Global Witness: riconoscere i lapislazzuli come un minerale di conflitto

I lapislazzuli insanguinati dell’Afghanistan finanziano signori della guerra e talebani

Il governo di Kabul non controlla adeguatamente l’immensa ricchezza mineraria del Paese

[22 Giugno 2016]

La cosiddetta maledizione delle risorse colpisce i Paesi ricchi di abbondanti risorse naturali, ma nei quali la debolezza delle istituzioni e la lotta per il controllo delle risorse aggravano la corruzione, riducono i progressi e lo sviluppo economico e politico e possono aumentare la frequenza, la gravità e la durata dei conflitti. La conferma viene dalla nuova indagine “Afghanistan famous lapis mines funding the taliban and armed group”, pubblicata da Global Witness, che rivela che le miniere di lapislazzuli dell’Afghanistan, risalenti anche a 6.600 anni fa, sono una delle cause della corruzione, della guerra e dell’estremismo armato nel Paese. Global Witness ha scoperto che «I talebani e altri gruppi armati riescono a guadagnare fino a 20 milioni di dollari all’anno dalle miniere di lapislazzuli dell’Afghanistan, la principale fonte al mondo delle brillanti pietre blu dei lapislazzuli, che vengono utilizzate nella gioielleria in tutto il mondo. Di conseguenza, le pietre di lapislazzuli afghani dovrebbero essere classificate come un minerale di conflitto».

Le miniere di lapislazzuli si trovano soprattutto nella regione del Badakhshan, che una volta etra considerata  una delle zone più stabili dell’Afghanistan, anche al culmine del dominio teocratico dei talebani. Poi, la concorrenza violenta per il controllo delle lucrose miniere e delle loro entrate, tra i signori della guerra tribali, i parlamentari locali e i talebani ha profondamente destabilizzato la provincia e ne ha fatto uno dei focolai della rivolta. Con i talebani che controllano i dintorni  delle miniere e le strade principali delle aree minerarie, ora c’è il rischio reale che le miniere possano cadere nelle loro mani.

Le miniere Kuran wa Munjan del Badakhshan sono state rilevate nei primi mesi del 2014 da un ex capo del distretto governativo della polizia della zona mineraria, il comandante Malek, che è un uomo dell’ex ministro degli Interni e della difesa Bismillah Khan. Prima del 2014 le miniere di lapislazzuli erano controllate da Zulmai Mujadidi, un potente deputato afghano di Badakhshan. Suo fratello Asadullah Mujadidi è stato nominato comandate della Mining Protection Force, ma l’indagine Global Witness suggerisce che «Ha invece usato la sua posizione per estrarre profitti per conto proprio e quello dei suoi alleati, piuttosto che per conto del governo afghano o della popolazione locale».

Un altro deputato del Badakhshan, Zekria Sawda, e il presidente della Commissione delle risorse e dell’ambiente naturale della Camera afghana, controlla una concessione di tormalina a Badakhshan e aveva stretti legami con Zulmai Mujadidi.

Sia Zekria Sawda che Asadullah Mujadidi negano il loro coinvolgimento nel settore minerario nel Badakhshan, o con i gruppi armati illegali. Zulmai Mujadidi ha respinto con forza ogni accusa e ha detto a Global Witness che si tratta di propaganda «Che ha origine da chi è stato influenzato dai miei avversari politici». Il Generale Mohammadi non ha commentato le accuse, mentre il comandante Malek non ha potuto essere raggiunto dall’ONG anticorruzione per richiedere le sue opinioni.

Global Witness dice che «I gruppi armati nel 2014 hanno ottenuto quasi 20 milioni di dollari da queste miniere, tra i quali 1 milione stimato per  talebani, mentre il governo afghano ha guadagnato solo 20 milioni di entrate estrattive dichiarate su tutto il territorio dell’Afghanistan nel 2013, l’anno più recente per il quale il governo ufficiale ha reso disponibili le entrate del settore minerario.

Le entrate derivanti dalle miniere di lapislazzuli che vanno ai talebani continuano ad aumentare e nel 2015 sono arrivate ad almeno  4 milioni di dollari, a metà 2016 i talebani si sono ormai impossessati di oltre il  50% delle entrate dirette dalle miniere.

Nei primi mesi del 2015 il governo afghano ha imposto il divieto di commercio e estrazione di lapislazzuli ed ha chiuso la principale via per la loro esportazione nella valle di Faizabad. Ma da allora, il commercio illegale è aumentato ed è sempre più fuori controllo,  anche se con un volume ridotto, grazie al contrabbando sui passi dell’Anjuman  e del  Panjshir, la provincia più sicura del paese.

Secondo l’inchiesta di Global Witness ci sono le prove che «Le miniere del Badakhshan sono una priorità strategica per il cosiddetto Stato Islamico», infatti nell’area opera la banda dell’Islamic State of Khorasan Province (IS-K), affiliata al Daesh siriano/irakeno. Global Witness avverte: « A meno che il governo afghano non agisca rapidamente per riprendere il controllo, la battaglia per le miniere di lapislazzuli è destinata ad intensificarsi e a destabilizzare ulteriormente il Paese, così come a fare da base all’estremismo».

