Perù: ha vinto (forse) Pedro Castillo

Testa a testa tra una “strana” sinistra e la “solita” destra. Battuta di un soffio Keiko Fujimori

[9 Giugno 2021]

Con il 99,28% dei voti conteggiati il candidato alla presidenza del Perù, Pedro Castillo, stanotte sembra aver definitivamente distaccato la sua avversaria Fuerza Popular (destra), Keiko Fujimori.

Un testa a testa che probabilmente continuerà anche dopo l’ufficializzazione dei risultati, visto che la Fujimori, ha già ha espresso in diverse interviste la sua preoccupazione per una presunta «serie di irregolarità» in fase di esame di verbali del voto.

Il maestro sindacalista indio Castillo ha fatto il miracolo: è arrivato in testa al primo turno nonostante tutti lo dessero per spacciato e ha vinto al secondo turno nonostante una mobilitazione mediatica ed economica mai vista contro di lui che ha portato la stessa classe dirigente che ha sprofondato il Perù in una crisi infinita e in una corruzione endemica a appoggiare l’indigesta Fujimori. Meglio una “giappnese corrotta” che in “indio comunista”.

Castillo, nonostante i sondaggi fossero molto incerti, sembrava spacciato anche all’inizio del conteggio dei voti del secondo turno, quando – con il 42% dei voti scrutinati –  la Fujmori era in testa, poi sono arrivati i voti delle periferie, delle aree rurali povere e degli indios delle Ande e della selva amazzonica e il sindacalista è stato sempre avanti, di poco ma costantemente.

Secondo l’ultimo aggiornamento dell’Oficina Nacional de Procesos Electorales (ONPE), il candidato per Peru Libre, Castillo, ha ottenuto 8.719.076 voti validi, pari al 50,25%, la Fujimori ha ottenuto 8.631.303 voti validi, il 49,74%.

Mentre la Fujimori parla di brogli, Castillo ha ringraziato quanti hanno vigilato sulla volontà della popolazione espressa nelle ultime elezioni del 6 giugno e ha ribadito l’appello alle autorità elettorali al rispetto della democrazia: «Secondo i nostri rappresentanti, abbiamo il rapporto ufficiale del Partito in cui il popolo si è imposto in questa impresa ed è per questo che chiedo di non cadere nella provocazione», ha detto rivolto ai sostenitori di Peru Libre e della sinistra che da subito, dopo i primi risultati parziali, sono scesi in piazza per chiedere il rispetto del voto popolare, denunciando a loro volta brogli da parte della destra.

Quello che tutti in realtà temono è che l’esercito possa approfittare di eventuali disordini e di un risultato elettorale incerto per fare un altro golpe, questa volta di destra.

La borghesia peruviana si è mobilitata come non mai contro il candidato “comunista” e indigeno, accusandolo di voler trasformare il Perù in un nuovo Venezuela chavista o di voler ritornare ai tempi della dittatura militare socialista peruviana, o addirittura di essere stato complice dei terroristi di Sendero Luminoso che, come per miracolo, hanno fatto la loro ricomparsa proprio alla vigilia del voto. Ma Castillo non può essere certamente definito “comunista” appartiene a una sinistra nazionalista atipica, con idee a volte indigeribili per i progressisti europei e statunitensi.  Una sinistra che come simbolo di emancipazione non ha la falce e martello ma un mozzicone di matita in campo rosso,  che ha fatto una campagna rivolta soprattutto ai poveri, ottenendo il voto anche il consenso di comunità che finora avevano votato per partiti conservatori, regionali, indigenisti e localisti. E’ così che Castillo ha probabilmente vinto, trovandosi presidente di un Paese diviso come non mai e uscito sfiancato da una crisi istituzionale frutto di un sistema politico instabile, corrotto e ingiusto, che ha aumentato le disuguaglianze in maniera estrema, e che i poveri del Perù hanno rifiutato votando il maestro sindacalista col cappello. Prendendosi il lusso di un po’ di speranza.