Mozambico: verso un milione di sfollati a Cabo Delgado

Centinaia di migliaia di persone fuggite da una guerra “misteriosa” in una regione devastata dai cicloni

[23 Marzo 2021]

L’United Nations high commissioner for refugees (Unhcr) ha avvertito che è urgente affrontare subito la crescente crisi umanitaria nella provincia di Cabo Delgado, nel Mozambico settentrionale, dove una rivolta islamista in corso ha costretto centinaia di migliaia di persone ad abbandonare le loro case.

Gli assistant high commissioners Gillian Triggs e Raouf Mazou, appena tornati dal Mozambico, hanno ascoltato storie scioccanti dei sopravvissuti a una crisi ignorata che avviene in piena pandemia di Covid-19 e dopodiversi cicloni devastanti.

Triggs e Mazou hanno denunciato che «La violenza è in aumento, con il numero di sfollati interni (IDP) che è aumentato dai circa 70.000 circa un anno fa, a quasi 700.000 oggi, e dovrebbe raggiungere un milione entro giugno.  Se si guarda alla velocità con cui stiamo assistendo all’aumento del numero di sfollati interni, sappiamo che la finestra di opportunità che abbiamo si sta chiudendo».

L’insurrezione islamista degli al-Shabaab  nel nord del Mozambico è iniziata nel 2017 e più di 2.000 persone sono state uccise. Ma la Triggs fa notare che in realtà  «Non è chiaro chi siano gli insorti, come siano supportati o cosa vogliano».  Questo gruppo misterioso – che ha connessioni con gli  al-Shabaab  della Tanzania – si è comunque reso responsabile di decapitazioni, uccisioni, stupri e altre atrocità, attuando pratiche atroci che copiano quelle dello Stato Islamico.

Gli sfollati, più della metà dei quali bambini, sono fuggiti in barca o a piedi verso zone più sicure più a sud nella provincia di Cabo Delgado. La maggior parte, circa il 90%, ha trovato rifugio presso familiari  e amici che vivono nelle aree urbane o in comunità ospitanti nei villaggi. Il governo del Mozambico sta realizzando siti per ospitare gli sfollati e ha anche trasferito alcune persone dalle aree sovraffollate a un insediamento, dove vivono in condizioni terribili, senza riparo, cibo, vestiti, acqua e servizi igienici. La Triggs ha sottolineato che «Mentre lì le autorità hanno distribuito cibo a dicembre, da allora non si sono verificate ulteriori distribuzioni, né da parte del governo né del  World Food Programme (WPF) dell’Onu». Inoltre, ci sono sempre più figli orfani e abbandonati dei quali ormai si prendono cura solo le nonne. La  Triggs ha raccontato il caso di un bambino di pochi mesi che vive con la nonna: «Sua figlia era stata uccisa nel conflitto. Il padre del bambino era stato ucciso, decapitato, e la nonna è ora in questo periodo di lutto, c<che sta ercando di prendersi cura di questo bambino senza latte,  in un posto dove macinano ortaggi a radici per i bambini, causando loro la diarrea ed esponendoli a ogni sorta di altre cose».

Ma in questa tragedia umana dimenticata non mancano piccole luci di speranza: la Triggs ha riferito di un progetto per fornire agli sfollati la documentazione ufficiale che consentirà loro di accedere all’istruzione, ai trasporti e ai servizi sociali.  Ma il governo mozambicano non è certo che, data l’instabilità, le persone potranno tornare a casa e Mazou ha sottolineato che è necessario un maggiore sostegno internazionale e che «Un appello umanitario per 254 milioni di dollari è finanziato solo per il 5% circa. Le autorità hanno istituito un’agenzia per lo sviluppo del Mozambico settentrionale, nel tentativo di affrontare alcune delle cause profonde della crisi, tra cui la mancanza di sviluppo e l’accesso alle risorse. Quello che dobbiamo affrontare ora è la necessità di assistenza umanitaria immediata. e anche pensare al lungo periodo per coloro che possono rimanere nei luoghi in cui si trovano adesso».

