli sfollati interni, quella dei migranti, dei rifugiati e dei richiedenti asilo. Beyani sottolinea che «Migranti, richiedenti asilo e rifugiati sono soggetti a una sequela di abusi in mare, nei centri di detenzione e per mano dei trafficanti. Le nostre indagini indicano che le violazioni contro i migranti sono commesse su vasta scala da attori statali e non statali, con un alto livello di organizzazione e con l’incoraggiamento dello Stato, il che suggerisce crimini contro l’umanità».

La Missione d’inchiesta ha anche trovato «Prove di inquietanti modelli di violenza commessi nelle carceri libiche, con detenuti torturati quotidianamente e alle loro famiglie viene impedito di visitarli». Robinson denuncia che «La detenzione arbitraria nelle prigioni segrete e le condizioni di detenzione insopportabili sono ampiamente utilizzate dallo Stato e dalle milizie contro chiunque sia percepito come una minaccia ai loro interessi o opinioni. La violenza nelle carceri libiche è commessa a una tale scala e con un tale livello di organizzazione che potrebbe anche costituire un crimine contro l’umanità».

In quello che qualche politico e politica italiani di destra si ostinano a continuare a definire un porto sicuro, non sono al sicuro nemmeno i libici: «L’insicurezza cronica in Libia ha portato allo sfollamento interno di centinaia di migliaia di persone che sono finite in aree mal attrezzate per accogliere grandi spostamenti di popolazione. Alcuni gruppi etnici, come i Tawergha, i Tebus e gli Alahali, sono sfollati dal 2011 e continuano a subire gravi abusi. Le prove indicano che la Libia non ha intrapreso azioni per garantire la sicurezza degli sfollati interni e il loro ritorno al luogo di origine, in violazione dei suoi obblighi ai sensi del diritto internazionale».

Il rapporto della Missione d’inchiesta – che sarà presentato integralmente il 7 ottobre all’United Nations  Human Right Council  – documenta anche «Il reclutamento e la partecipazione diretta di bambini alle ostilità, le sparizioni forzate e le uccisioni extragiudiziali di donne importanti e il persistere di forme di violenza sessuale e di altro tipo contro le popolazioni vulnerabili, comprese le persone LGBTQI». La Missione si è inoltre interessata con particolare attenzione delle accuse di crimini atroci commessi nella città di Tarhuna (a sud-est di Tripoli) tra il 2016 e il 2020.

Aujjar, Chaloka Beyani e Tracy Robinson evidenziano che «Con la recente installazione del Governo di unità nazionale, la Libia è entrata in una fase di dialogo nazionale e di unificazione delle istituzioni statali. Anche le autorità giudiziarie libiche stanno indagando sulla maggior parte dei casi documentati nel rapporto della Missione d’inchiesta. Tuttavia, il processo per ritenere responsabili gli autori di violazioni e abusi deve affrontare sfide significative».

La Missione d’inchiesta ha identificato individui e gruppi, sia libici che stranieri, che potrebbero essere responsabili delle violazioni, degli abusi e dei crimini commessi in Libia dal 2016, un elenco che resterà riservato «fino a quando non si presenterà la necessità della sua pubblicazione o condivisione con altri meccanismi di responsabilità».

Auajjar conclude: «Mentre i libici si sforzano di garantire la pace, garantire la responsabilità per le gravi violazioni dei diritti umani e i crimini internazionali commessi nel Paese è più necessario che mai per scoraggiare ulteriori violazioni e promuovere la pace e la riconciliazione a lungo termine. Esortiamo la Libia a intensificare i suoi sforzi per chiedere conto ai responsabili. E’ inoltre essenziale che la comunità internazionale continui a fornire supporto alle autorità giudiziarie libiche».

Facendo notare che «Un’indagine globale sui diritti umani è uno strumento efficace per promuovere la responsabilità e promuovere la pace e la sicurezza a lungo termine», il rapporto raccomanda al Consiglio per i diritti umani di «Estendere il mandato della Missione d’inchiesta per un altro anno».