Migranti e rifugiati: in Libia violati i diritti umani. Onu: respingimenti illegali, guardia costiera libica implicata

E nel Sahel non va meglio. Guterres: «Stiamo perdendo terreno di fronte alla violenza anche a causa del cambiamento climatico»

[26 Settembre 2019]

Intervenendo con un videomessaggio all’Human Rights Council, l’inviato speciale del segretario generale dell’Onu in Libia, Ghassan Salamé, ha espresso tutta la sua preoccupazione per la sorte dei migranti in Libia – quello che qualcuno fino a poche settimane fa si ostinava a chiamare “porto sicuro” – «in particolare per quelli che vengono intercettati in mare e vengono rinviati sul territorio libico, dove rischiano i peggiori trattamenti».

Salamé ha denunciato che «Il trasferimento dei migranti intercettati in mare dai guardiacoste libici (che sono stati equipaggiati e finanziati dall’Italia, ndr) verso dei centri di detenzione ufficiali e non ufficiali continua a suscitare delle vive preoccupazioni»-

Secondo il capo dell’United Nations support mission in Libya (Unsmil), «I migranti e i rifugiati rischiano di essere vittime di esecuzioni extragiudiziarie, di torture e di altri cattivi trattamenti, di detenzione arbitraria e di privazione illegale della libertà, di stupri e di altre forme di violenze sessuali e sessiste. Rischiano anche la schiavitù e il lavoro forzato, ma sono anche vittime di estorsione e di sfruttamento. Gli autori di queste violazioni sono in particolare degli agenti dello Stato, dei membri di gruppi armati, dei passeur e dei trafficanti».

Anche l’australiana Kate Gilmore, vice alto commissario per i diritti umani, ha denunciato che i respingimenti verso l’inferno della Libia – un Paese di fatto in una guerra civile che coinvolge potenze straniere –  stanno continuando: «Malgrado l’escalation del conflitto dei migranti vengono intercettati in mare di guardiacoste libici. I migranti e I rifugiati vengono in seguito avviati verso dei centri di detenzione già sovraffollati, privi di ventilazione adeguata, di impianti sanitari appropriati, di cibo sufficiente, di acqua potabile e di cure sanitarie. Vengono sottoposti non solo a una detenzione arbitraria indefinita, ma anche a gravi violazioni dei diritti umani quali la tortura o cattivi trattamenti, l’estorsione, gli abusi e lo sfruttamento sessuale, la tratta e il contrabbando». Sembra la descrizione di un lager nazista o di un gulag staliniano.

Secondo i dati dell’High Commissioner for Human Rights of the United Nations guidato da Michelle Bachelet, «Sui 4.900 migranti attualmente detenuti in condizioni inumane in Libia, più di  3.500 sono imprigionati in centri delle zone vicine a dei conflitti. Mentre un migrante detenuto su cinque è un bambino  e la maggioranza di loro si trovano dentro o in prossimità a accampamenti di milizie armate o a depositi di munizioni».

La Gilmore e Salamé chiedono che, nel nome dell’umanità, non si faccia quel che chiedono Salvini e la Meloni sventolando un rosaio con la croce sulla quale è inchiodato un profugo ebreo-palestinese e ricorda che «Il 2 luglio scorso, un raid aereo contro un centro di detenzione che accoglieva 600 migranti a Tajoura ha fatto  53 morti e 87 feriti. Tutte le parti in conflitto conoscevano molto bene la localizzazione di questo centro di detenzione e sapevano che le persone detenute a Tajoura erano dei civili. E’ evidente il carattere premeditato di questo “incidente”, il più sanguinario delle attuali ostilità».

In queste condizioni, i due alti responsabili dell’Onu chiedono «La chiusura di tutti i centri di detenzione dei migranti in Libia» e si sono complimentati per la decisione presa il primo agosto dal ministro degli interni libico di chiudere tre centri di detenzione a Misurata,  Tajoura e Khoms, ma la Gilmore avverte che «Questa decisione deve essere messa in atto urgentemente e incoraggiamo le autorità a impegnarsi in un piano di emergenza mirante a chiudere progressivamente tutti i centri di detenzione in Libia».