Dietro a questi ritardi ci sono anche gli scontri politici tra una provincia governata da sempre dall’opposizione della Resistência Nacional Moçambicana (Renamo), l’ex guerriglia di destra filo-portoghese, e il governo centrale del Frente de Libertação de Moçambique (Frelimo) il movimento (ex) marxista che ha guidato la lotta di liberazione.

Intanto, come racconta  Herculano che, con  sua moglie Isabella e i suoi 10 figli e  8 nipoti è lasciandosi alle spalle un villaggio del distretto di Quissanga dove tutte le case sono state rase al suolo dagli al-Shabaab, «Siamo fuggiti a causa della violenza. Tutto quello che avevo, l’ho perso. Le case sono state bruciate e le persone torturate. Abbiamo visto gli insorti correre dietro ai bambini per reclutarli. Temevamo per la vita dei nostri figli. Isabella racconta che «Quando siamo arrivati ​​a Pemba, i nostri piedi erano gonfi e abbiamo visto molti bambini non accompagnati sul ciglio delle strade». Per 10 mesi, Herculano e tutta la sua famiglia hanno condiviso una piccola casa con altre 40 persone, prima di essere trasferiti in un insediamento per IDP nel distretto di Ancuabe, a circa 110 km da Pemba.

Dall’ottobre dello scorso anno, il governo mozambicano ha trasferito gli sfollati interni in insediamenti situati in 9 distretti di Cabo Delgado. L’Unhcr  sta monitorando la situazione per rispondere ai bisogni degli sfollati e delle comunità ospitanti e dice che «La crisi umanitaria a Cabo Delgado è stata aggravata dagli attacchi che continuano a seguito dei problemi economici esacerbati dalla pandemia di Covid-19. La regione si sta ancora riprendendo dagli shock climatici, inclusi cicloni, inondazioni e focolai ricorrenti di malattie trasmesse dall’acqua. Donne e ragazze sono state rapite, costrette a sposarsi, in alcuni casi violentate o sottoposte ad altre forme di violenza sessuale. La popolazione sfollata rimane significativamente vulnerabile alla violenza di genere, sia quando viene costretta a fuggire sia quando è sfollata. Le donne esprimono preoccupazione per la mancanza di illuminazione negli insediamenti e per il fatto che non si sentono al sicuro la sera».

L’Unhcr  sostiene i team che si occupano di prevenzione della violenza di genere, protezione dei minori e che educano la popolazione alla lotta allo sfruttamento sessuale. L’agenzia Onu fornisce anche assistenza umanitaria di emergenza, distribuendo materiali per rifugi e generi di prima necessità come teloni, materassini, coperte, set da cucina, secchi, taniche e lampade solari.

Mazou e la Triggs hanno visitato il capoluogo della provincia, Pemba e Nanjua B, un sito di trasferimento ad Ancuabe che ospita 951 famiglie, e dove si sono stabiliti Herculano e Isabella. La Triggs ribadisce che «Questa è una vera tragedia umanitaria. Un disastro che comporta tutti i ogni tipo di esigenze di protezione. Un’altra donna che ho incontrato si prende cura del figlio di uno sconosciuto che ora è orfano. Questo è comune qui, dove le donne si prendono cura dei figli l’una dell’altra, dove si sono persi i genitori ».

Mazou aggiunge: «Quel che serve sono risorse aggiuntive. Noi, come Unhcr, stiamo lavorando con il governo, con le altre organizzazioni internazionali per fornire supporto, per fornire aiuto. Ma le risorse sono necessarie, molte risorse sono necessarie».

Herculano ricordare con nostalgia la sua vita a Quissanga, dove faceva il contadino e il falegname, aveva due case ed era in grado di provvedere alla sua famiglia allargata. Accanto al loro rifugio a Nanjua B ha piantato un piccolo orto dove coltiva mais e sesamo per aiutare a nutrire la sua famiglia e conclude: «Per me è difficile, perché da quando sono qui non sono riuscito a guadagnare nemmeno un centesimo. Vogliamo la pace e vivere liberi».