Le miniere di lapislazzuli del Badakhshan  sono il microcosmo di un problema che è diffuso in tutto l’Afghanistan, dove l’estrazione di minerali è la seconda più grande fonte di reddito dei talebani. Invece, sottolinea il rapporto, «Il denaro dalle miniere dell’Afghanistan dovrebbe essere un’importante fonte di ricchezza per finanziare servizi essenziali, compresa la sicurezza, la salute e l’istruzione. L’Afghanistan è seduto su depositi di minerali, petrolio e gas di un valore di oltre un trilione di dollari, che, se sviluppati adeguatamente, potrebbero fornire al governo oltre 2 miliardi di dollari di fatturato l’anno. Ma la corruzione dilagante e l’incapacità di garantire la sicurezza dei siti minerari significa che le miniere sono stati prese di mira da gruppi di insorti e ora sono una delle principali cause dei conflitti e dell’estremismo».

La nuova legge mineraria afgana, che è attualmente in corso di modifica da parte del governo, non prevede le azioni necessarie per contrastare questa minaccia, avverte il rapporto.

Stephen Carter, leder della Campagna Afghanistan di Global Witness, evidenzia che «Queste miniere di lapislazzuli sono uno degli assets più ricchi del popolo afgano e dovrebbero guidarne lo sviluppo e la prosperità. Invece, la bella pietra di lapislazzulo  è diventata un minerale di conflitto. Le miniere forniscono una piccola frazione dei benefit che dovrebbero e sono diventate una delle principali fonti di conflitto e risentimento, che sta provocando la rivolta e minando la speranza per la stabilità in Afghanistan, il che potrebbe avere conseguenze a livello globale. A meno che il governo afghano agisca rapidamente, queste miniere non rappresentano solo un’occasione persa, ma una minaccia per il futuro di tutto il Paese. Il governo afgano deve urgentemente ristabilire lo stato di diritto in questi siti minerari e rafforzare la vigilanza e la trasparenza nel settore minerario in tutto il Paese, per assicurarsi che queste risorse naturali servano al  popolo afghano a cui appartengono».

Global Witness chiede al governo afgano e ai suoi alleati internazionali – Italia compresa – di «fare dei problemi riguardanti le miniere dell’Afghanistan una priorità fondamentale per affrontare questa crisi. In particolare, la legge mineraria corrente non riesce a mettere in atto le garanzie fondamentali di impegno trasparenza, responsabilità, e per la comunità, che sono necessari per garantire e sviluppare il settore minerario dell’Afghanistan». Global Witness chiede al governo di Kabul di «Garantire la pubblicazione dei  dati d sull’attività mineraria, la riforma del controllo sulle miniere, il sostegno al monitoraggio comunitario dell’attività mineraria».

Carter sottolinea che «Il presidente Ghani ha assunto una serie di impegni recenti al Vertice contro la corruzione di Londra che dimostrano che comprende chiaramente i rischi legati alle miniere dell’Afghanistan. Ma, il governo afgano deve urgentemente dare priorità la sicurezza nelle aree minerarie, così come garantire che venga adottata una legge mineraria adatta allo scopo. Attualmente, l’Afghanistan manca ancora DI molte delle protezioni di base che lo avrebbero aiutato a bloccare le sue miniere e il denaro che, attraverso loro, sta finendo nelle mani sbagliate».

Eppure li principale alleato del governo di Kabul, gli Usa,  ha identificato nello sviluppo dell’industria  mineraria dell’Afghanistan la chiave per porre fine dipendenza del Paese dagli aiuti stranieri, ma Global Witness avverte che «Non sono riusciti a prestare sufficiente attenzione ai rischi per la sicurezza. Dal 2009, gli Stati Uniti hanno dato quasi mezzo miliardo di dollari in aiuti al settore estrattivo, nel tentativo di far ripartire l’industria mineraria dell’Afghanistan, ma hanno investito molto poco nella lotta contro l’insicurezza e la governance debole».

Il mercato cinese è il principale sbocco dei minerali insanguinati dell’Afghanistan e la maggior parte dei lapislazzuli prende la via dello strettissimo confine con la Cina, dove sono molto apprezzati come gioielli. Il fatto che gli acquisti di lapislazzuli afghani da parte dei cinesi stiano finanziando i talebani è in contrasto con la posizione ufficiale del governo di Pechino che si propone come mediatore per la pace in Afghanistan nei colloqui sulla sicurezza regionale.

Carter conclude: «I governi di tutto il mondo devono svegliarsi e rendersi conto che le miniere in Afghanistan stanno guidando la guerra nel paese e devono fare qualcosa per fermare tutto questo prima che  ancora più delle miniere cadano nelle mani degli insorti e dei gruppi armati».