Tuttavia, l’Onu sottolinea che la chiusura dei centri di detenzione in Libia deve parallelamente essere accompagnata da misure per controllare che nessuno sia rinviato nel Paese dopo essere stato soccorso nel Mediterraneo, conformemente al principio del “non-respingimento” e la  Gilmore  precisa rivolta chiaramente all’Italia e all’Europa: «Le restrizioni imposte alle attività di salvataggio dello Organizzazioni umanitarie di ricerca e salvataggio dovrebbero essere tolte».

Anche perché la “messa in sicurezza” dei Paesi cuscinetto che avrebbero dovuto aiutare l’Italia e l’Europa a fermare i migranti nel Sahel e la crescita dei movimenti jihadisti si è rivelata un costosissimo disastro- E’ quanto è emerso da un summit di alto livello sul Mali e il Sahel ospitato all’Onu nell’ambito dell’Assemblea generale e durante il quale i segretario generale  António Guterres ha sottolineato: «Siamo tutti molto preoccupati per la continua escalation di violenza nel Sahel e per la sua espansione verso i Paesi del Golfo di Guinea. Temo che abbiamo collettivamente fallito nell’affrontare le cause profonde della crisi  – la povertà. La mancanza di governance, l’impunità – che nutrono la crescita dell’estremismo violento. I gruppi terroristi strumentalizzano i conflitti locali e si posizionano a difesa delle comunità. Tutto questo è aggravato dal cambiamento climatico. La rarefazione delle risorse naturali esacerba le tensioni. In Nigeria, l’anno scorso gli scontri tra allevatori e agricoltori hanno fatto più vittime di Boko Haram».

Secondo Guterres, «Dappertutto, sono i civili a pagarne il prezzo. Nei soli Paesi del G5 Sahel (Burkina Faso, Mali, Mauritania, Niger e Ciad), il numero di morti civili tra il 2012 e il 2018 si è moltiplicato per 4. Più di 5 milioni di persone hanno bisogno di aiuto umanitario, più di 4 milioni sono state sfollate, 3 milioni di bambini non sono scolarizzati e circa 2 milioni di persone sono in situazione di insicurezza alimentare. Siamo chiari, stiamo perdendo terreno di fronte alla violenza, dobbiamo raddoppiare gli sforzi. Questi sforzi devono essere fin da subito centrati sul fronte politico, essendo la risoluzione del conflitto maliano essenziale allo stabilimento di una pace regionale durevole. Il dialogo politico nazionale inclusivo lanciato la settimana scorsa  deve aprire la strada a dei progressi nell’attuazione dell’accordo di pace. La revisione costituzionale sarà indispensabile per atuare delle riforme decisive. Mi complimento per le azioni intraprese dalle autorità maliane con il sostegno della Mission des Nations Unies au Mali (Minusma) per far cessare le violenze, proteggere i civili e promuovere la riconciliazione nel centro del Paese.

Il segretario generale dell’Onu giudica necessario rafforzare la cooperazione regionale e internazionale e ha detto che «La forza congiunta del G5 Sahel resta cruciale per combattere i gruppi armati estremisti e i terroristi. Questa forza ha bisogno di maggiore sostegno, soprattutto di finanziamenti. Credo che bisogna riconoscere che la lotta contro il terrorismo condotta dal G5 Sahel non è solo una questione dei Paesi del G5 Sahel, non è nemmeno solo una questione regionale o africana, è una questione globale. Le forze del G5 Sahel ci proteggono tutti dal terrorismo. Se queste forze non hanno i mezzi per lottare efficacemente contro il terrorismo, le minacce si estenderanno ben oltre la regione e sono delle minacce alla sicurezza globale, collettiva del nostro mondo».

Poi c’è il problema dell’aiutiamoli a casa loro: i fondi promessi dai Paesi sviluppati per l’assistenza umanitaria nel  Sahel non vengono davvero inviati tutti. Guterres conclude: «Il Sahel ha bisogno dell’unità e dell’impegno di tutti. Attualmente sono in campo molti strumenti e meccanismi. Tutti sono complementari e meritano di essere sostenuti e valorizzati. Il tempo sta finendo ed è in uno spirito di complementarietà e di unità che possiamo fermare la spirale di violenza e di sofferenza nella regione».